
Un nuovo romanzo sul potere salvifico della montagna, e per estensione dei saperi pratici, che sono l’altra faccia della vita in montagna. Ma questo è anche un libro su un rapporto padre-figlio complicato dalla “malattia” (metto la parola fra virgolette, poi spiegherò perché); qualche anno fa Se ti abbraccio non aver paura di Fulvio Ervas, centrato anch’esso su questi temi, ebbe un inaspettato successo, e non è difficile immaginare che lo stesso potrebbe succedere con La manutenzione dei sensi.
Ancora una volta, l’ambiente delle alte quote viene raccontato da un personaggio che non c’è nato e che la montagna se l’è scelta per “cambiare vita”. Ciò potrà insospettire i (pochi) scrittori montanari autentici che ci sono in giro, come Nicolussi Golo, ma rappresenta in ogni modo un dato sociologicamente interessante: se da un lato la montagna si spopola – non ovunque, laddove sono state adottate politiche accorte la gente continua a viverci – dall’altra i cittadini guardano ad essa con una nostalgia e un desiderio che non possono essere placati con una semplice vacanza.
Il protagonista del romanzo, è, come l’autore, Franco Faggiani, romano trapiantato a Milano, un giornalista. Giornalisti o comunque impegnati in lavori che hanno a che fare con la comunicazione e le parole sono anche i protagonisti de I colori della crudeltà di Joseph Zoderer e de Le otto montagne di Cognetti, entrambi recensiti qui sulla Voce. La scrittura di Faggiani è meno tormentata di quella del primo, autore sudtirolese che dei montanari ha raccontato anche le chiusure, le asprezze, e meno tersa, levigata, esemplare di quella del secondo, montanaro ma anche newyorkese per scelta e volontà, non per destino di nascita. Tuttavia il sentire che emerge da queste pagine è simile. Di nuovo, la montagna rende possibile una svolta esistenziale.
Il dottor Guerrieri sceglie di trasferirsi per vari motivi. Perché dopo la morte improvvisa della moglie, mentre lui era altrove per lavoro, la sua vita è iniziata ad andare a rotoli, anche professionalmente. Poi perché era sempre stato il sogno di quella consorte conosciuta proprio durante una scalata, trasferirsi in una baita, debitamente ristrutturata. Ed ancora, perché la figlia Nina, ragazza dall’energia e dalla volontà inarrestabili, andrà comunque a vivere negli Usa. Infine perché il ragazzo silenzioso di cui, dopo essere rimasto vedovo, aveva chiesto – spinto da Nina – l’affidamento temporaneo, Martino, si è scoperto abbia la sindrome di Asperger.

Avrete capito che in questo modo abbiamo tutti gli elementi fondamentali per far sì che la metafora contenuta nella montagna diventi assolutamente esplicita: montagna come percorso salvifico (è in salita, la salvezza costa fatica), e come ascesi ad una nuova condizione, migliore, più chiara, più pura (come l’aria che si respira lassù). Attenzione: questa visione un po’ romantica della montagna è molto moderna. In precedenza, essa era vista come un luogo di solitudini e terrori sconosciuti. In ogni modo, spira su queste pagine il soffio della quotidianità, piuttosto che quello dello Sturm und Drang. Le descrizioni sono pulite ed essenziali. Le iperboli che a volte cime, crinali, nevai e burroni ispirano, qui non sono di casa. Il che, tutto sommato, va a vantaggio della storia raccontata.
La sindrome di Asperger viene descritta a Guerrieri dai medici che interpella: “Non è una malattia, sia chiaro, non ci sono farmaci da somministrare. Questa sindrome, per rimanere terra terra, è una lontana parente dell’autismo, ma meno evidente nelle sue manifestazioni. Non indica una disabilità, ma un’abilità pilotata da meccanismi ancora in parte sconosciuti”.
Scopriamo così che a convivere con la sindrome di Asperger sono, o sono stati, fra gli altri, Darwin, Newton, Bertrand Russel, Mozart, Spielberg. Però attenzione: non è che tutti coloro che ne soffrono siano destinati a diventare dei geni, sottolinea una terapeuta (né che possano mettere le loro doti a servizio di qualche capacità curiosa e magari redditizia, come accade al Dustin Hoffmann di Rain Man). Sindrome di Asperger significa spesso passare da un estremo all’altro dell’ampia gamma delle espressioni emotive, significa non comprendere le metafore, significa tendere all’isolamento e a volte “non funzionare per niente”. Bisogna imparare a conviverci, spiegano tutti all’interessato. Il quale dal canto suo ha sempre intrattenuto con quel figlio adottivo, che non ha mai sentito come realmente tale, un rapporto fondato perlopiù sul “vivi e lascia vivere”.
La montagna rappresenta una svolta per entrambi. Per Martino, grazie in particolare ad un tipico montanaro, che lo addestra ai lavori manuali delle alte quote: pascolo e mungitura delle vacche, cura degli orti e dei campi e così via. Ma anche per Guerrieri, e qui la montagna diventa anche sinonimo di scoperta, perché è grazie a queste nuove esperienze che il padre è messo nella condizione di scoprire aspetti del figlio che altrimenti, nella routine della vita di città, sarebbero rimasti probabilmente inespressi.
La manutenzione dei sensi alla fine è questa: un modo di stare gli uni vicino agli altri, senza clamore, di convivere rispettando spazi, tempi ed esigenze altrui. Di “curarsi” affidandosi perlopiù a cose da fare assieme, anziché a lunghe terapie o all’ambiguità delle parole.
Franco Faggiani La manutenzione dei sensi, Fazi, 2018.