In questa storia, Non si può arrivare al cuore della verità. Questa la data di partenza di questo importante libro, il primo e finora l’unico a mettere tra le due copertine di un singolo volume tutto quello che si possa sapere ad oggi di Giovanni Pantaleone Aiello, soprannominato da chi l’aveva visto di persona, Faccia da Mostro. Questo ci dice l’autore, Lirio Abbate: non si può arrivare alla verità né del personaggio inquietante; né delle vicende orribili alle quali si dice abbia partecipato, e non solo; né della loro certa cronologia. E nemmeno, di riflesso, sull’Italia di quegli anni scandalosamente misteriosi a tutt’oggi, ai più.
E questo, nonostante quanto si sia preparato e documentato l’autore, rimangono frammenti spezzati di una zona rimasta senza luce: una specie di peccato originale culturale. Perché le ombre e i frammenti in una storia tanto buia sono, diciamolo, da fiaba. I misteri fanno per i bambini, i meno evoluti e i deliberatamente ignari. All’età adulta si dovrebbe arrivare a riconoscere, in questi sedicenti e rassicuranti Misteri, invece, alcune durissime verità; alcuni segreti che sono da ammettere e affrontare, da persone responsabili, per quell’enorme peso che ci si porta dietro; accettandoli e metabolizzandoli per confrontarci, magari, su così tanto male e così tanta terribile verità.
Ostinatamente, Lirio Abbate ci tiene ad illuminarci. Il lavoro di un’intera carriera, prima da cronista, ora da giornalista d’inchiesta, si somma nelle tante opere che questo siciliano ha dedicato al tema: U siccu (su Matteo Messina Denaro), Fimmine Ribelli (sulle donne contro l’Ndrangheta), I complici (sugli uomini di Bernardo Provenzano, con Peter Gomez) e Nostra mafia dei monti (sulle Madonie e il caso Contrada, con V. Bonadonna) e centinaia di articoli. Ha dedicato gran parte dei suoi sforzi e risorse professionali a indagare queste vicende e rivelare questi segreti ob scenum per renderci tutti un po’ più informati su degli eventi e dei personaggi che fanno parte di quella Storia d’Italia mafiosa che, ormai, si conta in secoli.
Lei ha iniziato il suo lavoro nei primissimi anni ’90. Prima come cronista, poi inviato e infine da giornalista d’inchiesta. È riconosciuto tra le prime penne in Italia che si occupano del fenomeno mafioso. Cosa pensa di aver avuto nel carattere o fatto durante la formazione o saputo della vita, che altri giovani cronisti (cub reporters) non avevano, facevano, o sapevano?
“Penso che la mia scuola di giornalismo sia stata vivere insieme a bravi giornalisti che, nel 1990, mi hanno indirizzato a questa professione. Per cui, la strada, la cronaca, vivendo a Palermo, vivendo in Sicilia, vivendo quei fatti di cronaca abbiano contribuito molto. Poi la svolta delle stragi di mafia, dove hanno catalizzato per molti mesi i giornalisti di tutto il mondo a Palermo, con i quali ho lavorato a stretto contatto perché collaboravamo. E da lì, c’è stata la copiatura di una professione – del know-how – che si poteva fare. Per questo ho una buona formazione”.
Ci sono stati scrittori che l’hanno influenzata particolarmente?
“Beh, sì, Leonardo Sciascia, Gesualdo Bufalino e Vincenzo Consolo – sono tre che, diciamo, su cui ho studiato e ammirato le cose che hanno scritto. Poi dei giornalisti: Francesco La Licata, Lucio Galluzzo. Sono giornalisti dai quali ho appreso molto e che mi hanno insegnato moltissimo”.
Com’é stato per lei crescere nella parte della Sicilia in cui abitava da giovane? Cosa pensa le abbia interessato – cosa le incuriosiva – da farle produrre una maggioranza di opere sul questo discorso?
“Penso che ogni siciliano abbia dentro il DNA una parte di mafiosità; che quella può essere utilizzata come un vaccino per combattere questo virus. C’è chi la utilizza invece per aggravare di più la propria personalità. Il fatto stesso di essere siciliano, per cui di conoscere contesti, di conoscere quei codici mafiose/criminali mi ha aiutato invece a combatterle, com’è adesso con il COVID. Conosci il virus; compri il vaccino che può bloccarlo, che può debellarlo. In qualche modo conosci come contrastarlo. Questa cosa mi è servita moltissimo; crescere in una terra e in un contesto dove si conosce, e abbiamo sulla nostra pelle vissuto, i tristi momenti causati da Cosa nostra”.
Nel suo lavoro qual è la percentuale di ricerca sui documenti cartacei e fonti elettroniche e quale quella delle interviste alle persone?
“Ma i documenti hanno la maggioranza. Si basano sui documenti le storie; almeno il 60%. Perché è sui documenti che riscontrano i fatti, le storie. Si bassa il tutto poi, per il racconto. Perché altrimenti diventerebbe un romanzo. E un romanzo è altro, è scrittura, è fantasia. Queste, invece, purtroppo, sono sempre delle storie vere e proprio per questo motivo hanno bisogno di essere riscontrate, documentate; di essere supportate da fonti certe. Per cui la ricerca del documento, la ricerca della testimonianza, è fondamentale nel lavoro che faccio”.
