Dopo sei anni di silenzio (Manhunt, 2017), John Woo torna a dirigere un film hollywoodiano come non si vedeva dai tempi di Paycheck (2003). Silent Night (Il silenzio della vendetta) è il settimo lungometraggio americano del regista di Hong Kong divenuto celebre a livello internazionale per i suoi film d’azione – ormai dei cult del genere – tra cui A Better Tomorrow (1986), The Killer (1989), Face/Off-Due facce di un assassino (1997) e il blockbuster Mission: Impossible 2 (2000): film, specie i primi due, che hanno influenzato generazioni di cineasti, fra cui Quentin Tarantino.
Il suo ultimo lavoro, nelle sale Usa da sabato 1 dicembre, è un revenge movie ad alta tensione che si basa su immagini, musica e suoni ma non ricorre all’uso della parola, come in un altro film recente, Nessuno ti salverà di Brian Duffield (un thriller psicologico raccontato attraverso gli occhi di una giovane donna sola, con un passato doloroso e assediata dagli alieni). Si tratta di una tendenza? È troppo presto per dirlo, però è interessante notare che, circa cento anni dopo l’era del cinema muto, alcuni registi stiano esplorando la possibilità di creare lungometraggi privi di dialogo. Nota curiosa: entrambi i film sono stati annunciati durante il recente sciopero della SAG-AFTRA, che imponeva agli attori di non parlare alla stampa dei loro progetti cinematografici!
Silent Night è una cruda storia che vede il bianco Natale lasciare il posto al rosso sangue, è un film che ridefinisce il genere film d’azione con una narrazione viscerale da brivido e in cui l’azione conta letteralmente molto più delle parole. Va da sé che, essendo un film di John Woo, assistiamo a sequenze d’azione coreografate come balletti di morte, sparatorie acrobatiche, brio stilistico scatenato (ralenti, dolly, carrellate mozzafiato). Il tutto si apre però con una scena lirica: un palloncino rosso che vola nel cielo, simbolo di innocenza perduta che riporta alle origini del cinema (lo stesso aveva fatto Fritz Lang nel capolavoro M-Il mostro di Düsseldorf, 1931).
Ancora in lutto per la morte del giovane figlio, rimasto ucciso nel giorno della Vigilia di Natale (quella in cui negli Usa si canta Silent Night, appunto) nel fuoco incrociato di uno scontro fra bande di narcotrafficanti, un padre di famiglia, Brian Godlock, sceglie lo stesso giorno dell’anno successivo per punire i colpevoli. Ferito alla carotide durante un inseguimento da parte degli assassini, e quindi ormai muto, l’uomo, dimesso dall’ospedale, si addentra nei bassifondi criminali per compiere con ogni mezzo la sua silenziosa vendetta verso chi gli ha strappato suo figlio.
Nel ruolo principale c’è l’attore svedese Joel Kinnaman (Robocop, Suicide Squad), affiancato dal “cattivo” Scott Mescudi (alias il rapper Kid Cudi) e da Catalina Sandino Moreno (già ammirata nel pluripremiato Maria Full of Grace). Silent Night ricorda il cinema virile di Sam Peckinpah, i noir crepuscolari di Jean-Pierre Melville, i western di Sergio Leone e la virilità del mondo di Martin Scorsese. Woo ricorda Peckinpah nella scelta dei temi, copiandolo spudoratamente in quasi tutti i suoi finali, ma avvolge i personaggi in un’atmosfera talvolta melò: come in questo finale che però stona con il resto del film, soffocando il lirismo e l’estetica della violenza che lo hanno reso celebre: Woo, come in un compromesso, dà spazio ad una scena strappalacrime troppo “hollywoodiana”, quasi un grazie dovuto a chi gli ha consentito di tornare, a settantasette anni, a dirigere nel Paese a stelle e strisce.
Perché mai “dovuto”? Dopotutto, nei suoi venti anni di ritorno in Cina, dopo i blockbuster hollywoodiani, ha diretto i riuscitissimi La battaglia dei tre regni (2008), La congiura della pietra nera (2010) e The Crossing (2014), dimostrando indiscutibilmente la sua bravura dentro e fuori ogni confine.
Grazie ad un montaggio serratissimo e ad un crescendo musicale natalizio che va dal classico Carol of the Bells all’Inno alla gioia di Beethoven, la mancanza di dialoghi in Silent Night non ha tolto nulla al film: anzi, ha solo reso più forte il desiderio del regista di trasmettere correttamente le emozioni esterne dello scontro e quelle interiori di Brian Godlock/Joel Kinnaman per farle sentire più profondamente allo spettatore.
È la storia a dover essere al centro e non i tanti effetti speciali spesso abusati in molti film d’azione a discapito del messaggio che ogni film contiene: questa è una solida, inconfondibile particolarità dei film di John Woo, il quale ha sempre ritenuto che i film d’azione debbano essere arricchiti solo da ciò che la sceneggiatura permette, proponendo così una versione personale in cui l’adrenalina non è tutto, ma c’è spazio anche per il dramma e il messaggio.
Ad enfatizzare le scene mozzafiato è l’ottima colonna sonora di Marco Beltrami, compositore americano di origini italiane due volte nominato all’Oscar e che ha collaborato con molti registi iconici del cinema, tra cui James Mangold, Bong Joon-ho, Robert Rodriguez, Luc Besson, Guillermo Del Toro e Wes Craven.