Cominciamo con un esamino: quali tra questi autori NON sono scrittori (o scrittrici) italiani? Attenzione alle apparenze che potrebbero farvi sbagliare. Barolini, Janeczek, De Lillo, Lahiri, Lakhous, Scego, Talese, Tusiani.
La risposta è in fondo all’articolo.
Ma cosa vuol dire ‘scrittore italiano’? Che ha la cittadinanza italiana? Che è di origine italiana? Che abita e scrive all’interno dei confini geopolitici della Repubblica italiana? Che scrive in lingua italiana? E perché ha senso porci questa domanda oggi? Perché al grido di “prima gli italiani” si sta cercando di far dimenticare a noi italiani chi siamo e da dove veniamo. Perché per cinque secoli, dagli albori della nostra letteratura all’unificazione del nostro paese, proprio gli scrittori sono stati gli unici depositari e garanti della nostra identità nazionale che veniva ignorata, se non sbeffeggiata, dalle grandi potenze del tempo. Per cinquecento anni, abbiamo continuato a parlare ciascuno il nostro dialetto, ma ci siamo riconosciuti in un’unica lingua letteraria.
Un biculturalismo negato. La letteratura italiana negli USA (Franco Cesati Editore, 2018), è’ultimo libro di Anthony Tamburri (Preside del Calandra Institute for Italian American Studies, CUNY) e mi ha fatto ripensare a tutte quelle domande e mi ha spinto a cercare altre risposte. Il volume, dopo una sostanziosa introduzione teorica, presenta i profili di cinque scrittori italiani (di nascita e formazione) che vivono o hanno vissuto negli Stati Uniti. Il loro decano, Joseph Tusiani è un novantacinquenne di origine pugliese e di raffinatissima cultura classica, che scrive poesie in italiano, inglese e latino, che ha tradotto in inglese, per primo, le poesie di Michelangelo e che continua a produrre sia poesia che saggistica letteraria.
Insieme agli scrittori di nascita o origine italiana che scrivono in italiano in America, ci sono quelli (e sono la maggioranza) che hanno adottato l’inglese o per scelta o per necessità. Per molto tempo però, notava Tamburri, questi scrittori erano invisibili in Italia e anche chi studiava letteratura ‘etnica’ americana, ignorava sistematicamente il contributo degli scrittori italoamericani, anche se tra questi ci sono nomi ormai leggendari come Don De Lillo, Helen Barolini e Gay Talese.

E questi erano i cognomi più riconoscibili anche se non avete mai letto una pagina dei loro libri, ma la faccenda si complica se prendiamo, per esempio, il caso di Jhumpa Lahiri, nata a Londra da genitori bengalesi, ha completato gli studi negli USA. La sua carriera letteraria è stata folgorante: il suo primo libro, ha vinto il Pulitzer e quelli successivi hanno ottenuto altri straordinari riconoscimenti critici e di pubblico. Ma a un certo punto Jhumpa è pronta per altre sfide e decide di imparare l’italiano e di continuare a scrivere nella nostra lingua. Il primo volume che ha scritto in italiano, In altre parole (Guanda, 2015) racconta proprio di questa storia d’amore con la lingua di Dante. Da qualche mese è uscito, sempre per Guanda, il suo primo romanzo in italiano, Dove mi trovo e Jumpha e la sua famiglia vivono fra Roma e Princeton dove insegna scrittura creativa (in inglese).

L’autrice di La ragazza con la Leica (Guanda, 2017) vincitrice del premio Strega 2018, è Helena Janeczek, nata in una famiglia ebreo-polacca a Monaco di Baviera. Il suo primo libro era una raccolta di poesie in tedesco. Il suo primo romanzo, Le rondini di Montecassino (in italiano) è un monumentale omaggio ai caduti e reduci di quella storica battaglia, in cui ragazzi provenienti da tutto il mondo si ritrovarono e morirono per liberare dall’orrore della dittatura un paese che, tanti di loro, non avevano mai sentito nominare prima.

Igiaba Scego non è solo giornalista e scrittrice, è anche coscienza critica dell’Italia e sua incapacità di fare i conti con il suo passato coloniale. Nata a Roma da genitori somali, costretti a cercare asilo politico in Italia dopo il colpo di stato di Siad Barre, Igiaba non è solo italiana e somala, è anche molto romana e nutre per la sua città nativa un affetto commovente e un disincanto amaro. Nei suoi romanzi e nei suoi racconti sono ricorrenti il tema dell’identità etnica e delle plurime identità che convivono in una stessa persona.

Amara Lakhous è nato in Algeria da famiglia berbera, ha imparato l’arabo alla scuola coranica e il francesce all’università di Algeri. Quando la situazione politica nel suo paese si fa insostenibile per l’opposizione, Amara comincia tutto da capo in Italia. Vuole scrivere in italiano, una lingua che fino a quel momento ha sentito soprattutto nei film della commedia all’italiana di cui è appassionato. Il suo primo romanzo in italiano, Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio (2006) diventa un caso letterario, ed è stato seguito da un’altra mezza dozzina di romanzi in cui Amara mescola sapientemente diversi generi: dalla commedia al giallo, al romanzo sociale.
La risposta alla domanda dell’esamino iniziale quindi è: TUTTI! Sì, sono tutti scrittori italiani indipendentemente da dove sono nati e dall’origine dei loro genitori. Non conta se l’italiano è la loro lingua madre o la seconda o terza lingua che hanno imparato. Non conta nemmeno dove hanno scelto di vivere. Ciò che conta è che si sentono e sono italiani. È chissà che, ancora una volta nella nostra storia, gli scrittori non siano altro che un anticipo delle trasformazioni dell’intera società.