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ONU: Guterres, a un anno di mandato, fa ancora i conti con la “diplomazia educata”

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite ha parlato di riscaldamento globale, ma le sfide e le preoccupazioni non finiscono qui

Michela DemelasbyMichela Demelas
ONU: Guterres, a un anno di mandato, fa ancora i conti con la “diplomazia educata”
Time: 9 mins read

C’era una volta, il neo Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che aveva iniziato il suo mandato nel “lontano” gennaio 2017 con i concetti e gli obiettivi chiave di uguaglianza e verità. A distanza di più di un anno, sembra che ancora la verità non sia arrivata, e figuriamoci la pace. E le sfide iniziali che aveva trovato al suo arrivo, sembrano essersi moltiplicate. La missione – soprattutto nel senso morale del termine – dell’ONU è sempre più complessa e le minacce che si interpongono tra questa e il suo raggiungimento sono sempre di più, sempre più complesse. Tant’è che Guterres, che aveva parlato soprattutto di gender equality e migrazione con toni ottimistici, oggi, 29 marzo 2018, si è detto preoccupato per il ritorno di una Guerra Fredda.

Oggi, infatti, si è tenuto un incontro del Segretario Generale con i giornalisti, a tema “riscaldamento globale”. Ma, alla fine, ha parlato anche di Nord Corea, parità di genere, rapporto USA-Russia, situazione in Banglasesh e atteggiamento dell’amministrazione Trump nei confronti del cambiamento climatico. E, “menomale” che è stato abbastanza furbo da decidere di rispondere solo a qualche domanda, e ha lasciato lo steakout prima di essere sommerso dalla marea di domande, riguardanti molti più temi, da parte dei giornalisti.

Chissà se Guterres, prima di assumere il suo ruolo, si aspettava che sarebbe stato così complesso e fluido, e che la relazione buone idee – azioni – risultati non è lineare, soprattutto dentro le Nazioni Unite; che non tutti vogliono le stesse cose, e ci vuole il compromesso, e più che il contrattualismo spiccio – quello di “io voglio questo, tu cosa mi dai in cambio?” – ci vuole la diplomazia “educata”, che diventa un corteggiamento infinito di tira e molla, di dialogo e, allo stesso tempo, campi di battaglia.

Whether in their countries of origin or far from their families and homes, UN personnel work tirelessly to help the world’s most vulnerable. Their mission is vital, their safety a priority. pic.twitter.com/p0DlJNZuwH

— António Guterres (@antonioguterres) March 25, 2018

Parliamo della stessa diplomazia “educata” per la quale l’Arabia Saudita ha donato un miliardo di dollari al progetto di risposta umanitaria per il 2018 in Yemen, dove ci sono circa 22 milioni di persone che hanno bisogno di aiuto.

La stessa diplomazia “educata” che avviene da tutte le parti del tavolo, e che ha portato Guterres a rispondere con gratitudine alla ingente donazione del Regno dell’Arabia Saudita. “Questi fondi coprono almeno un terzo dei 2,96 miliardi di dollari necessari a implementare il piano di Yemen Humanitarian Response 2018, che farà si che le Nazioni Unite e i loro partner possano aiutare ad alleviare la sofferenza di milioni di persone vulnerabili in Yemen”, diceva in un suo statement.

Ma forse, chissà, avrà pensato che l’Arabia Saudita non avrebbe avuto bisogno di donarli – tutti quei soldi per così tante persone in difficoltà – se solo non avesse causato in Yemen dei danni anche molto maggiori e non fosse stata tra i Paesi che la “sofferenza” l’hanno creata. Nonostante tutto, però, sorridere al principe e stringergli la mano con “gratitudine”, pur con quell'(eventuale) pensiero fisso in testa, sembra essere il male minore quando si parla di limitare i danni.

Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, con il Principe Mohammed bin Salman Al Saud, Crown Prince. (Foto ONU)

Parlando di cambiamento climatico, oggi Guterres ha detto che esso rimane “la più sistemica minaccia per l’essere umano” e che ancora non viene affrontata nel modo giusto. “Quando l’accordo di Parigi sui cambi climatici fu adottato, condividevamo l’assunzione che l’essere umano fosse capace”, ha detto il Segretario Generale, di controllare le temperature globali, e che soprattutto volesse farlo. Invece, “gli scienziati sono preoccupati” che l’accordo di Parigi sarà vano. “L’impatto climatico è già sulle nostre teste”, ha continuato, e ha aggiunto che i mezzi mobilitati per limitarlo sono tanti, “ma sappiamo che i costi dell’inazione sono molti di più” .

