Presentato in anteprima al Gala di inaugurazione della Berlinale, il film del regista Sean Penn, Superpower, è stato accolto da una “standing ovation”.
Superpower non era stato concepito per raccontare la guerra: l’intento di Penn, del co-regista Aaron Kaufman, e del produttore Billy Smith, era quello di ripercorrere la carriera di Zelenskyy, da attore-comico-produttore, che interpreta un insegnante di storia eletto presidente dell’Ucraina nella serie TV satirica Servant of the People, fino al momento in cui diventa realmente presidente dell’Ucraina nel 2019. Ma dopo l’inizio della invasione della Russia contro l’Ucraina, il team di lavoro ha deciso di rivedere il progetto documentaristico, seguire la guerra e Zelensky come eroe moderno.

Durante l’affollata conferenza stampa al 73° Festival di Berlino Penn ha espresso tutta la sua empatia nei confronti del popolo ucraino, e ne ha elogiato il presidente: «Zelensky ha grande cuore e coraggio, c’è un bullo che minaccia lui e il suo Paese, ma lui non è tipo da lasciarsi intimidire. Dobbiamo aiutare l’Ucraina con armi di precisione e a lungo raggio, e l’hardware necessario a difendersi. Ho fatto questo film perché era necessario, non è un film di parte, in questa guerra non c’è alcuna ambiguità. Non farei mai un film su Putin, è un criminale, che ha già parlato abbastanza». E prosegue: “Nessuna delle persone che ho conosciuto voleva prendere le armi: sono stati costretti a farlo. Zelensky è riuscito a tenere insieme i suoi cittadini nella lotta al nemico».
Il regista americano ha diviso il film in due momenti storici: prima e dopo la rivoluzione. Il prima è il 2014, la rivolta di piazza Maidan, la caduta di Viktor Janukovyč, la violenta annessione della Crimea, fino ai movimenti di indipendenza dal controllo russo.
Sean Penn prima di girare questo docufim ha visitato l’Ucraina ed è stato profondamente colpito dalla disgrazia che si è abbattuta sul suo popolo, però qualcosa stride. Nonostante la grande mole di informazioni, l’archivio e l’ottima regia di Penn, non convince l’estrema drammatizzazione da parte del regista, che spesso cogliamo nell’azione di fumare o bere, sofferente al centro dell’inquadratura, come fosse lui il protagonista della scena. Grande la presenza di pubblico alle proiezioni e molto calorosa l’accoglienza al Festival, ci si domanda però come mai Sean Penn abbia scelto di soffermare così tanto l’attenzione sulle sue reazioni al conflitto.
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