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May 24, 2015
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Le Palme di Cannes: la sorpresa di Jacques Audiard e la delusione dell’Italia

Simone SpoladoribySimone Spoladori
Jacques Audiard vincitore della Palma d'oro per Dheepan.Foto: Ansa

Jacques Audiard vincitore della Palma d'oro per Dheepan.Foto: Ansa

Time: 5 mins read

 

È infine arrivata la serata della grande delusione. Dopo dieci giorni di consensi e celebrazioni, il cinema italiano torna sulla terra, anzi, sotto terra, e sparisce dal palmares della sessantottesima edizione del festival del cinema di Cannes. La giuria presieduta da Joel e Ethan Coen ha voltato le spalle a Mia Madre di Nanni Moretti, amato da critica e pubblico francese, a Youth, il bel film di Sorrentino che ha diviso ma che sembrava poter soddisfare il gusto dei due fratelli presidenti di giuria, e il coraggio Tale of Tales di Matteo Garrone.

Clamorosamente a bocca asciutta anche Mountains May Depart di Jia Zhang-ke, forse insieme a Son of Saul l’unico vero sussulto di intensa originalità del concorso, e quasi a secco Carol di Todd Haynes, che a sorpresa vede premiata soltanto Rooney Mara come miglior attrice. Niente premi nemmeno per il Sicario di Villeneuve. 

cannesMentre alcuni dei premi principali (Lindon come miglior attore, il Gran Premio speciale della giuria a Son of Saul, Hou Hsiao-Hsien miglior regista) erano largamente nell’aria, la Palma d’oro a Dheepan di Jacques Audiard ha spiazzato tutti un po’ tutti. Vediamo rapidamente i premi assegnati domenica sera al Grand Theatre Lumiere.

Premio per la miglior sceneggiatura: consegnato da Valeria Bruni Tedeschi, il premio va al regista e sceneggiatore messicano Michel Franco per Chronic, con Tim Roth. Film gelido e non totalmente riuscito, è la prima sorpresa della serata.

Premio per la migliore attrice: consegnato da Tahar Rahim, è la seconda sorpresa consecutiva. Tutti si aspettavano la Cate Blanchett di Carol, invece il riconoscimento va alla sua partner nel film di Todd Haynes, Rononey Mara. Non è finita qui: il premio è un ex aequo e a condividerlo con la bella attrice americana è Emmanuelle Bercot (tra l’altro regista del film che ha aperto il festival) per il discutibile Mon Roidi Maiwenn

lobster

Yorgos Lanthimos, regista di Lobster

Vincent Lindon per La loi du March├®

Vincent Lindon riceve il premio per La loi du March├®

Premio della giuria: a consegnarlo è una splendida Laetitia Casta, che sfoggia una nuova e sorprendente acconciatura. Va a The Lobster di Yorgos Lanthimos, film intelligente e rigoroso, in effetti molto vicino alla sensibilità dei fratelli Coen. 

Premio per il miglior attore: Michelle Rodriguez assegna il premio a Vincent Lindon per La loi du Marché. Meritato e nelle previsioni, porta alla Francia il primo riconoscimento di questa edizione. A sorpresa, non sarà l’ultimo. Lindon aveva dei competitor importanti, ma va riconosciuto che è assolutamente eccezionale nei panni di Thierry, un disoccupato di mezza età che sperimenta sulla sua pelle le dure leggi del nuovo mondo del lavoro ed è costretto ad accettare lo sgradevole compito di sorvegliante (dell’altrui disperazione) in un supermercato.

Premio per la miglior regia: lo consegna Valeria Golino, emozionata ed elegante. Anche qui, poco da dire: Hou Hsiao-Hsien, maestro taiwanese, vince meritatamente per lo straordinario The Assassin, unwuxiapian (film di cappa e spada) strepitoso, intenso e raffinatissimo.