Climate action is urgent. The science demands it. The global economy needs it. The livelihoods of hundreds of millions of people depend on it.
My remarks today: https://t.co/yMBFR45Xzz pic.twitter.com/q1QeDbpBEE

— António Guterres (@antonioguterres) March 29, 2018

Ma sulle “infrastrutture insostenibili, che hanno sfociato in pratiche malsane per decadi” non si è soffermato tanto quanto sugli effetti che hanno portato. “In Sud Asia, i monsoni hanno colpito 41 milioni di persone, in Africa siccità gravi hanno spostato circa 900.000 persone dalle loro case”, “incendi boschivi hanno causato distruzione in tutto il mondo”, “e gli oceani sono più tiepidi e acidi che in qualsiasi altra era si ricordi”. Ma Guterres non può che terminare l’escalation di dati con la speranza; “le nuove tecnologie sono dalla nostra parte e continuano ad avanzare e proporre nuove soluzioni”.

“Il prossimo anno, continuerò con il mio impegno in questa ambizione; la scienza lo chiede, l’economia globale ne ha bisogno, e la vita di milioni di persone dipende dalla sicurezza del cibo, salute e la stessa stabilità”, ha continuato, quasi a voler ricordare la responsabilità generale di tutti, richiamare all’ordine; “il cambio climatico si muove più velocemente, molto più velocemente di quanto ci muoviamo noi”.

Ma poi, quando gli viene chiesto dell’amministrazione Trump e dell’accordo di Parigi, Guterres loda semplicemente le comunità americane. Gli Stati Uniti – per quanto avrebbe detto Michael Bloomberg, suo Inviato Speciale per il cambiamento climatico – “potrebbero essere capaci di soddisfare il loro impegno a Parigi, come Paese. Come sapete, in tutto il mondo il ruolo dei governi sta diminuendo in rilevanza, mentre il ruolo dell’economia, della società sta aumentando. Gli osservatori stanno vedendo che c’è una reazione davvero positiva da parte delle imprese e delle fodazioni ai requisiti dell’accordo internazionale,” ha detto Guterres senza spendere una parola di rimprovero sulle posizioni del Presidente americano.

Guterres, Segretario delle Nazioni Unite, allo steakout del 29 marzo sul cambiamento climatico.

Le Nazioni Unite stanno lottando, dice il Segretario Generale, contro il cambiamento climatico; e se da una parte sensibilizzare Trump a questa sfida sarebbe impossibile, meglio non metterselo contro, almeno. La diplomazia “educata” funziona in questo modo, e chi si piega alle sue regole e le gioca a proprio vantaggio, così come sono, ottiene molto; chi non lo fa – come Zeid Ra’ad Al Hussein – è solo una voce fuori dal coro.

Guterres, ha anche approfittato dell’incontro con i giornali “per onorare il collega che oggi lascia le Nazioni Unite, Jeffrey Feltman”, il Sotto-Segretario per gli Affari Politici. Al suo posto, la prima donna a ricoprire quel ruolo, “Rosemary DiCarlo, che rappresenterà un contributo fondamentale per il nostro lavoro”. Il Segretario Generale si è più volte definito un “femminista convinto”, e lo ha dimostrato nel corso del suo mandato finora. Più obiettivi sono stati raggiunti, ma la strada è ancora lunga da fare, rimangono pratiche come la Mutilazione Femminile Genitale e disparità forti, sia nei Paesi più sviluppati che in quelli meno sviluppati, a livello locale o a livello internazionale. La disparità è ancora forte anche dentro le Nazioni Unite, rappresentando per Guterres un’altra questione irrisolta.

Un respiro di sollievo l’ha tirato per quanto riguarda Sud e Nord Corea, dicendosi “contento” e “sollevato” rispetto al prossimo meeting in aprile tra i due Paesi. “Per noi c’era bisogno di una ripresa di quel dialogo, tra il sud e il nord della penisola; e c’era bisogno di negoziazioni, quindi sono molto incoraggiato da questi sviluppi … e credo che in un mondo in cui ci sono molti problemi lontani dall’avere una soluzione, qui ci sia un’opportunità per un dialogo pacifico riguardo a qualcosa che, qualche mese fa, era visto come il più grande pericolo che abbiamo visto nella faccia della terra”.

E’ un sollievo che però non dura mai abbastanza. Lo scacchiere globale conteso dalle potenze continua a diventare più complesso, ma è quella diplomazia “educata” che impedisce all’ONU di essere arbitro della partita e di evitare l’escalation delle tensioni. Dopo la questione dei diplomatici russi espulsi, e della conseguente risposta russa, il Segretario Generale ha ammesso di essere preoccupato. “Penso che stiamo arrivando ad una situazione simile, a causa della sua portata, alla Guerra Fredda”.

