Si parla spesso di crisi del cinema italiano, di assenza di soluzioni tecniche e sceneggiature convincenti, ma stando a quanto proposto, tra film in concorso ed eventi speciali, dalla nona edizione del Bif&st di Bari, diretto dal “creativo prestigiatore cinematografico” Felice Laudadio, i due veri problemi sembrano essere “l’esterofilia a priori” di buona parte di pubblico e critica e, soprattutto, la mancanza di fondi, non solo per la realizzazione quanto piuttosto per il lancio pubblicitario dei film e la loro distribuzione. Manca, bisogna riconoscerlo, l’acume e la lungimiranza del mai troppo compianto Franco Cristaldi, primo vero produttore italiano “all’americana”!
A conferma di quanto detto c’è l’entusiastico calore con cui il pubblico ha accolto molte delle proposte presenti a Bari provenienti dall’ultimo festival di Venezia. “Due piccoli italiani”, di Paolo Sassanelli, e “Prima che la notte”, di Daniele Vicari, le due anteprime mondiali nostrane presenti al Bif&st. Entrambe salutate da applausi scroscianti e tante emozioni, a conferma del “fiuto” del direttore artistico del festival e della presidente-regista Margarethe von Trotta.
Il primo lungometraggio da regista dell’attore Paolo Sassanelli (sceneggiatore e uno dei protagonisti del film, nei panni di Felice, assieme a Francesco Colella, che interpreta Salvatore) è un riuscito “on the road” (dalla Puglia alla Finlandia, passando per Rotterdam) che indaga, attraverso due personaggi “borderline”, i disagi e le difficoltà del vivere: la loro passiva accettazione iniziale di un’esistenza priva di stimoli ed emozioni fa infatti riflettere anche sul momento storico-sociale che stiamo vivendo e sui rischi che si corrono nel “lasciarsi trascinare dal quotidiano”. “E’ un film sugli svitati, che solitamente dovrebbero avere ‘una marcia in meno’ ma che invece ne hanno qui una in più”, ha detto il regista. Il film, che curiosamente esce a 40 anni dalla legge Basaglia che rivoluzionò il sistema psichiatrico, mescola, con prudenza, ma con giusto ritmo, favola e poesia, alternando momenti esilaranti (l’arrivo nel quartiere di Rotterdam a luci rosse) a situazioni drammatiche (la violenza di Salvatore, a cui riesce difficile accettare la propria impotenza).
Felice e Salvatore sono entrambi ospiti di un centro di assistenza per malattie mentali: il primo, che ha subìto un trauma infantile, è bloccato nel ricordo di una mamma che pensa di ritrovare solo se potrà raggiungere l’Olanda; il secondo svolge mansioni di pulizia nell’ospedale. Quando Salvatore si trova implicato in una situazione che gli fa pensare di aver commesso un grave reato nei confronti di una donna e di chi la difendeva, decide di fuggire, porta con sé Felice: per nascondersi si imbucano in un pullman di tifosi e finiscono proprio in Olanda!
Dopo Basilicata coast to coast e Taranta on the road, ecco Due piccoli italiani: diversi come genere, ma tutti e tre con protagonista il sud Italia e un viaggio che muta per sempre le vite di chi lo compie.
“Il film – ha affermato Sassanelli – è una continua apertura verso la libertà mentale, per sottolineare che spesso le difficoltà, se non ci si abbatte di fronte a loro, sono invece occasioni per riflettere e irrobustirci: la pellicola arriva spesso ad un punto critico che fa pensare che da lì in poi perda la sua spontaneità, ma invece subito dopo riprende ritmo e originalità”. L’invito che Due piccoli italiani trasmette allo spettatore è quello di eliminare dal proprio vocabolario la parola “ormai”, qualunque sia la nostra età: perché il desiderio è fonte di vita.