Grand Prix speciale della giuria: Max Michelsen consegna il premio ad un film straordinario come Son of Saul di Laszlo Nemes. Opera prima, forse l’unico vero film innovativo, originale, “nuovo” anche sul piano teorico che si sia visto in concorso. Lo ricordiamo, film sull’olocausto che fa una scelta di sguardo unica: tiene, in un 4:3 claustrofobico, la sua camera puntata sul volto del suo protagonista, amplifica l’orrore tenendolo fuori campo, sullo sfondo o fuori fuoco e lo recupera attraverso il “corpo” del suo straordinario attore principale, Géza Röhrig.

Palma d’oro: è la giuria, direttamente, a consegnare a Dheepan di Jacques Audiard, ed è una sorpresa assoluta. Il film è, a nostro giudizio, bellissimo, ma sicuramente non è il miglior film che Audiard abbia girato e probabilmente non è il miglior film del concorso. Storia di immigrazione e di banlieue vista attraverso lo sguardo di Dheepan, un guerrigliero cingalese che scopre, suo malgrado che alle periferie di Parigi la vita non è poi tanto diversa dalle zone di guerra del suo paese.

A caldo, rimane un pizzico di rammarico per gli italiani e una profonda sorpresa. Ma ora che la giuria ha fatto il suo compito, e ha emesso il suo verdetto sui film in concorso, quale verdetto è giusto emettere su questa Sessantottesima edizione del Festival cinema di Cannes e sulla selezione approntata da Thierry Fremaux e il suo staff?

cannes -Sul concorso, purtroppo, la valutazione non può essere totalmente positiva. Ciò che è sembrato mancare è, in una parola, il coraggio. Ci è sembrato un festival sospeso, in bilico, senza la volontà di assumere un’identità precisa e senza una chiara linea nelle scelte che hanno ispirato la selezione. Meno nomi roboanti del solito, ma nel complesso un gusto molto pop e molto più orientato al mercato che al cinema d’autore, nel tentativo di assecondare un calcolo molto mainstream e meno cinefilo. Pochi rischi, insomma, e niente scelte davvero originali e innovative. Anzi, per la verità anche alcuni flop clamorosi a cui Cannes non è solitamente abituata, come The Sea of Trees di Van Sant oMarguerite et Julien di Valerie Donzelli o ancora il discutibile Macbeth di Justin Kurzel, titoli decisamente fuori contesto in un concorso internazionale con un blasone enorme come quello della croisette. 

Il “luogo” della sperimentazione è stato Un Certain Regard, come se le due sezioni fossero sempre più distanti e deputate ad assolvere funzioni diverse. Anche qui il livello non è stato altissimo, o meglio, basso è stato, per la verità, il tasso di originalità e provocazione che solitamente contraddistingue la sezione “altra” del festival di Cannes. Il premio di Un Certain Regard, assegnato dalla giuria presieduta da Isabella Rossellini, è andato a Hrutar dell’islandese Hakonarson, un commovente racconto familiare ambientato nelle lande desolate dell’isola dei ghiacci e dei fuochi, cha vede due anziani fratelli ritrovare il loro profondo affetto dopo anni di conflitti. 

Il festival più importante al mondo sta forse attraversando una fase di transizione. Mentre l'edizione 2015 si chiude – a sorpresa – all’insegna del cinema francese (ben cinque film in concorso, era parso a tutti il contingente qualitativamente più debole), Il 2016 ci saprà dare indicazioni più precise su quale direzione Fremaux avrà deciso di intraprendere, qui sulla Croisette.

 

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Simone Spoladori

Simone Spoladori

Nato a Milano, laureato in lettere e laureando in psicologia, di segno pesci ma non praticante, soffro di inveterato horror vacui. Autore per radio e TV, critico cinematografico, insegnante, direttore di un'agenzia creativa di Milano. Oltre ai film, amo i libri e credo che la letteratura americana del '900 una delle prime tre cose per cui valga la pena vivere. Meglio omettere le altre due. Drogato di serie TV, vorrei assomigliare a Don Draper, a Walter White o a Jimmy McNulty. Quando trovo il tempo, mi diverte a scalare montagne, fare foto, giocare a tennis, cucinare e soprattutto mangiare ciò che cucino. Sono malato di calcio, tifo Manchester United e Milan, ma la mia vera guida spirituale è Roger Federer.

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