Si parla della capacita’ di piegare il metallo e si pensa a Uri Geller, il sedicente “psichico” israeliano, famoso negli anni ’70, che sosteneva di possedere poteri paranormali e capacita’ cinetiche capaci di piegare cucchiai, chiodi e chiavi usando solo il potere della mente. In Italia in seguito apparvero altri “piegatori di metallo” come Paride Giatti e Orlando Bragante, e ancora Lucia Allegretti, Sandro Gasperini e Giovanni d’Emilio. Casi che pur non essendo mai stati provati scientificamente hanno ispirato il giovane regista italiano Antonio Bigini a scrivere e dirigere il film “Le proprietà dei metalli”, che debutta al festival di Berlino questa settimana. E’ il suo primo film: Bigini viene dai documentari e lavora con la Cineteca di Bologna, dove cura mostre di cinema.
Basato su racconti di storie ritenute vere, il film segue Pietro (interpretato da Martino Zaccara), un ragazzino di un piccolo paese in Emilia Romagna dotato dell’apparente abilita’ di piegare il metallo (ma non lo vediamo mai, per scelta registica, quando lo fa). La voce giunge a un professore universitario (David Pasquesi) che va a visitare Pietro con la speranza di vedergli compiere il “miracolo”, promettendo al padre squattrinato un premio in denaro di una società scientifica se il ragazzo riesce davvero a piegare il metallo davanti a testimoni e macchinari scientifici.

Abbiamo parlato con Bigini via Zoom, da Bologna, dove vive, il giorno prima della sua partenza per Berlino. Il suo e’ uno dei due soli film presentati alla Berlinale che vantano la “certificazione green”: l’attestato che il film durante tutte le fasi di lavorazione, dalla pre produzione alle riprese, ha seguito il protocollo Green Film ideato dalla Trentino Film Commission e riconosciuto dalle Italian Film Commissions, di sostenibilità ambientale sul set. Il film e’ in concorso nella sezione Generation dedicata a film che riguardano le giovani generazioni sia come soggetto che come pubblico.
Antonio, come è nata la sua curiosità per questa storia del metallo?
Mi sono imbattuto per caso in questa storia: ho scoperto che a Bologna, dove vivo, negli anni ’70 era attivo un centro di studi parapsicologici e uno degli affiliati, il professor Ferdinando Bersani, al tempo professore di fisica all’Universita’ di Bologna, aveva studiato dei bambini con presunte capacità paranormali. Incuriosito sono andato a incontrare questo professore di fisica che mi ha accolto e condiviso con me dei materiali. Di questa storia interessantissima mi ha colpito soprattutto l’aspetto dei bambini. Mi sono chiesto come si dovevano sentire questi bambini che venivano prelevati e posti in situazioni sperimentali e studiati come piccole cavie. E questo ha acceso in me un forte desiderio di raccontare questa storia. E’ ispirato ad alcuni veri diari, ma per lo più è liberamente scritto e inventato.

Ha scelto di non mostrare nel film il presunto fenomeno, né dare risposte precise: perché?
Perché questo è un film sull’invisibile. Mostrare cose sarebbe stato sbagliato. Il tema dell’invisibile – la forza psichica – riguarda sia queste energie di cui non siamo a conoscenza, che esistano o meno, sia il tema dei rapporti che lega il bambino con il padre e il professore. E’ un tema trasversale. E lasciare aperta la domanda allo spettatore secondo me era la scelta giusta.
Quanto è stato difficile realizzarlo? Com’è riuscito a finanziarlo?
E’ la mia opera prima narrativa, per cui ho dovuto convincere diverse persone a fidarsi di me. Ho avuto la fortuna di lavorare col produttore Claudio Giapponesi, molto bravo, un vero amico. Il Biennale College, che sviluppa progetti legati alla Biennale di Venezia, ci ha permesso di attrarre finanziamenti. Abbiamo avuto fondi dalla UE e dalle regioni Emilia-Romagna e Toscana, perché abbiamo girato in quelle zone. Poi la partecipazione di Rai Cinema ha chiuso l’aspetto produttivo.
Quanto crede lei al fenomeno in oggetto del suo film?
Sicuramente mi sono documentato molto e ho cercato di approfondire il tema il più possibile. Mi affascina l’aspetto di storia al limite della fantascienza, ma non credo che il tipo di fenomeni studiati dal professore siano reali, ho impressione che ci fosse molta esibizione da parte di questi bambini e i loro genitori, poi molto pubblicizzati in televisione. Io però non sono uno scettico e mi interrogo molto sugli aspetti non esplorati della nostra mente, ma questo non e’ un fenomeno cui mi sento di poter credere.
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