Giovedì 9 maggio Teresa Fiore, Professore Associato e Presidente Inserra in studi italiani e italo-americani, era ospite dell’Istituto Italo-Americano John D. Calandra, dove ha presentato il suo libro “Spazi Pre-occupati: Rimappatura delle Migrazioni Transnazionali Italiane e delle Eredita’ Coloniali” pubblicato da Fordham University Press nel 2017.
Il libro affronta il tema delle migrazioni transnazionali da e verso l’Italia nel 20esimo e 21esimo secolo. Due anni dopo la sua pubblicazione, Fiore afferma che il libro “crea tuttora un’occasione per parlare di immigrazione.” Il libro infatti è uscito quando l’immigrazione non era soltanto un tema accademico, ma faceva testate, era discusso da tutti, e influenzava persino agende politiche.
Il libro inizia con una considerazione: l’Italia è nata tramite l’unificazione di molti piccoli stati e regni. L’Italia ha una lunga storia di frammentazione e fa tuttora fatica a formulare chiaramente le idee di “unità” e “identità nazionale.” In luce di tutti questi processi, cosa significa essere italiano?
Nei primi cento anni dopo l’unificazione, circa 27 milioni di persone lasciarono l’Italia. La maggioranza di queste andarono negli Stati Uniti (c’è un motivo per cui il detto “lo zio di Brooklyn” ha preso piede), ma anche in Argentina, Brasile e Francia. Alcuni italiani, memori del passato coloniale italiano, si trasferirono in Libia, Etiopia, Somalia, Eritrea ed Albania. Tutti questi italiani crearono una diaspora che, secondo lo storico Rudolph Vecoli, rappresenta “la più grande emigrazione da qualsiasi paese.” Questa diaspora si espande man mano che la popolazione italiana cresce in questi Paesi, al punto che le comunità di italiani all’estero cominciarono a essere chiamate “colonie” con un chiaro connotato politico.
Negli anni ’70, in un periodo di tempo molto breve, l’Italia si trasforma da un paese di partenza ad un paese d’arrivo. Al giorno d’oggi ci sono 5 milioni di immigrati che vivono in Italia. La percentuale di stranieri in Italia è in linea con quella degli altri paesi europei, con l’unica differenza che l’Italia non è mai stata uno stato coloniale nel senso stretto del termine. Questo significa che il mito dell’invasione che ha cominciato a circolare in Italia è un falso mito, e che lo stato d’emergenza che alcuni hanno cercato di creare e’ uno stato manufatto.
In Italia c’è un diffuso senso di preoccupazione ed allarmismo, mentre il fatto che l’Italia ha una lunga storia di migrazione e che la migrazione ha fatto parte della storia di molti italiani si sta dimenticando. Lo spazio, che e’ centrale in questo libro, è “preoccupato,” allarmato dall’arrivo di tutte queste persone, ma è anche “pre-ccupato” dalla storia d’emigrazione ed immigrazione italiana. Le storie degli italiani nei primi cento anni dopo l’unificazione non è molto diversa dalla storia dei migranti che oggi arrivano in Italia: entrambi hanno lasciato la loro patria, hanno rischiato e perso vite in mare, e hanno dovuto lottare per integrarsi.
Il libro finisce proponendo un terzo significato di “preoccupato,” che è “indaffarato.” Fiore spiega: “Invece di creare retoriche sempre più rigide nei confronti degli immigrati, l’Italia dovrebbe essere preoccupata (indaffarata) a definire vie legali d’accesso per i migranti, soprattuto visto le passati e presenti oppurtunità offerte agli italiani all’estero, i quali vedono i loro visti e permessi come un diritto.” Inoltre, “mentre gli italiani all’estero vengono aggiunti ai registri nazionali di cittadini ed elettori, l’Italia dovrebbe essere preoccupata (indaffarata) a definire una legge di cittadinanza che protegga gli immigrati residenti in Italia (e un sistema di asilo politico che garantisca protezione totale.)”
Per concludere, dovremmo essere tutti “preoccupati” in questo ultimo senso della parola e, per citare Fiore un’ultima volta, creare uno spazio che “possa dissipare la preoccupazione.”