A New York è scoppiata la Ferrante Fever. Diverse, infatti, sono state le librerie della Grande Mela che hanno ospitato, durante la prima settimana di novembre, una serie di presentazioni degli ultimi due libri della scrittrice italiana Elena Ferrante, Frantumaglia e The Beach at Night.
Come è noto, Elena Ferrante è lo pseudonimo con cui da anni si firma un misterioso personaggio la cui identità sarebbe di recente stata svelata da una controversa inchiesta de Il Sole 24 Ore, ripubblicata da diversi media internazionali, che identifica la scrittrice con la traduttrice di origini tedesche Anita Raja. L’inchiesta ha scatenato un polverone, non ci sono conferme ufficiali e l’interesse intorno al personaggio di Elena Ferrante e ai suoi libri non ha fatto che aumentare.
Tra gli eventi newyorchesi, degno di menzione è stato l’incontro al The Astoria Bookshop, che ha visto la partecipazione di cinque ospiti d’eccezione, tra cui Ann Goldstein, traduttrice della scrittrice, Jennifer Maloney, giornalista culturale del Wall Street Journal, Siddhartha Deb, scrittore che insegna Creative Writing alla New School, Elissa Schappell, giornalista e scrittrice, e Michael Reynolds, moderatore dell’incontro nonché editore di Europa Editions, la casa editrice che in America pubblica Ferrante. Cinque personalità diverse, ognuna con un’esperienza diversa su libri ed editoria.
La discussione è partita proprio da uno dei due libri presentati durante l’evento, Frantumaglia, un volume non-fiction in cui l’autrice narra la propria esperienza di scrittrice. Un libro che per Schappell rappresenta “un’appendice dei romanzi, necessaria per comprenderne la genesi e la scrittura di Ferrante”, e nel quale, secondo Maloney, la Ferrante “ha costruito per la prima volta una sua persona letteraria, svelando il ‘dietro le quinte’ dell’autrice”. Dello stesso parere anche Deb, per il quale tale distinzione sfumata tra fiction e non fiction, in un libro che si presenta come una corrispondenza reale tra autrice ed editore, è “una sfida alla rappresentazione del sé da parte di un autore”. Frantumaglia è comunque un libro di difficile catalogazione e rimane aperto a differenti interpretazioni; del resto, ne è convinta la Goldstein, l’autrice propone una voce diversa da quella utilizzata nei romanzi.

Quattro voci diverse su Elena Ferrante, quattro modi diversi di scoprirla. Maloney l’ha scoperta alla Buchmesse di Francoforte perché tutti ne parlavano. Deb invece, nonostante preferisca rifuggire gli autori troppo famosi, ne fu attratto grazie a un’intervista che le fecero sul Guardian: “Trovo magnifico – ha detto – come costruisca la città attraverso inserti dialettali, che esprimono l’identità delle radici, ma anche il potere dell’autrice sul suo materiale”. Inserti dialettali che la Goldstein solitamente traduce con un inglese informale.
Stimolati dal parere di Reynolds – secondo cui Ferrante “usa ogni trucco per coinvolgere il lettore”, fino al punto che ci chiediamo se “non stiamo forse costruendo un romanzo noi stessi leggendola” – gli ospiti hanno parlato dei temi e dello stile della scrittrice. Secondo Schappell, leggerla significa collaborare con lei: “Può farlo chiunque – ha aggiunto – anche un lettore che non è donna”. Per Maloney, invece, nessuno scrittore ha la brutale onestà di Ferrante, che rappresenta anche i lati più ripugnanti dei suoi personaggi.
Non poteva mancare un accenno alla scelta, ora infranta,della scrittrice di non rivelare la sua identità reale. Un gesto che Schappell giudica generoso: “L’autrice si mette da parte e tutti possiamo leggerla senza influenze”; un diritto, per Deb, per consentirle di scrivere come preferisce. Secondo Maloney è incredibile come i suoi libri siano stati capaci di trovare da soli il loro pubblico, senza nessuna presenza dell’autrice, soprattutto oggi quando a ogni autore viene richiesta una massiccia presenza a livello di immagine. Libri che vengono considerati “incredibili”, “intellettuali”, “fonti di ispirazione”. Per questo, e anche per il forte realismo sociale che li caratterizza, piacciono tanto anche agli americani.