Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha discusso la situazione Ucraina, che, ad oltre un anno dalla autoproclamata indipendenza della provincia del Donbass, nell’area orientale del Paese, resta tragica. “Il cessate il fuoco non è una misura sufficiente” hanno ammesso, nel rapporto presentato al Consiglio, gli esperti di sicurezza delle Nazioni Unite, ed esiste un “rischio serio e concreto” che un nuovo riemergere delle violenze coinvolga i civili dell’area delle autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk, che già vivono in situazioni di estremo disagio a causa della mancanza di medicinali, generi alimentari ed altri beni di prima necessità.
I separatisti, come affermato dal delegato del Regno Unito Matthew Rycroft, “non lasciano entrare nei territori sotto il proprio controllo nessun tipo di osservatore internazionale” e questo fa temere “Un peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti ed una grave situazione di violazione dei loro diritti umani”.
Dopo la firma degli accordi di Minsk nel settembre 2014, la situazione sul campo sembrava essere migliorata, ma la soluzione definitiva al conflitto resta molto lontana, come ha ricordato il delegato francese Alexis Lamek, secondo cui “la soluzione definitiva del conflitto ucraino è e deve rimanere una priorità per l’Europa tutta”, ricordando come un simile conflitto sul suolo europeo sia un rischio per la sicurezza comune e un precedente nocivo per i rapporti tra gli Stati del continente.
Dall’inizio del conflitto, secondo i rapporti presentati dalle Nazioni Unite, almeno nove mila persone sono state uccise e venti mila ferite, secondo una stima “necessariamente al ribasso” dovuta all’impossibilità di avere notizie certe da tutti i fronti. Secondo gli osservatori dell’OSCE la maggior parte delle vittime civili è dovuta alla presenza di campi minati installati dai separatisti per proteggere i confini delle aree sotto il proprio controllo. Riferendosi alla situazione critica nella repubblica di Donetsk, l’assistente per i diritti umani del segretario generale, Ivan Šimonović, ha riportato che l’impossibilità per le ONG di operare nel territorio dell’autoproclamata repubblica, potrebbe peggiorare la criticità della situazione dell’assistenza medica di base fornita ai civili, al momento molto limitata e non adeguata alla situazione ed al numero di persone che vivono nell’area.
Il vice segretario generale, Jan Eliasson, ha poi affermato davanti al Consiglio che “la maggior parte degli articoli degli accordi di Minsk riferiti alla protezione dei civili sono rimasti inattuati, e le richieste avanzate alle autoproclamate repubbliche, volte a garantire un miglioramento delle condizioni degli abitanti, non sono state portate a termine per via di interpretazioni divergenti sui contenuti dei trattati”.
In diretta video da Kiev, John Ging, direttore dell’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU ha poi informato i membri del consiglio che “2,7 milioni di persone vivono in aree non controllate dal governo con forti limiti alla loro libertà di movimento, ed altre 800 mila vivono nella zona di contatto tra i due schieramenti, che, a dispetto di tutti gli accordi, rimane altamente militarizzata”.
L'ambasciatrice americana Samantha Power non ha esitato nell’addossare alla Russia le colpe della situazione in Ucraina, affermando che il Consiglio si riuniva perché “Mosca ed i separatisti continuano ad ostacolare gli sforzi della comunità internazionale” e che “Mosca continua a sostenere, addestrare, armare e combattere con i ribelli, e che le Nazioni Unite hanno documentato il flusso continuo di munizioni, armi e uomini, dalla Russia verso i territori occupati”.
Secondo l'ambasciatrice americana, le proteste degli ultimi giorni dei delegati russi contro le metodologie del Consiglio di Sicurezza sembrano dimostrare che Mosca vuole nascondere qualcosa. “Ci si chiede che cosa la Russia voglia nascondere contestando l’audizione dell’assistente del segretario generale per i diritti umani” ha affermato Power, che ha poi sostenuto che “il risultato delle aggressioni di Mosca è la sofferenza diffusa e non necessaria dei civili ucraini” ed ha chiesto una immediata attuazione di tutti gli articoli degli accordi di Minsk, incluso il permesso per gli operatori internazionali di intervenire nella zona contesa, al fine di assicurare una normalizzazione della situazione.