“Tuttavia ci sono due differenze importanti. Nella Guerra Fredda c’erano chiaramente due superpotenze che avevano il completo controllo della situazione. Adesso abbiamo molti più attori che sono relativamente indipendenti e hanno molti ruoli importanti in altrettanto numerosi conflitti, e c’è un escalation nel loro numero”, ha continuato. Sì, ma dall’altra parte, nel bipolarismo “c’erano meccanismi di comunicazione e controllo per evitare escalation e incidenti, ed essere sicuri che le cose non andassero fuori controllo quando le tensioni aumentavano”.

Questi meccanismi non esistono più, “le persone hanno pensato che queste tensioni fossero terminate, quindi non c’era più bisogno di tenere questi meccanismi. Credo davvero che sia il momento per le precauzioni di questo tipo, per garantire comunicazione efficiente e capacità di prevenzione di escalation; e credo davvero che meccanismi di questo tipo siano necessari”.

Saremmo sul bilico di una guerra fredda, insomma, aggravata da tensioni e conflitti disastrosi in varie parti del mondo. Come quelli che affliggono i Rohingya: 700.000 persone hanno lasciato il Myanmar da Agosto 2017 ad oggi e sono entrate in Bangaldesh, unendosi ad altre centinaia di migliaia che già si trovavano oltre il confine in campi super-affollati. “Ho avuto l’opportunità di discutere con il governo bangalese sulle migliori opzioni per riallocare queste persone”, ha detto oggi Guterres, rispondendo alla domanda di una giornalista rispetto alle sue considerazioni sul tema.

Ma possiamo aspettarci che il Segretario delle Nazioni Unite abbia modo di rispondere diversamente? A lui, secondo lo Statuto delle Nazioni Unite, spetta il compito di rappresentare l’ONU, e non potrebbe farlo meglio. A lui spettano il dialogo e l’esempio, ma la vera sovranità rimane agli Stati.

E’ vero che l’applicazione del Capitolo VII della Carta sta cambiando, è vero che si stanno creando dei nuovi meccanismi di sicurezza collettiva difficili da analizzare e con delle dinamiche prevedibili ma non determinabili con certezza. E la creazione del concetto di “Responsabilità di proteggere” è uno di questi, che da all’Organizzazione Internazionale sempre più vita propria. A questo proposito, il Presidente del Gruppo di Amici per la Responsabilità di Proteggere, Sebastiano Cardi – nonché rappresentante permanente della Missione italiana alle Nazioni Unite – si è pronunciato dicendo che “mentre è chiaro che proteggere i civili è la primaria responsabilità dei governi, allo stesso tempo la protezione dei civili è diventata un elemento centrale nei mandati di molte missioni di peacekeeping. Infatti, le missioni di peacekeeping hanno spesso un ampio spettro di meccanismi volti a supportare e assistere gli Stati….. nel creare le condizioni per una pace sostenibile”.

Yesterday co-chair of the Group of Friends of #R2P @sebastianocardi of @ItalyUN_NY delivered the first-ever joint statement by the Group during the #UNSC open debate on improving @UNPeacekeeping. Full statement → https://t.co/NoHeahIPDe. pic.twitter.com/sp0wI1wWqT

— GCR2P (@GCR2P) March 29, 2018

Ma ieri, 28 marzo, durante lo stesso dibattito al Consiglio di Sicurezza a cui aveva parlato Sebastiano Cardi rispetto al tema del peacekeeping, anche Guterres ha detto la sua. Il Segretario Generale ha innanzitutto sottolineato che “le missioni di peacekeeping non sono un’arma o una forza anti-terroristica, o un’agenzia umanitaria”, ma uno strumento attraverso cui una nazione riesce a trovare la propria soluzione politica. “Detto semplicemente, le operazioni di peacekeeping non possono avere successo se sono operate al posto di una soluzione politica, più che al sostegno di quella”, ha continuato. E forse è per questo che “ci sono dei forti gap nell’efficienza loro, del loro comando e del loro controllo; sia per quanto riguarda l’aspetto culturale, le attrezzature che vengono fornite e il training che ricevono”.

“Questi sforzi sono fondamentali, ma la sola azione del Segretariato non è abbastanza”, ha continuato, il 28 marzo Guterres, rispetto al peacekeeping – ma evidentemente non solo. “Le nostre chances di successo aumenteranno incredibilmente quando lavoreremo insieme agli Stati Membri, condivideremo pesi, rischi e responsabilità”.

C’era una volta, il neo Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che aveva iniziato il suo mandato nel “lontano” gennaio 2017 avvertendo la necessità di colmare “le distanze tra i popoli e l’establishment che li governa. In alcuni Paesi abbiamo visto crescere l’instabilità, sommovimenti sociali, persino violenze e conflitti… In molti hanno perso la fiducia non solo nei loro governi ma anche nelle istituzioni globali, incluse le Nazioni Unite”. Chissà, dopo poco più di un anno, quanto sarà soddisfatto dei successi del suo mandato.

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Michela Demelas

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