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La passione per Elena Ferrante ha contagiato anche l’America

Marcello CristobyMarcello Cristo
Nella foto, Ann Goldstein (a sinistra) e Rebecca Falkoff

Nella foto, Ann Goldstein (a sinistra) e Rebecca Falkoff

Time: 4 mins read

Stefano Albertini, il Direttore della Casa Italiana Zerilli Marimò della New York University, ha introdotto l'incontro su Elena Ferrante tenutosi venerdì scorso all'auditorium della Casa, con le parole del poeta Attilio Bertolucci: "L'assenza é piú acuta presenza".

Un riferimento che ben si adatta al manto di mistero che circonda l'identità della scrittrice napoletana e che, al di là dei suoi indiscutibili meriti letterari, ha senz'altro contribuito alla sua popolarità, sia in Italia che in America.

E proprio questa popolarità della scrittrice negli Stati Uniti é stata confermata all'evento, che é parte del PEN: World Voices Festival, dal pienone di un pubblico composto nella stragrande maggioranza da donne, giunto alla Zerilli Marimò per un incontro con la professoressa Rebecca Falkoff, docente di italiano alla New York University, e Ann Goldstein, la traduttrice in inglese dei testi della Ferrante.

Tutti in piedi

Si sta ad ascoltare anche in piedi alla Casa Italiana per il fenomeno Elena Ferrante

Con una traduttrice sul palco, inevitabilmente la conversazione ha toccato l'argomento della letteralità delle traduzioni stesse e gli sforzi che ogni interprete si trova a dover affrontare nel cercare di mantenere quel giusto equilibrio tra la fedeltà all'originale e la proprietà di linguaggio della versione tradotta. A questo proposito Ann Goldstein ha dichiarato che, per raggiungere questo risultato, uno dei metodi da lei utilizzato é quello di lasciare alcune parole chiave nella lingua originale confidando al pubblico le sue perplessità nel rendere termini come "smarginatura", un parola contenuta in uno dei libri della Ferrante e che viene normalmente utilizzata in un ambito tipografico col significato di "dispersione dei margini" ma che, nel contesto psicologico della narrazione, é stato tradotto inizialmente dalla Goldstein con "losing the edges", nel senso di una perdita dei propri confini interiori.

Il mistero che circonda l'identità della Ferrante e l'inevitabile curiosità che questo genera tra i suoi lettori, ha dato a tratti l'impressione che il pubblico abbia visto nella sua traduttrice una sorta di "avatar" dell'autrice stessa. Un "intermediario" attraverso il quale tentare di cogliere uno scorcio del "mistero Ferrante". Ma, malgrado questo, le domande che i presenti hanno rivolto alle due ospiti hanno mostrato anche un genuino interesse per il lavoro insito nell'opera di traduzione dei suoi testi, anche in relazione a quella di altri autori italiani.

Su questo argomento Ann Goldstein ha dichiarato che il linguaggio della Ferrante si distingue da quello di altri scrittori italiani da lei tradotti per il gran numero di parole utilizzate. Questa tendenza, secondo la Goldstein, non ha nulla di superfluo ma riflette invece la volontà di andare nel dettaglio delle situazioni e delle emozioni descritte.

Fuori dal teatro

E per il fenomeno letterario Elena Ferrante, la Casa Italia della NYU si riempie ovunque….

Sia la Goldstein che Rebecca Falkoff si sono dette d'accordo sul fatto che probabilmente i personaggi delle sue storie sono anche la chiave di lettura piú efficace per far luce sull'identità artistica e personale dell'autrice napoletana a proposito della quale, Ann Godstein si é sentita di azzardare un'ipotesi che ha suscitato molto interesse tra il pubblico presente: che la Ferrante possa avere alle sue spalle un passato di traduttrice. La Goldstein é giunta a questa conclusione grazie ai contatti occasionali avuti con la scrittrice per chiarire questioni relative alla traduzione dei suoi testi. Ed é proprio in seguito a questi scambi che la studiosa americana ha notato una certa familiarità della Ferrante con le sottigliezze linguistiche proprie del suo mestiere.

A complicare ulteriormente il compito di rendere in inglese l'opera dell'autrice é naturalmente il ruolo svolto dal dialetto napoletano nel linguaggio dei protagonisti. Nei libri della Ferrante il napoletano é la lingua del "rione", la lingua dell'infanzia dei protagonisti e dei bambini in generale nonché quella usata per esprimere rabbia e turbamento dei momenti piú emotivamente intensi . In altre parole, é la lingua della libertà adolescenziale, di una condizione precedente alle limitazioni, ai compromessi e alla formalità dell'età adulta. Ed é molto interessante come questo ruolo del dialetto informi il rapporto tra i due personaggi di Lila e Lenú che, ritrovatesi dopo anni di separazione, non sono piú sicure se rivolgersi l'una all'altra nell'idioma napoletano della loro giovinezza o nell'italiano formale della loro maturità. Ciò che ne risulta é un'impacciata via di mezzo in cui entrambe le soluzioni si traducono in uno scambio che suona falso e insincero.

Proprio questa capacità di evocare forti sensazioni emotive spiega in parte l'enorme successo che i libri della Ferrante hanno riscosso con il pubblico femminile su entrambe le sponde dell'Atlantico. Un successo a cui, alla conferenza, ha dato uno spessore quantitativo Michael Reynolds, responsabile della casa editrice che ha pubblicato in America i libri della Ferrante. Rispondendo ad una domanda del pubblico se la Ferrante sia piú conosciuta in America che in Italia, Reynolds ha risposto di non esserne sicuro ma che qui negli Stati Uniti la popolarità della scrittrice continua ad espandersi probabilmente proprio grazie al suo potere di introspezione e a quella capacità di evocare nelle sue storie situazioni e personaggi in maniera così efficace soprattutto per il pubblico femminile.  

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Marcello Cristo

Marcello Cristo

Sono nato e cresciuto a Napoli dove, nella tradizione magno-greca della mia città, mi sono laureato in Filosofia. Vivo negli Stati Uniti con la mia famiglia da oltre vent'anni facendo la spola tra New York e la California. Dall’America, ho iniziato a collaborare con pubblicazioni italiane come Il Giornale di Indro Montanelli e La Gazzetta dello Sport di Candido Cannavò e poi con il quotidiano in lingua italiana degli Stati Uniti America Oggi per il quale ho lavorato come editor, opinionista e corrispondente dalla California. Nei ritagli di tempo, sto tentando disperatamente di insegnare ai miei figli il napoletano.

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