È il momento di ricordare Massimo Vignelli, massimo esponente del design modernista morto a 83 anni a New York l’anno scorso, senza che la sua collega, collaboratrice e moglie Lella abbia voluto finora enfatiche cerimonie commemorative.
Erano arrivati qui una cinquantina di anni fa, tenendosi per mano, già famosi in Italia ma qui ancora non molto conosciuti; però lui temuto dai burocrati dell’immigrazione perchè membro in Italia del partito comunista, ragione per cui quasi stavano per rimandarlo indietro. Quando i titubanti epigoni del maccarthysmo capirono che il nuovo arrivato non era un emissario satanico di Mosca ma solo un idealista alla Picasso, e che per di più lui e Lella erano due geni del design internazionale che agli USA avrebbero aggiunto solo prestigio, lasciarono che rimanesse.

Massimo Vignelli
Negli anni successivi Massimo è stata una figura centrale dell’ambiente artistico di Manhattan nell’epoca d’oro in cui stavano arrivando qui tanti altri maestri italiani da Chia a Simeti, da Clemente a Guarino: era l’epoca d’oro dell’arte newyorchese, sotto l’egida del gallerista Castelli e mentre chi era curioso della nuova arte che da New York si irradiava sul pianeta si aggirava intorno alla factory di Andy Warhol. Warhol e i due Vignelli: personaggi indimenticabili, di cui anche chi scrive ebbe il privilegio di essere interlocutore e amico.
Ma tra la folla anonima qui Massimo e Lella sarebbero diventati celebri soprattutto per uno dei loro disegni, quello della nuova mappa schematica della metropolitana di New York e dei dischetti numerati multicolori che mettono un ordine tra i fili di quella tela di ragno. Da allora quei dischetti sono diventati vere e proprie icone di New York, sprizzanti energia figurativa tale che non molto tempo prima che il povero Massimo se ne andasse c’era stata in una delle gallerie più prestigiose di Manhattan una mostra centrata soltanto su quei dischetti colorati.
Che gesto privato più adatto, ho pensato, per ricordare Massimo, se non un viaggio sulla metro o, come è qui chiamata, della subway, linea numero 6 (dischetto blu), per arrivare con la stessa dalle parti del MoMA, il Museo d’arte moderna che custodisce e regolarmente espone innumerevoli esempi delle opere create in USA da Massimo e Lella Vignelli, le loro sedie, i loro bicchieri, i loro piatti, i loro simboli industriali? Movimenti di uno spirito detto modernista ma in realtà senza tempo, di cui rimarranno anche esemplari in un edificio che Massimo e Lella avevano fatto costruire su loro disegno nello stato di New York, per poi lasciare il tutto, un giorno, al centro di studi del design che hanno formato presso l’Università di Rochester, a qualche ora di macchina da New York città.
Tornando alla metropolitana e al MoMA, se ci si va adesso si fa anche ancora in tempo a vedere lì al Moma una delle mostre retrospettive più affascinanti del momento, quella di Jean Dubuffet, che non sembrerebbe di avere con la memoria di Massimo nulla a che fare, se non fosse per alcune metafore e coincidenze che invece in me almeno un rapporto lo evocano, un rapporto fatto di spirito che interroga, e anche di umanità e di gentilezza.
Appena si entra nella mostra Jean Dubuffet, Soul of the Underground, infatti, che cosa si vede nella prima vetrina a destra se non le illustrazioni esplosivamente popolaresche di Dubuffet per il libro delle M─ùtromanies, ou les dessous de Paris di Jean Paulhan? in cui i volti schignazzanti, la ressa informe, il chiasso pervadente della metropolitana – quella di Parigi, la più antica del mondo, ma anche quella di New York celebrata da Massimo e Lella, sulla quale io li incontrai, come sempre stretti uno accanto all’altro come scolaretti che si tengono per mano, l’ultima volta che li vidi non troppo tempo fa – ti assalgono per raccontarti la loro incontenibile storia? e quali illustrazioni della loro e nostra vita, di un Massimo, di una Lella che resta, di una mia Paola che pure ci ha lasciato, sono più umilmente ammirabili delle misteriose, metafisiche scritte che appaiono sulle mura scrostate e ricoperte di graffiti e misteriose scritte: Je te pense dès Samedi dernier, Je reviens de suite, tradotte nelle bellissime incisioni di Dubuffet sulla metropolitana, intonate a quella che lui chiamava l’Ãme du Sous Sol, l’anima del profondo, che adesso avvolge tanto Dubuffet quanto Paulhan, la mia Paola, Massimo Vignelli nella sua ombra amica?
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