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in Arte e Design
December 7, 2019
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Addio al “vecchio” MoMA: ecco perché il nuovo è un capolavoro

Per il "New York Times" sparisce la vecchia anima del museo. Ma ecco perché sarà l'anima dei visitatori a giovarne

Mauro LucentinibyMauro Lucentini
Addio al “vecchio” MoMA: ecco perché il nuovo è un capolavoro

Il MOMA (Tony Fischer / Flickr.com).

Time: 2 mins read

C’è controversia circa i risultati del quinto ed ultimo (o forse penultimo) rifacimento nella ormai centenaria storia del “MoMA” o “Museum of Modern Art”, il progenitore di tutti i musei di arte moderna e contemporanea del mondo, situato a New York, risultati che vengono per la prima volta resi accessibili in questi giorni. Secondo alcuni critici, si tratta di una grande confusione. Anche i meriti estetici del nuovo edificio, allargato a spese del contiguo museo del folklore americano indotto a trasferirsi altrove, sono messi in discussione.

“Sparisce un pezzetto d’anima del vecchio Moma”, ha scritto il critico del New York Times. Tuttavia esiste una fazione opposta, a cui anche chi scrive appartiene, secondo cui il rifacimento è un capolavoro, destinato a ripercussioni mondiali. Lo scopo era, evidentemente, di usare il maggiore spazio per esporre quella parte della collezione permanente che normalmente viene tenuta in archivio. Ma I curatori del MoMA hanno fatto di più. Hanno inventato la tecnica della esposizione mobile, grazie a cui l’intera, sterminata collezione di un museo dell’importanza del MoMA riceve la possibilità di vedere la luce. Questa tecnica è così spiegata: la collezione, divisa in parti e ordinata in approssimativo ordine cronologico, dedica 50 gallerie a un programma preordinato per alcuni anni, in cui ciascuna è variamente destinata o a un singolo artista, o a un gruppo, oppure a un tema prevalente in un particolare momento, o a idee condivise da una più o meno rilevante collettività. Il programma è concepito da gruppi di curatori includenti tutti i livelli di anzianità e autorità, inclusi gli specialisti di vari campi.

I reperti vengono re-installati con frequenza e in nuove combinazioni, in modo da dimostrare, tramite una vastissima scelta di opere, che innumerevoli idee, storie e narrative possono esser esplorate – in un’epoca, come la nostra, di rapidi cambiamenti – grazie all’immensa collezione permanente del museo. Basta anche una rapida visita alla nuova esibizione della prima parte cronologica del programma in corso, quella dedicata alle 24 gallerie occupanti, al quinto piano del museo, gli inizi della collezione, cioè i decenni 1880-1940, per comprendere la vitalità e attualità delle nuove interpretazioni offerte per il periodo formativo della nuova arte; e per stimolare un crescente desiderio di comprendere e approfondire il senso storico odierno dei periodi successivi. Certo, il programma completo richiede più visite di quella unica e fuggevole consentita molto spesso al turista, ma la serietà e novità del risultato compensano questa inevitabile limitazione. Oltre alla collezione permanente il museo offre, naturalmente, esposizioni monografiche di nuovi artisti – attualmente non meno di otto – e la presentazione di sculture nel riposante giardino, di serie cinematografiche in due sale, nonché delle vastissime installazioni consentite dalla speciale succursale del museo a Brooklyn, il cosiddetto museo “ P S1”.

Anche di questa succursale destinata alle grandissime installazioni è in corso il rifacimento, che non è escluso riserbi delle sorprese. Quanto all’estetica della sede di Manhattan, che include nuove ali in cui vasti squarci delle pareti consentono grande luce naturale e tirano all’interno splendidi nuovi panorami urbani, potrà anche essere, come dice il “New York Times”, che ne soffra la vecchia anima del museo, ma sicuramente se ne avvantaggia l’anima dei visitatori, e quale sia, d’altra parte, il reale compito di un museo rispetto a quello di chi va a vederlo è questione che non verrà mai risolta.

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Mauro Lucentini

Mauro Lucentini

Sono nato e vissuto a Roma che però ho abbandonato più di mezzo secolo fa per fare il giornalista in varie parti del mondo. Ne ho tratto una specie di complesso di colpa nei confronti della mia città natale, complesso che ho un po’ alleviato scrivendo da lontano una Grande Guida di Roma, che si vende in diverse lingue in diversi paesi. A New York venni per rimanerci tre o quattro anni, invece ci incontrai la ragazza più carina e dolce del mondo così ci sono rimasto, mettendo su, come si suol dire, famiglia. Lei però, pur essendo tanto più giovane di me, è poi scomparsa come un fiorellino che muore. In questa lunga carriera, cominciata quasi da bambino, ho sempre scritto sia di politica che di arte e di questo non mi pento.

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