Quando, nel 1979, Tom Petty da Gainesville, in Florida, incise il suo terzo album Damn the Torpedoes, che collezionò diversi dischi di platino e lo rese immortale anche in Italia, si poteva giustamente pensare che, sì un'altra rockstar era nata. Ma che il biondo Tom sarebbe finito un giorno nel titolo di un romanzo, per di più di un autore del Belpaese (anche se espatriato o expat, come si dice oggi), quello no, non era facile immaginarlo.
A Tom Petty è infatti intitolato il romanzo di Marco Patrone, esordiente per Transeuropa, la piccola, gloriosa casa editrice fondata da Pier Vittorio Tondelli che negli anni '90 lanciò il Jack Frusciante di Enrico Brizzi, romanzo di formazione che ammiccava anch'esso, fin dal titolo, al mondo della musica (come i brizziani sanno, Jack in realtà si deve leggere "John", in omaggio al chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, che all'epoca aveva appunto abbandonato la sua band).
Il romanzo di Brizzi era ambientato a Bologna, città che ha conservato la sua dimensione provinciale, pur essendo anche, come cantava Guccini, "Parigi in minore". Come una ballata di Tom Petty di Patrone, che vive e lavora a Monaco di Baviera, ci porta in un'altra provincia, quella di Massa, fra mare e montagna.
Patrone, che cura anche un sito web dedicato ai libri e i social ad esso collegati, mette in scena in questo romanzo parzialmente on the road la fuga di un personaggio che molto dovrebbe somigliargli, almeno nei dettagli: un manager italiano trapiantato a Monaco, non più giovane, non ancora anziano. Giunto ad un punto morto della carriera e stufo della sua esistenza in Germania – ma non disperato, il tono è sempre ironico, a volte elegiaco – all'improvviso decide di lasciarsi alle spalle l'azienda e la donna glamour con cui è impegnato per ritornare nei luoghi della sua adolescenza.
È una fuga alla ricerca di un'altra vita, lontano dalle responsabilità e dalle frustrazioni dell'esistenza "adulta", una fuga che molti lettori avranno senz'altro immaginato per se stessi. Ma è anche tutto sommato una fuga giudiziosa: pur rendendosi conto del carattere romantico e un po' ribelle del gesto – partire senza alcun preavviso, con l'auto aziendale – Marco si sente comunque "un bravo ragazzo, uno che sistematicamente alterna innocenti errori dovuti all’eccesso di sicurezza ad altri risultato di un’insicurezza enorme e sempreverde, in perenne agguato dietro gli angoli".
Ciò che lo attende a Massa è ancora meno chiaro, a parte i ricordi: degli amici e dei primi amori, della musica, certo, compreso il sogno tardoliceale di scrivere la canzone pop perfetta, ma anche degli amori letterari, Joyce in testa. Per il resto, buio totale. "Il manager che cerca la carriera sui sentieri ripidi del capitalismo e poi, alla prima difficoltà, si arrende e si mostra redento. Era questo, il mio destino? Elemosinare amicizie passè?". Ed invece, il destino riserva a Marco un doppio incontro, con un amico/rivale divenuto scrittore e con la sua prima fiamma.
Conterrò la mia naturale tendenza a raccontare trame e a svelare finali. Basti aggiungere qui che la storia, narrata in prima persona, si snoda fra Italia e Europa, autostrade italiane e discoteche bavaresi, gruppi ormai andati come i Mötley Crue e Facebook, sesso e lacrime. L'attitudine generale a volte ricorda quella comprensiva, intrisa di bonomia di un Nick Hornby. Ma il registro, fra l'ironico e il malinconico, è lo stesso che ritroviamo ad esempio in tanto cinema italiano che ha come sfondo la nostra variegata – eppure per molti versi uniforme – periferia, a cui il sentimento del tragico è estraneo. Naturalmente la malinconia è data in primo luogo dal tempo che passa, anzi, che è già passato; ma nel fare confronti ci scappa sempre un sorriso. "Posso dire questo: ci sono cose che adesso esistono e allora non esistevano. Baciarsi sulla bocca tra ragazze non era considerato titolo di merito. Le mie compagne di classe avevano relazioni serie con ragazzi più grandi e non si facevano fotografare downblouse (o addirittura upskirt) dai compagni. Le mie professoresse non le immaginavo a molestare i loro allievi di sesso maschile. Quando si cantava il finale modificato di Vita spericolata urlando '…ognuno in fondo perso per i cazzi suoi' ci si sentiva molto trasgressivi!".
Niente che non sapessimo già. Ma niente che ci dispiaccia rileggere. Magari mentre sogniamo anche noi una vita meno ordinaria, o mentre ci chiediamo come sarebbe andata se il sogno coltivato sui banchi di scuola si fosse infine avverato. Oppure mentre ci accorgiamo che in fondo male non è andata e che se lo vogliamo rimane del tempo, abbastanza tempo, per ricominciare.
Marco Patrone, Come in una ballata di Tom Petty (Transeuropa, 2015).