Si potrebbe pensare che le storie di emigrazione in fondo siano tutte uguali. Errore. Esse hanno sì molte cose in comune: ma ognuna racchiude anche un destino individuale, che brilla per la sua unicità. Grazie allora alle Edizioni Biblioteca dell'Immagine di Pordenone, che questa unicità hanno deciso di preservarla e valorizzarla con una collana dedicata appunto alle voci degli emigranti (come li si chiamava fino a 20-30 anni fa, nel frattempo la "e" si è persa e noi oggi per definire chi arriva in Europa dall'Africa, dall'Asia o dai Balcani usiamo il termine "migranti", forse per richiamare più fortemente l'idea di un destino perenne, che non si esaurisce mai).
Sono storie di emigrazione italiana, dunque, quelle raccontate dal benemerito piccolo editore, storie che a volte ci pare di avere già sentito raccontare, dalla voce di qualche parente o anche dalle strofe di una canzone. Storie che oggi, come dicevamo, viene naturale accostare a quelle degli emigranti o migranti che a migliaia raggiungono i confini dell'Italia e soprattutto le sue coste: colpiscono per le affinità di fondo – sempre si lascia la propria terra per avere un futuro migliore, sempre a questo si deve mescolare un po' di spavalderia, di spirito di avventura – ma anche per le differenze. Le principali sembrerebbero essere queste: in passato le migrazioni erano organizzate, i fattori di attrazione (verso le Americhe o qualche altra meta) erano almeno altrettanto forti di quelli di espulsione, e nulla era lasciato al caso: contratti, documenti di viaggio, sanità, trasporti.
Ma forse questa è un'impressione parziale e le carrette dei mari di cui ci parlano ogni giorno i telegiornali non sono poi così diverse da quelle navi chiamate Lazzaro che 100 anni fa gli armatori caricavano all'inverosimile di nostri connazionali per mandarle all'avventura nell'oceano Atlantico. E, d'altro canto, anche oggi i flussi migratori devono pur avere una loro organizzazione interna, una loro intrinseca razionalità, anche se a noi pare sia quella delle organizzazioni criminali che se ne fanno carico e null'altro, un'organizzazione che prospera nell'illegalità ed è governata più dai fattori di espulsione (dalla terra di origine) che da quelli di attrazione (il bisogno di forza lavoro generatosi nelle terre di accoglienza. Anche se, certo, il fattore di attrazione per eccellenza spesso è semplicemente il desiderio di un po' di libertà e sicurezza).
Tutto questo per parlare di Diritto di memoria, di Andrea Nicolussi Golo, uno degli ultimi titoli dell'editore pordenonese, uscito lo scorso aprile. La storia raccontata è quella di un ragazzo, Zeno, che alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale lascia il suo paese sulle Alpi del Trentino (allora Welschtirol, o Tirolo italiano, estremo lembo meridionale del grande impero austroungarico) per l'Argentina. Attenzione: la guerra fa da sfondo anche qui all'emigrazione, come nelle storie di tanti somali, eritrei, sudanesi, siriani. Ma non costituisce la ragione principale per espatriare, anzi, Zeno non sembra essere nemmeno consapevole di stare per scampare al Primo grande macello del Secolo breve. È il padre a dirgli: "Per che cosa credi che stiano costruendo quelle fortezze (le stesse che si visitano oggi nell'altopiano di Lavarone-Folgaria-Luserna, patria del giovane emigrante, nda), per giocare?". No, la ragione principale per staccarsi dalla casa paterna è lasciarsi alle spalle la povertà e le ristrettezze della vita in montagna, unita all'esistenza di una "macchina organizzativa" bene oliata, che in questo romanzo si incarna nella figura del Conte, che un giorno di luglio approda all'osteria Del Tricolore con i contratti già belli e pronti per essere firmati. Ed è sempre il Conte ad incaricarsi del trasporto di Zeno, con la carrozza postale, dal paese fino a Trento, poi da Trento, con il treno (quattro vagoni solo per gli uomini reclutati in Trentino, più altri agganciati a Verona!), fino a Genova, e infine, con la nave, attraverso le tempeste, le febbri, le storie di Basilischi e Leviatani, fino a La Plata, il porto di Buenos Aires.
Qui, nel nuovo mondo, le speranze sembrano sfaldarsi: di emissari del famoso Conte neanche l'ombra, mentre dall'Europa arriva la notizia che l'Italia ha dichiarato guerra all'Austria. Ma alla fine per Zeno la chiamata arriva: un altro viaggio, fino alla provincia di Santa Fe, e poi a Estela, "solo un punto sulla carta geografica", ma un punto tracciato da un italiano, originario delle Langhe, Nicola, che dal nulla ha creato una "città pulita e ordinata", che ha già una scuola, in cui insegnano tre maestri, e una chiesa. Una città circondata da terra "nera, grassa e feconda", come nelle sue montagne Zeno non ha mai visto. Sembrerebbe un precoce lieto fine, ma non è così: la vicenda – rigorosamente vera, ci dice l'autore – procede attraverso alterne fortune e sfortune, fra cui un matrimonio a distanza, la creazione di un caseificio, il primo di questa parte di America Latina, un delitto attribuito agli anarchici, le cui conseguenze si ripercuotono su Zeno e la sua giovane sposa, e una nuova emigrazione o migrazione che dir si voglia, in Brasile.
Andrea Nicolussi Golo, operatore culturale all'Istituto cimbro di Luserna, accademico del Gruppo italiano scrittori di montagna, già traduttore in lingua cimbra, su licenza di Einaudi, del capolavoro di Mario Rigoni Stern Storia di Tonle racconta questa piccola epopea individuale, così simile a quella di tanti altri emigranti, e al tempo stesso così unica e preziosa, con un linguaggio commosso, a volte un po' retro come sanno esserlo le storie che si raccontano attorno ad un focolare. Bello leggerla e bello leggerne altre, anche per confrontarle, scusate l'insistenza, con quelle dei migranti di oggi, con le storie di chi ce l'ha fatta, a superare il Canale di Sicilia, a trovare un lavoro e magari a mettere su famiglia, e di chi non ce l'ha fatta, come quella raccontata da Giuseppe Catozzella in uno dei romanzi finalisti all'edizione 2014 del Premio Strega, di cui parleremo a breve. E forse, perché no, ad esse potremmo aggiungere ancora le storie di chi cerca di saltare il muro che divide gli Stati Uniti dal Messico, o di chi ogni giorno passa ore in fila per superare il muro che separa la Cisgiordania da Israele, altre frontiere ancora, in un mondo che a parole tutti vogliono sempre più aperto, permeabile, democratico e (neo) liberale.
Infine, forse è venuto anche il tempo di iniziare a raccontare storie contemporanee, di italiani emigrati (o "espatriati", altra parola ancora, dal sapore curiosamente antico e moderno assieme) non per fame ma per il desiderio di avere maggiori opportunità, per poter realizzare qualche sogno, per valorizzare appieno i propri talenti, in Italia troppo spesso soffocati da mali ben noti. Storie come quelle che anche La VOCE di New York racconta in qualche sua rubrica.
La frase: "Nella Merica chiamata Argentina non ci sono clandestini, tutti assieme italiani, polacchi, neri, cinesi, sono suoi figli e assieme costruiranno quella nazione".
Andrea Nicolussi Golo, Diritto di memoria, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, 2014.