Per la 53ª edizione New York Film Festival, dal 25 settembre all'11 ottobre al Lincoln Center, alcune scelte audaci e altre marcatamente commerciali. Se la struttura della rassegna rimane la stessa e il Main Slate, la sezione principale, propone diversi titoli mainstream e molti film visti già a festival internazionali come Cannes e Berlino, i numerosi programmi paralleli e la selezione delle cosiddette sezioni laterali suggeriscono una maggiore ricerca, a sottolineare quella che più che mai dev'essere oggi la natura di un festival: approfondimenti, percorsi e accostamenti nuovi, eventi live che spaziano tra diverse forme e discipline.
Ormai ci sono mille occasioni e piattaforme per vedere un film, per fruirne sia come spettatori che come industry; in un festival occorre quindi andare più a fondo, dare visibilità all'invisibile, riportare in superficie opere e autori dimenticati, riflettere su linguaggi passati e presenti, offrire uno sguardo su tecnologie che sono in continua evoluzione, così come lo è il loro utilizzo nell'industria cinematografica, indagare il lavoro delle diverse professionalità artistiche e tecniche impiegate nella produzione di un film (o di un lavoro per la televisione o per il web), dare la possibilità agli autori di raccontarsi al pubblico, e al pubblico di guardare e ascoltare anche quello che succede oltre lo schermo.
E il New York Film Festival ha capito bene la lezione. Certo rimane la concessione al cinema più commerciale, per quanto odioso il termine possa sembrare, con alcuni film che, per diverse ragioni, puntano al grande pubblico: Bridge of Spies di Steven Spielberg, il biopic su Steve Jobs diretto da Danny Boyle, ma anche The Walk di Robert Zemekis, film di apertura del festival, mentre Miles Ahead, biopic sul grande Miles Davis diretto da Don Cheadle chiude il festival l'11 ottobre. Accanto a questi però, troviamo scelte più interessanti come Don't Blink – Robert Frank di Laura Israel e Experimenter di Michael Almereyda, e altre alquanto insolite (e forse un po' ostiche), anche per il pubblico nel Lincoln Center, primo fra tutti il possente film in tre parti di Miguel Gomes, Arabian Nights. Unico italiano presente al festival quest'anno è Nanni Moretti con Mia madre, film con cui Margherita Buy e Giulia Lazzarini hanno vinto il David di Donatello rispettivamente come attrice protagonista e attrice non protagonista. Sarà interessante vedere come il film verrà accolto dal pubblico newyorkese.
Retrospective quest'anno è dedicata a Nathaniel Dorsky, e Jerome Hiler, registi sperimentali non fra i più accessibili e sconosciuti ai più, eppure la retrospettiva Luminous Intimacy ci presenta i lavori – tutti girati e proiettati in 16mm – dei due registi che per quasi sessant'anni hanno ripreso gesti, atmosfere, forme, luci, umori.
Spotlight on Documentary, come sempre negli ultimi anni è una delle selezioni più interessanti del festival, sicuramente la più accurata, e presenta 12 lavori tra cui l'anteprima mondiale di Jia Zhangke, A Guy from Fenyang di Walter Salles, Everything is Copy, tributo di Jacob Bernstein alla madre Nora Ephron, Ingrid Bergman in Her Own Words, di Stig Bjorkman, in occasione del centesimo anniversario della nascita dell'attrice, a cui il MoMA e il BAM hanno dedicato rassegne e omaggi in queste settimane. E, anche quest'anno, un documentario di Frederick Wiseman, per la precisione il suo quarantesimo, questa volta dedicato al quartiere di Jackson Heights (dal 9 ottobre al 7 novembre il MoMI dedica una rassegna al grande documentarista americano).
Convergence, al quinto anno di presenza nel programma del NYFF, spazia tra contaminazioni artistiche, piattaforme multiple, processi creativi, esperienze interattive che permettono al pubblico di risolvere omicidi (Sherlock Holmes and the Internet of Things), partecipare a cene virtuali (The Doghouse) ma anche a panel con sceneggiatori, cacciatori di storie, creatori e disegnatori di videogiochi – quanto a videogame ed esperienze virtuali, anche il rivale Tribeca Film Festival negli ultimi ani sta facendo lo stesso.
Fra i Revivals troviamo Lubitsch, Kurosawa, de Oliveira, Ford e Luchino Visconti con Rocco e i suoi fratelli. Per i Talks – gli incontri con il pubblico con alcuni degli autori che presentano qui i loro film più recenti – i più attesi sono Michale Moore (che presenta il suo ultimo documentario Where To Invade Next), Hou Hsiao-sien (regista quest'anno di The Assassin), Todd Haynes (con il suo ultimo film, Carol) e Michel Gondry (Microbe et Gasoli).
Projections presenta una selezione internazionale di film e video che “espandono le nostre nozioni di cosa le immagini in movimento possono fare ed essere”: 11 programmi fra tra innovazione, sperimentazione e avanguardia.
Fra gli Special Events, si segnala l'anteprima mondiale di Junun, mosaico musicale indiano diretto da Paul Thomas Anderson, uno dei lavori più interessanti proposti dal festival e tappa del viaggio in musica presentato in questa sezione, di cui fanno parte anche Laurie Anderson con Heart of a Dog e i fratelli Coen con O Brother, Where Are Thou?, che celebra il suo quindicesimo anniversario. Accanto a questi, troviamo De Palma, documentario diretto da Noah Baumbach e Jake Paltrow sul grande regista americano, che in quest'occasione scopriamo essere poco amato dalla stampa del festival, o meglio, da molta della stampa presente – c'è chi ridacchia e chi sussurra divertito all'orecchio del vicino: l'unico modo in cui De Palma poteva entrare a un festival era grazie a un film di Baumbach… Insomma, umanità varia, anche perché la verità è che il cinema di De Palma è più frequentato dai festival internazionali.
Infine, l'evento glam del festival: An Evening With… , un modo per i newyorkesi di supportare il festival partecipando a una cena di un gala con qualche movie star: quest'anno tocca a Kate Winslet. In fondo, anche il New York Film Festival, con il suo pubblico intellettuale e la sua programmazione engagé, alla fine è un grande, luccicante business, e dove se non a New York si trova chi fa la fila per spendere migliaia di dollari per cenare accanto a una star?