Situazioni inaspettate, realtà quotidiana e disavventure travolgono i due personaggi permettendo loro, grazie anche al prezioso aiuto della stravagante Anke (la brava attrice olandese Rian Gerritsen), di superare paure e inibizioni. Troveranno la gioia di vivere, l’affetto e anche l’amore: per la prima volta nella loro vita capiranno cosa significhi sentirsi vivi e felici.
E veniamo a Prima che la notte di Daniele Vicari, un tv movie di Rai Cinema sul giornalista Pippo Fava (direttore del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani) ucciso a Catania dalla mafia il 5 gennaio 1984. Presentato anche in Rai nei giorni del Bif&st, il film ci riporta alla grande tradizione del “cinema italiano di denuncia” politico-sociale, quella vissuta con gli indimenticabili lavori di Rosi, Petri, Petrangeli, Visconti.
Dopo Diaz-Non pulire questo sangue, sulle violenze delle polizia al G8 di Genova (premio del pubblico al Festival di Berlino del 2012), Vicari porta sullo schermo un personaggio carismatico, complesso, e il secondo intellettuale a essere ucciso da Cosa Nostra dopo Giuseppe Impastato.
“La questione della libertà di stampa – ha osservato in un’intervista – è tornata con urgenza al centro del dibattito pubblico e con essa la necessità del giornalista di svincolarsi da condizionamenti sempre più potenti e pervasivi. È per questo che la vicenda umana e professionale di Pippo Fava, che intorno al giornale da lui fondato, I Siciliani, ha formato una nuova generazione di giornalisti, mi è parsa esemplare e commovente, in grado di disegnare una prospettiva e un futuro. Cose di cui oggi più che mai abbiamo bisogno”. Insomma un film sul giornalismo e sull’etica: la verità dei fatti come bene supremo.
Il film è ispirato al libro “Prima che la notte” scritto da Claudio Fava, figlio di Pippo – interpretto da Dario Aita -, e da Michele Gambino (qui sceneggiatore con Monica Zapelli). Nei panni del giornalista siciliano c’è Fabrizio Gifuni, già apprezzato interprete di personaggi carismatici della storia italiana, quali De Gasperi e Basaglia.
Pippo Fava, uomo e giornalista entusiasta, nemico della noia, ha superato i 50 anni quando decide di tornare a Catania, lasciando a Roma una compagna e una vita di lavoro intensa in campo culturale. Non è solo una sfida professionale – la direzione del quotidiano Il Giornale del Sud – a spingerlo a tornare, ma soprattutto l’amore viscerale per la regione natia e il “bisogno interiore” di raccontarla come mai prima.
Quando sul giornale viene portata all’attenzione dei lettori l’ascesa di Nitto Santapaola, allora spietato boss della mafia catanese che sta cercando di stringere un patto con la criminalità palermitana, Fava viene invitato dal suo editore, e dal cavaliere Graci, a cambiare linea editoriale: si rifiuta e viene licenziato. Invece di deprimersi – e qui sta uno dei lasciti più significativi del poliedrico artista e grande cronista siciliano – decide di passare al contrattacco: fonda un nuovo giornale mensile, I Siciliani – 160 pagine in carta patinata, copertina nera, lucida -, insieme ai suoi “carusi” – ragazzini – desiderosi di apprendere il mestiere. Il primo numero del mensile va letteralmente a ruba: prima edizione esaurita in 2 ore. Altre 4 ristampe: tutte esaurite.
E con i suoi “carusi”, in questa autentica “scuola di giornalismo “, Pippo Fava vive una seconda giovinezza. Le inchieste continuano, sempre nel segno della libertà e della verità, perché al giornalismo non si possono mettere le briglie: ma se per i ragazzi il mensile diventa un autentico “battesimo” per la vita, per Fava si trasforma in un appuntamento con la morte. Un giovane e feroce killer lo uccide il 2 gennaio 1984 con cinque colpi di pistola alla nuca.
“Prima che la notte – ha detto Vicari – non è la storia tragica di un uomo ucciso dalla mafia, ma la storia straordinaria di un uomo che ha saputo costruire il futuro nonostante tutto”.