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May 2, 2020
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I premiati “a distanza” del Tribeca Film Festival e pensieri sul futuro del cinema

I film vincitori dell'edizione "on-line" del festival newyorchese e le conseguenze della pandemia coronavirus sull'industria cinematografica

Chiara BarbobyChiara Barbo
Time: 6 mins read

Nato pochi mesi dopo l’11 settembre 200, per far rinascere economicamente e culturalmente la parte di lower Manhattan così tragicamente segnata dal crollo delle Twin Towers e dalla perdita di tante vite, e di tante storie legate a quella zona della città, il Tribeca Film Festival si è trovato quest’anno per primo a doversi adattare, reiventare e sicuramente ridimensionare a causa dell’emergenza Covid-19 che ne ha impedito la regolare programmazione prevista dal 15 al 26 aprile 2020.

Il Tribeca è stato il primo fra i grandi festival ad andare online: pubblico, industry e stampa accreditati hanno quindi potuto vedere film e seguire panel ed eventi in streaming. Il 29 aprile le giurie dei diversi concorsi e sezioni – Danny Boyle, Demian Bichir, Sabine Hoffman, William Hurt, Lucas Hedges, Juno Temple, Gretchen Mol, per nominare solo alcuni dei numerosi giurati – hanno annunciato i vincitori di questa anomala edizione, che i fondatori del festival Jane Rosenthal e Robert De Niro, con Craig Hatkoff, hanno comunque voluto si facesse al meglio, seppure in pieno lockdown e con le numerose e ovvie limitazioni del caso, supportando il più possibile film e artisti, cercando di dare continuità a quella comunità del cinema che un festival è prima di ogni altra cosa.

I riconoscimenti principali sono andati a The Half of It di Amy Wu, come miglior film statunitense; The Hater del polacco Jan Komasa come miglior film internazionale; Socks On Fire di Bo McGuire come miglior documentario. No More Wings di Abraham Adeyemi è stato giudicato il miglior cortometraggio di finzione mentre My Father The Mover di Julia Jansch il miglior documentario corto e Friends di Florian Grolig il miglior cortometraggio animato.

Il Nora Ephron Award è andato alla regista israeliana Ruthy Pribar per il suo film Asia, che ha ottenuto anche altri riconoscimenti importanti. Il Nora Ephron Award è stato creato sette anni fa per onorare l’eccellenza nella scrittura di sceneggiatrici e registe donne che interpretassero in qualche modo la visione e il talento della grande sceneggiatrice, scrittrice, giornalista e regista newyorkese scomparsa pochi anni fa. E proprio questa edizione, così complicata e sinceramente passata abbastanza in sordina in mezzo alla preoccupazione della pandemia e allo smarrimento dei festival e del mondo del cinema in generale che si è visto all’improvviso chiudere ogni possibilità di girare, fare festival, proiettare film in sala, riunirsi in un luogo per vedere un film, ascoltare un autore, anche solo scambiare due chiacchiere con chi ha visto il film seduto accanto a noi in una sala cinematografica, ecco questa edizione ha visto premiare molte donne.

A dire il vero il Tribeca Film Festival forse più di altri è sempre stato attento allo sguardo femminile, sia per il numero di registe donne selezionate sia per le tematiche proposte nei film e nei numerosi incontri organizzati. Ecco allora che quest’anno, oltre alle già citate autrici, nella sezione dedicata al cinema statunitense, il premio per la fotografia è andato a Greta Zozula, Chananun Chotrungroj e Kelly Jeffrey per il film Materna e quello per la sceneggiatura ad Anna Kerrigan per Cowboys, mentre nel concorso internazionale il premio per la miglior fotografia è stato assegnato a Daniella Nowitz per Asia, il miglior montaggio nella sezione documentario è andato a Amy Foote per Father Soldier Son e il prestigioso Albert Maysles New Documentary Director Award è stato assegnato alla regista Jessica Earnshaw per il suo documentario Jacinta.