Le piace uno più dell’altro?
“Sicuramente stare in mezzo alle persone perché lì apprendi e hai spunti veri, reali; riesci, in mezzo ai testimoni, ad avere le loro sensazioni per poi riportarle. In questo modo chi leggerà i miei libri si vede come in uno specchio, una realtà in cui si rivede o comunque vede delle cose reali che sono accadute. Altrimenti sarebbe come guardare alla luna. Invece queste storie hanno bisogno di far vedere un discorso reale per cui prediligo di più stare in mezzo alla gente, ai testimoni, che sono poi quelli che di danno anche spunti nuovi e per ancorare tutto”.
Fimmine Ribelli (2013) è il primo dei suoi libri che ho letto. Una delle tante storie che ha evidenziato al lettore, quella di Simona Napoli, l’avevo conosciuta, per caso partendo dal punto di vista del fidanzato ucciso, Fabrizio Pioli.
Cosa le ha fatto scegliere di includere la sua storia, il calvario della Napoli, tra le tante sbrogliate nel libro?
“Perché è la storia che non finisce con il lieto fine. Una storia purtroppo in cui, nel meridione, si sono ripetute anche in altre occasioni. Questa è una storia che abbiamo saputo giudiziariamente, perché c’è un fatto di cronaca che l’ha accertato e l’ho voluta raccontare perché è una delle tante che si verifica e si sono verificate negli anni”.
Giovanni Pantaleone Aiello – il soggetto del libro, che porta il suo alias – Faccia da mostro – è morto d’infarto su quella spiaggia calabrese vicino alla sua baita ad agosto del 2017 nel paesino in cui nacque settant’anni prima. Un personaggio più che chiacchierato, la sua storia – almeno agli addetti ai lavori – è conosciuta da almeno dieci anni.
La tempistica della stesura del libro è collegata a qualcosa di particolare? Perché l’ha scritto ora?
“Perché la ricerca è stata faticosa. La ricerca dei documenti, dei testimoni, delle testimonianze è stata faticosa, è stata laboriosa. Per cui questa è dettata dai tempi che ci volevano per sviluppare e riscontrare i documenti; i tempi tecnici. Ma va avanti da anni; già prima della sua morte nel 2017, già prima. Perché speravo che, in vita, Aiello potesse arrivare anche a dare delle risposte più concrete rispetto a quelle che, in alcune interviste, lui ha dato – ma cosi, sorvolando su cose più serie. Per cui è un lavoro che inizia molto tempo fa. Inizia quando circolava già questa leggenda di uno con la faccia da mostro, che era sempre presente ad alcuni omicidi eccellenti. Per cui, da lì, è iniziata tutta una ricerca per capire se fosse leggenda oppure realtà. E poi si è dimostrato che era realtà”.
Ci sono state delle sorprese per lei nelle sue ricerche di questa storia?
“Sì. Come può vedere, rispetto ai miei libri precedenti, hanno tutti un settore particolare che riguarda, appunto, la criminalità organizzata, la corruzione, le mafie. Per cui ho, per ogni libro, trovato un taglio diverso. La ribellione delle donne; Mafia Capitale; Il Ricatto – che certe informazioni possono essere sfruttate – se vai a rubare nel caveau di una banca, e prendi soltanto i documenti dentro alcune cassette; e poi l’estremismo di destra in collegamento con le mafie; e poi il più grande latitante di tutti i tempi, Matteo Messina Denaro, con tutte le sue connotazioni, e quindi poi, quello che viene dopo. Cioè la cerniera fra un mondo criminale mafioso e un mondo grigio di apparati deviati delle istituzioni. E questo è Faccia da Mostro. Per cui viene fuori la sorpresa che c’è, in alcune situazioni che sono addebitate alla mafia, qualcuno che ha suggerito alla mafia come fare e cosa fare. E questi suggeritori non sono mafiosi ma sono persone legate in qualche modo ad apparati deviati delle istituzioni. Questa storia documentata ha portato a riflettere sul passato. La storia di Giovanni Aiello ci fa capire che questo non è sempre stata soltanto la mafia. In più, la curiosità che accanto a lui ci fosse una donna, anche questa non mafiosa”.
Molti giovani brillanti aspirano a diventare giornalisti ma il numero di posti in cui fanno seri reportage è diminuito nel corso della loro vita. Cosa direbbe a tutti quelli che vorrebbero comunque perseguire la professione?
“Di crederci. Se credono in quello che è il loro sogno, devono insistere e perseguire l’obiettivo. È difficile, è faticoso. Sono momenti in cui non è facile andare avanti. Però se credono in quello che è il loro sogno, devono perseguirlo. Io sono sicuro che se poi, ci credi, alla fine il sogno si avvera”.
Ci può condividere quali sono per lei i progetti del prossimo futuro, che cosa la incuriosisce in questo periodo?
“Beh, mi incuriosisce come le mafie – che sono diventati invisibili – riusciranno a diventare padroni del mercato finanziario imprenditoriale di questo paese che è aggravato della crisi del COVID. Questa cosa mi incuriosisce e penso che cercherò di raccontarla, documenti alla mano”.
Autore: Lirio Abbate
Editore: Rizzoli 2021