“Qualche volta ho fatto foto che forse erano utili. Segregazione razziale, guerra fredda, ma non l’ho fatto in modo premeditato. Le fotografie non si preparano, si aspettano. Si ricevono”.
A raccontarlo era Elliott Erwitt, il fotografo americano deceduto ieri a New York all’età di 95 anni, che attraverso i suoi scatti in bianco e nero era riuscito a interpretare la realtà con disincantata ironia.
Per oltre mezzo secolo ha fedelmente immortalato nelle sue sequenze eventi fortuiti in strada o coincidenze bizzarre, utilizzandoli come metafora per far riflettere sulle vicende umane.
Elio Romano Erwitz era nato a Parigi il 26 luglio 1928 da genitori russi, ma dopo aver trascorso i primi anni d’infanzia a Milano si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, inizialmente a Los Angeles e successivamente a New York dove frequenterà la New School for Social Research che lo farà avvicinare al mondo dell’arte e della creatività.

Negli anni Cinquanta, Erwitt inizia a lavorare come assistente di Roy Stryker – un economista e fotografo statunitense, famoso per essere stato responsabile della divisione di informazione della Farm Security Administration durante la Grande Depressione e per aver lanciato il movimento di fotografia documentaria della FSA -, che gli permette di conoscere altri due straordinari fotografi, Edward Steichen e Robert Capa, fondamentali per il suo percorso professionale.
L’artista, che nel frattempo diviene fotografo indipendente, intraprende anche collaborazioni con riviste del calibro di Collier’s, Look, Life e Holiday, e con Air France e Klm per cui realizzerà campagne pubblicitarie. La svolta arriva però nel 1953, quando entra a far parte della prestigiosa agenzia fotografica Magnum di cui diviene per un breve periodo anche presidente; da lì la sua carriera decollerà definitivamente, e verrà consacrato fra i fotografi più influenti del Novecento.

Celebri i suoi ritratti di Marylin Monroe, Che Guevara, Nixon ma anche quelli dedicati ai cani, per cui nutriva una grande passione – di loro aveva detto, “non ti chiedono di mandargli la foto e non devi fargli firmare la liberatoria” – immortalati in ben otto libri.
Fra le sue pubblicazioni più importanti si ricordano Photographs and anti-photographs (1972), Son of a Bitch (1974), Personal exposures (1988), To the dogs (1992) e Between the sexes (1994). All’inizio degli anni Settanta Erwitt ha anche iniziato a dedicarsi al cinema per il quale ha realizzato numerosi documentari tra cui Beauty knows no pain (1971), The glassmaker of Herat (1977) e Elliott Erwitt, by design (1983).
Le sue opere fanno parte delle collezioni di prestigiosi musei come l’Art Institute of Chicago, la NGA di Washington Dc e il Cleveland Museum of Art.
