Analizzare in profondità l’opera cinematografica di Pier Paolo Pasolini per comprenderne appieno il messaggio e l’attualità del pensiero, a quarant'anni dalla sua morte: questo è stato lo scopo principale delle conferenze tenutesi il 13 e 14 novembre alla New York University, all'interno di un programma dal titolo evocativo Pasolini: Image, Object, Sound.
Durante i due giorni diversi relatori hanno analizzato le scene più significative del cinema pasoliniano, illustrandone il contenuto tecnico, stilistico e, soprattutto, svelandone il significato più profondo, con citazioni dai diari e precisi riferimenti storici, politici, artistici e sociali.
La prima giornata di conferenze è stata introdotta da Patricia Rubin, direttrice della Judy and Michael Steinhardt foundation all’NYU, che ha sottolineato l’importanza artistica e culturale di Pasolini nell’Italia del ventesimo secolo, definendolo come “uno dei maggiori intellettuali di riferimento” del periodo. A seguire un intervento di David Pendleton sulla sessualità e l’uso del corpo nella filmografia pasoliniana come forma di impegno politico. “In un’epoca di movimenti di protesta che ponevano l’attenzione sul corpo e sulla sessualità — ha detto Pendleton — l’uso specifico del corpo che Pasolini fa nelle sue opere è un chiaro segno della teoria artistica che vuole il regista impegnato nelle tematiche contemporanee anche attraverso l’uso della simbologia”. Pendelton ha sottolineato più volte l’ampiezza del pensiero pasoliniano, in un continuum tra impegno socio-politico e teoria cinematografica (ovvero “estetica” e tecnica di regia utilizzata) che consente al regista di esprimere le sue posizioni sulla società che lo circonda anche senza dover narrare l’epoca a lui contemporanea in maniera diretta.
È stato poi proiettato il documentario Le ceneri di Pasolini di Alfredo Jaar (2009) che, ispirandosi nel titolo all’opera Le ceneri di Gramsci dello stesso Pasolini, ripercorre il pensiero dell’artista, soffermandosi in particolare sul tema della consapevolezza, tema molto caro al maestro italiano, e, mostrando frammenti da interviste e dialoghi, fornisce un quadro sul pensiero di Pasolini riguardo i tempi in cui viveva e diverse intuizioni, oggi tremendamente attuali, sugli sviluppi che i grandi sconvolgimenti sociali politici ed economici di quegli anni avrebbero portato. Jaar, nel suo documentario, mostra infine come Pasolini cerchi, attraverso l’opera cinematografica, ma non solo, di informare lo spettatore riguardo i problemi del mondo a lui contemporaneo, spesso anche in maniera indiretta per mezzo di riferimenti e citazioni auliche, nel tentativo di coinvolgere il pubblico della bontà delle sue posizioni.
Il dibattito si è poi spostato sul cortometraggio La Ricotta, segmente pasoliniano di Ro.Go.Pa.G. (film del 1963 composto da 4 cortometraggi dei registi Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti, dalle cu iniziali prende il nome), proiettato in sala, e sulla volontà di Pasolini di abbandonare ogni distinzione netta tra sacro e profano, portando sullo schermo la sua personalissima visione degli “ultimi” del messaggio evangelico, stravolgendone però la sacralità e la rigidità dei contenuti, anche da un punto di vista estetico e rappresentativo, con l’abbuffata sui resti dell’“ultima cena” e la morte in croce del “ladrone”.
Durante la seconda giornata, le conferenze, ospitate alla Casa italiana Zerilli Marimò, hanno approfondito aspetti più tecnici del cinema pasoliniano, mostrando come, attraverso l’uso del montaggio, della voce, della registrazione dei suoni e della fotografia, ogni aspetto tecnico dei film del maestro contribuisca alla comunicazione del messaggio dell’opera, spesso in maniera segnatamente emotiva e parlando quasi all’inconscio dello spettatore. Illuminante in tal senso la lettura di Toni Hildebrandt sul tema Allegory, Montage and Sound che proponeva una analisi dettagliata del cortometraggio La Sequenza del fiore di carta (da Amore e Rabbia, 1969) mostrando come un sapiente uso del montaggio e delle voci fuori campo riuscissero a veicolare un messaggio di serietà ed impegno in aperto contrasto con la spensieratezza delle riprese degli attori. Nell’argomento si è inserita anche Vega Tescari con una discussione sull’uso del suono, del doppiaggio e delle performance vocali degli attori per la resa della carica emotiva di diverse scene, con particolari riferimenti all’Edipo Re (1967) ed alle contaminazioni con il cinema straniero dell’epoca, in cui si sperimentavano particolari tecniche di doppiaggio per accentuare l’effetto di straniamento tra l’attore in carne ed ossa e la sua performance recitativa.
Nel corso della discussione conclusiva, affidata tra gli altri al professor Gerhard Wolf, del Max Plank Institute, si è ricordata la centralità della figura di Pasolini come intellettuale a tutto tondo, definendolo “un intellettuale del ‘900” nel senso “più proprio e completo del termine”, come dimostra in pieno l’attualità delle questioni che già aveva sollevato più di quaranta anni fa e “la lungimiranza della sua prospettiva sugli sviluppi del mondo moderno, che spesso si è rivelata veritiera”. Si è quindi voluto ricordare come, a quaranta anni esatti dalla sua morte, ci si possa ancora dedicare a ricerche sulla sua opera trovando sempre nuovi spunti e nuovi significati in quanto ci ha lasciato.