
A partire da oggi e fino al 7 aprile la galleria Hauser and Wirth (sede della parte bassa di Manhattan) ripresenta pressoché nella loro totalità gli oggetti già esposti nel maggio del 2015 (sede nella parte alta), costituenti una selezione delle opere di Fabio Mauri, artista multimediale romano spentosi nel 2009 a 83 anni. Le due mostre si inseriscono d’altra parte in una vasta collana di presentazioni che si sono tenute in varie città europee e americane a partire dalla seconda metà dello scorso secolo (almeno quattro negli Stati Uniti, numerosissime a Roma, Milano, Londra e nel resto del globo; oltre ad apparizioni in sei Biennali di Venezia), e sono praticamente tutte dedicate allo stesso soggetto: un’indagine dell’ideologia fascista dedicata però quasi esclusivamente al nazismo, sia nella maniera in cui questa ideologia si è effettivamente manifestata nella storia, sia nelle sue successive ripercussioni in campo politico e artistico.
Anche se i titoli delle varie mostre sono diversi e generalmente enigmatici (quella attuale, per esempio, è “With Out”, quella del 2015 “I am not new”, “non sono nuovo”; però tutte e due si rifanno a “Ebrea”, tenutasi in una galleria trasteverina di Roma nel 1971) gli oggetti esposti sono sempre molto simili e si spiegano essenzialmente con le circostanze di vita e di lavoro dell’artista che, appartenente alla famiglia israelita dell’editore Valentino Bompiani, a partire dagli undici anni, cioè dal 1938 quando a Roma Mussolini credette bene di associarsi a Hitler pubblicando le leggi razziali antisemite, avvertì durante tutta la vita, direttamente nella propria famiglia, gli echi e le conseguenze della politica hitleriana.

Installation; canvas, bronze
Installation view Galleria d‘Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, Bergamo, Italy (2005) © Estate Fabio Mauri Courtesy the Estate and Hauser & Wirth
Tutta la sua produzione artistica, in una carriera durata cinquant’anni e intrapresa inizialmente attraverso il gruppo che si accodava a Pier Paolo Pasolini, insiste sugli stessi temi. L’esposizione attuale si apre con due grandi tele monocrome, sotto le quali è una piccola statua in bronzo di Joseph Goebbels, braccio destro di Hitler per la propaganda; e al disopra il titolo “Entartete Kunst”, cioè il nome della famigerata mostra dell’”arte degenerata” con cui il nazismo hitleriano cercava di deridere e condannare la maggior parte dell’arte tedesca contemporanea. La maggioranza degli oggetti creati da Mauri simboleggia, con sottili riferimenti o anche direttamente, i tempi e gli eventi del nazismo: per esempio un gruppo di saponette, ognuna delle quali ha il nome di uno dei campi di concentramento hitleriani, o una sedia fatta – dice la targhetta – con la pelle dei prigionieri ebrei dei campi di concentramento; pennelli fatti con i capelli dei prigionieri (presumibilmente, una riproduzione) o un gioiello fatto con i loro denti. Una carrozzina per bambini è quella (dice il cartellino; ma sicuramente una riproduzione) che fu”eseguita con la famiglia Modigliani a Lodz nel 1940” mentre una valigia di pelle nuovissima è presentata come “una valigia ebrea” del 1971.

Nella serata di apertura della mostra si sono svolte contemporaneamente due “performance” create dall’artista rispettivamente la prima nel 1978, la seconda nel 1982. La prima, intitolata “Europa sotto le bombe” si concentra in una signora tedesca di 74 anni vestita e atteggiata come Marlene Dietrich nel famoso “Angelo Azzurro,” che legge un libro; la seconda, intitolata “L’espressionista”, è incarnata in un giovanotto che si avanza su sci, improvvisando disegni che getta poi per terra. Le “performance” inventate da Mauri sono state molto apprezzate in Italia, sebbene echeggino gli “happenings” della “Pop art” americana, generalmente molto più efficaci e che nello stesso periodo si producevano a New York e in California.
Quanto alla rapida avanzata di Mauri nel mondo dell’arte e specificamente nella cosiddetta “avanguardia italiana” anch’essa si spiega con la sua vita. Egli fu infatti un importante esponente degli aspetti economici e organizzativi dell’editoria italiana, prima come presidente delle “Messaggerie”, poi presidente della casa editrice Garzanti.
Questa seconda esposizione newyorkese di Mauri si svolge, probabilmente per semplice coincidenza, nello stesso periodo in cui al Consolato generale d’Italia si tiene il cosiddetto “Giorno della memoria”, in cui dei volontari (tra cui, inizialmente, chi scrive) commemorano l’Olocausto ebraico leggendo i nomi delle vittime italiane. Io ho tuttavia suggerito che d’ora in avanti venga alternativamente celebrato un “Giorno della memoria” destinato alla tragedia dei palestinesi lasciati senza patria dalla politica degli estremisti sionisti, tragedia che Mauri, se fosse ancora in vita, sarebbe il primo a condannare come eco del fascismo nazista.