Vitaly Churkin, ambasciatore della Russia all'ONU, ha accusato la presidenza americana del Consiglio di strumentalizzare il proprio ruolo, attraverso l’aggiunta all’agenda di una serie di temi che esulano dalle normali prerogative del Consiglio di Sicurezza. Churkin ha inoltre sostenuto che “il colpo di stato, orchestrato dall’esterno, che ha rovesciato il precedente governo ucraino, è il principale responsabile della situazione in Ucraina” e che il coinvolgimento della Russia è limitato e non diretto ad uno scontro militare.
Inoltre ha affermato che la Russia è disponibile a farsi da garante per i ribelli, ma che il nuovo governo ucraino non sia realmente disponibile a procedere con il dialogo, accusando Kiev di non fare sforzi diretti per demilitarizzare il conflitto, mantenendo anche armi pesanti nella zona di confine, in violazione delle direttive di Minsk. Secondo Churkin, i convogli umanitari russi hanno permesso ai ribelli di alleviare le sofferenze della popolazione e di avviare alcune forme di assistenza ai civili. Churkin, che ha accusato gli Stati Uniti di fomentare la situazione con il loro intervento filoucraino, ha sostenuto che il nuovo governo di Kiev sia formato da nazisti ed ultranazionalisti, addossando ai leader ucraini la responsabilità del perdurare del conflitto in corso.
“È essenziale che il cessate il fuoco venga rispettato da entrambe le parti” ha affermato poi Rycroft, commentando i recenti fatti di violenza avvenuti sulla linea di confine, “perché non si può raggiungere un accordo finché non cessano le ostilità”. Sollecitando poi un accordo politico per la soluzione del conflitto, Rycroft ha ricordato che “c’è un membro del Consiglio qui oggi, la cui influenza potrebbe far cessare il conflitto, le cui pressioni potrebbero portare ad una soluzione politica della crisi. Noi tutti guardiamo alla Russia affinché faccia ogni sforzo in tal senso, sia attraverso l’influenza che esercita sui ribelli, sia attraverso il ritiro delle sue truppe in Ucraina”.
Il delegato inglese si è poi unito al coro di lamentele nei confronti dell’atteggiamento dello stato russo che, come anche affermato da Francia e USA, non sembra intenzionato a mobilitarsi per una pacificazione. “l’influenza diretta della Russia sui ribelli al momento sembra solo aumentare le tensioni” ha continuato, “la massiccia presenza di truppe ed i suoi convogli umanitari, mai ispezionati da osservatori indipendenti, che continuano ad attraversare i territori controllati dal governo ucraino per recarsi nelle provincie separatiste, in quella che è una palese violazione della sovranità territoriale dello Stato Ucraino, sono un ostacolo alle trattative”.
Al momento, vista anche la concomitante crisi Siriana, la vicenda Ucraina ha indubbiamente perso il centro dell’attenzione della comunità internazionale, ma, dopo 21 mesi dall’annessione (mai riconosciuta dalle Nazioni Unite) della penisola di Crimea da parte della Russia, tutte le Nazioni coinvolte si sono dette a vario titolo pronte a riprendere i negoziati nel 2016, ritenendo inaccettabile il perdurare di situazioni di conflitto nell’Europa Orientale. Non esiste ancora un piano per la ripresa del dialogo, e le mutate condizioni politiche tra Europa e Russia, in seguito alle vicende siriane, sembrano poter dare un nuovo slancio alla vicenda. A gennaio l’UE rinnoverà in automatico le sanzioni alla Russia, previste dopo l’annessione della Crimea (rinnovo a cui l’Italia si è recentemente opposta). Bisognerà vedere a quel punto quanto la nuova “amicizia” tra Francia e Russia ed il tiepido “disgelo” tra Mosca e Berlino (dove Angela Merkel, già fortemente impegnata a favore dell’Ucraina un anno fa, si è sempre dimostrata molto contraria alle politiche di Putin) possano giovare alla situazione.