I riconoscimenti principali sono poi andati a Assol Abdullina, miglior attrice per Materna, e Steve Zahn, miglior attore per Cowboys, entrambi nel concorso dedicato al cinema degli Stati Uniti. Il concorso internazionale ha visto invece premiati l’attrice Shira Haas per Asia (Israele) e l’attore Noe Hernandez per Kokoloko (Messico).

Lo sponsor principale del Tribeca Film Festival, a cui lega da tempo il proprio marchio, è il colosso delle telecomunicazioni AT&T, da anni impegnato a supportare tutto ciò che di innovativo, soprattutto da un punto di vista tecnologico, il festival propone. E il Tribeca in questo ha sempre rispettato il suo impegno, fino a che quest’anno il festival stesso ha finito per doversi non solo catapultare in quella realtà tecnologica, virtuale e aumentata che ha sempre promosso e utilizzato nel fare e mostrare il cinema ma ne è diventato inevitabilmente il soggetto, un contenuto da mostrare in streaming, una premiazione finale che non è avvenuta come è sempre stato in un cinema con un pubblico più o meno selezionato e più o meno ben vestito ma è arrivata a casa di tutti con questo video, in cui giurati e premiati erano ciascuno a casa propria, in collegamento via Skype, Zoom o altro, con un montaggio minimo pensato per l’occasione.

Per il video della premiazione cliccare qui.

  Ora, il Tribeca si è trovato per primo a fare i conti con il futuro, e soprattutto il presente, dei festival, con una line up già più che pronta e anche un grande investimento già fatto (se si tralascia il Festival di Berlino che ha avuto luogo, comunque, in piena emergenza in diversi paesi e ha visto ospiti da tutto il mondo affollare sale e luoghi di incontro). Da notare che solo pochi film, nelle diverse categorie, una volta saputo che l’edizione del Tribeca Film Festival sarebbe stata online si sono ritirati dal concorso.

I festival che, in ordine di tempo, sarebbero dovuti seguire sono stati per lo più rimandati o cancellati per quest’anno – Cannes la vittima più illustre, Locarno quella più recente – alcuni hanno deciso di andare del tutto o in parte online, altri stanno ancora cercando di capire che fare, come organizzarsi in base a spazi e risorse disponibili e limitazioni di pubblico, presenze, autori, spostamenti. Certo è che i festival negli ultimi anni avevano già vita non facile: non essendo più da tempo gli unici luoghi dove poter vedere un film, o certi film, avevano cominciato a creare eventi, incontri, occasioni uniche che accadevano solo lì e solo in quel momento, percorsi formativi, incontri con gli autori, aggiungendo e ampliando gli spazi dedicati al mercato, modi diversi per far sì che quel che avviene a un festival non sia replicabile, ripetibile e visibile su una delle tante piattaforme di streaming o anche semplicemente in sala solo pochi giorni dopo.

Adesso occorre fare un passo in più, un’ulteriore sforzo di creatività ma anche di adattamento da parte di un’industria di un intero settore, già spesso in sofferenza, e di comprensione profonda di un pubblico le cui abitudini stavano già cambiando e in questi mesi sono ulteriormente cambiate (tantissime le possibilità di vedere film nuovi o d’archivio in streaming gratuitamente o con un piccolo costo, di assistere a masterclass e festival, appunto), e solo tra un po’ capiremo realmente i termini di questo cambiamento. Possiamo lavorare a immaginare nuove forme di creazione, organizzazione, prima ancora di concetto di festival, e forse anche forme pensate appositamente per lo streaming di una parte dei festival, da qui ai mesi e forse anni futuri, che magari andranno ad affiancare i festival e i mercati nelle loro forme tradizionali che prima o poi ripartiranno. Forse questo fallimento annunciato che a mio avviso è un festival preso così com’è e messo in streaming potrà essere una bella e utile occasione per ripensare ai festival, rinnovarli realmente dal profondo e non solo nella forma. Fermo restando che un festival è e deve essere un luogo dove si incontrano film e persone, storie e narrazioni ma anche possibilità presenti e future.  Non solo un’occasione per vedere e conoscere ma un luogo vivo e unico, un pezzetto di vita dal vero e non solo trasmessa e guardata in streaming.

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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