Sulla cresta di una delle più tempestose stagioni operistiche a memoria d’uomo, il Metropolitan Theatre di New York presenta per tutto Ottobre e parte di Novembre una stupefacente edizione del Die Zauberflöte ( Il flauto magico). Stupefacente però dal solo lato scenico: i tre fanciulli volano a pericolose altezze al sommo del proscenio cavalcando un volatile preistorico; monumentali strutture di geometria postmodernista ricreano dentro uno dei più giganteschi palcoscenici del mondo il tempio massonico in cui si aggirano i personaggi mozartiani; luci fantasmagoriche accompagnano le sublimi melodie.
Tuttavia le fantasie tecniche sono una cosa, l’arte un’altra, e la nuova produzione della regista teatrale e cinematografica Julie Taymor non ha convinto molti; sia pure riscattata dall’eccellente prestazione dell’orchestra diretta da Adam Fischer e di tutti i cantanti, tra i quali soprattutto il giovane baritono austriaco Markus Werba nella parte di Papageno e l’altrettanto giovane soprano sudafricana Pretty Yende in quella di Pamina.
In particolare chi scrive è rimasto turbato dall’eccessivo sfoggio scenico, che gli ha fatto ricordare con pungente nostalgia la modesta e tuttavia meravigliosa scenografia di Marc Chagall che, apparsa al Metropolitan nel 1967, non si è poi mai più rivista. Interpellata su che fine abbiano fatto quegli apparati teatrali – oggi di immenso valore anche finanziario – e di cui corre voce che siano stati trafugati o distrutti, la direzione del teatro non ha saputo dire nulla, mutismo tanto più sorprendente in quanto buona parte delle impreviste agitazioni che quest’anno hanno sconvolto la stagione lirica sono state di natura economica. Eccessivo prezzo dei biglietti che ha allontanato il pubblico. Rivendicazioni salariali dell’orchestra (anche se la meglio pagata del mondo), con minacce di sciopero da una parte e di serrata dall’altra, accompagnate dall’imputazione (molto credibile) di sperperi al general manager Peter Gelb. La situazione è divenuta incandescente al punto da far temere la cancellazione dell’intera stagione. Del tutto inaudita è stata poi una crisi politica internazionale provocata dalla messinscena di una delle più valide e interessanti opere di epoca recente, The Death of Klinghoffer (La morte di Klinghoffer) del compositore americano John Adams. È una storia vera, l’assassinio di un turista israelita invalido che nell’ottobre 1985, sulla nave da crociera Achille Lauro sequestrata da terroristi palestinesi, fu da uno di essi buttato a mare con tutta la sua sedia a ruote. Adesso turbe di israelo-americani accolgono con furiose proteste davanti al teatro e anche dentro ogni rappresentazione dell’opera, in cartellone da ottobre fino a quasi tutto dicembre; e ciò perchè il libretto permette al terrorista omicida di spiegare le cause della sua azione. Altre folle anch’esse israelite, inclusa l’ammiratissima giudice della Corte Suprema Ruth Bader, tuttavia, accorrono ad applaudire l’opera perchè offre un equilibrato quadro della crisi palestinese-israeliana oggi entrata nella sua fase più tragica e risolutiva.
I problemi del Met in questa stagione sembrano tuttavia aver stimolato la competizione e l’immaginazione delle compagnie liriche “minori” che da sempre arricchiscono la vita musicale newyorchese. Per spirito innovativo due sembrano meritevoli di nota. Il Dell’Arte Opera Ensemble (proprio così) ha messo in scena un delizioso Falstaff, però non quello verdiano, ma uno musicato dal non mai sufficientemente apprezzato rivale di Mozart, il veneto Antonio Salieri (1750-1825) su libretto di Carlo Prospero Defranceschi. Ha solo il difetto di arrestarsi al lato comico del personaggio senza esplorarne in seguito il lato umano, come fa invece Verdi, per non parlare ovviamente di Shakespeare, suo creatore originale. Sempre a Manhattan, la Gotham Chamber Opera ha resuscitato l’ingiustamente dimenticato lavoro del compositore assurdista cescoslovacco degli Anni Venti Bohuslav Martinu (1890-1959), con Alexandre bis e Comedy on the Bridge, due esilaranti storie di discendenza kafkiana, e si prepara a mettere in scena El gato con botas (Il gatto con gli stivali) del catalano Xavier Montsalvatge (1912-2002). Infine, a Chelsea, la Dillon Gallery inscenerà il 20 novembre, a complemento di un’installation del noto pittore-scutore-filosofo iracheno-americano Ali Hosseini, l’opera multimediale Oceanic Verses della compositrice italo-americana Paola Prestini di Brooklyn, basata su canti popolari siciliani e sardi.