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April 20, 2014
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Un epitaffio per Rizzoli Bookstore

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La democrazia con la “d” minuscola dell’editoria passa anche da qui. Il sipario che cala su una delle istituzioni culturali di New York – la libreria Rizzoli al numero 31 di 57th Street, tra Fifth e Sixth Avenue – arriva non solo da una crisi culturale che non vede più sorgere il sole, ma anche da un’impero capace di fluire sotto e sopra la granella di un’isola-senza-orizzonti.

Le librerie finiscono al rogo o ghiacciate dall’era glaciale, le librerie sembrano tronchi morti, nudi, le librerie non esistono (più), le librerie non conoscono amore. Le librerie sembrano ispirarsi al frantumo dell’identità; tendono ad imitarlo. Ma molto più del caos contemporaneo può il mercato immobiliare. Se la libreria Rizzoli muore (risorgerà altrove, come già successo?) la colpa non è dei tagli alla cultura o della pochezza di sostegno istituzionale. Il problema è il real estate, a suon di milioni, che imperversa nella città di New York. Così l’antica townhouse che ospitava i libri e i giornali italiani sarà abbattuta, sventrata, riscritta per lasciar spazio, e cielo, ad un nuovo edificio alto alto alto.

Rizzoli Bookstore è stato un impero proprio come oggi lo è il real estate. Due imperi sullo stesso atollo, non possono coesistere. Si sfibrano. Si odiano. Si cannibalizzano. Ecco perché il sogno realizzato da Angelo Rizzoli nel 1964 (al 712 della Fifth Avenue) e di nuovo negli anni Ottanta, con la palazzina a sei piani a Midtown, è un sogno perdente. Soprattutto se si pensa alla scelta irremovibile, da parte dei proprietari della sede (la casata LeFrak e Vornado Realty Trust), di vendere l’edificio con la sua corteccia secolare, lasciando affondare proteste e petizioni con la costruzione di un grattacielo extra-lusso. Sedicimila firme contro la demolizione – questa sì, è la Voce di New York – non sono bastate. Il New York Times ha celebrato il funerale ricordando Rizzoli come “un luogo che col suo fascino in stile Vecchio Mondo, con i grandi lampadari e le grandi finestre, era uno dei favoriti degli amanti della letteratura”. Morto, per sempre (o forse no, è soltanto in attesa di ricollocamento).

interni

Gli interni della libreria

La chiusura della libreria italiana ha colpito sopra ogni cosa le persone, i drammaturghi, i registi, i professori, i giornalisti, gli intellettuali giovani e meno giovani. Secondo Antonio Monda (La Repubblica) perdiamo un oggetto che “è stato luogo di calore, di eleganza e di cultura. E si trovava nel cuore del mondo”. Si unisce al suo pensiero Mario Fratti, professore emerito di letteratura italiana all’Hunter College, critico e drammaturgo (suo il musical Nine ispirato ad 8 ½ di Fellini): “È una grossa perdita, sia per la città di New York che per la cultura italiana – commenta – Gli interessi dei padroni di casa prevalgono sulla cultura, ai landlords interessa soltanto erigere edifici distruggendo la cultura. Per noi italiani è stato uno smacco. Rizzoli rappresentava un centro culturale imprescindibile. Incontravo sempre due o tre amici intellettuali lì. Un mese fa il mio editore, che ha appena pubblicato Diario proibito, lo ha proposto a Rizzoli che però ha risposto così: ‘Purtroppo siamo tagliati fuori e non possiamo più vendere libri italiani’. Sintomo ed effetto della digitalizzazione dei libri. Io sono un essere cartaceo, invece. Sa che cosa ho fatto, una volta, nella metropolitana? Ho domandato a tre donne: ‘Ora che avete questo aggeggio, questo Kindle, leggete veramente più libri?’. Mi hanno risposto: ‘No, ci aiuta semplicemente ad evitare lo sguardo degli uomini’. Questa è una città che teme lo sguardo, il contatto. Dieci anni fa la gente si osservava in metropolitana ed io pure ho avuto qualche idea per alcuni testi teatrali proprio da un incontro in subway. Ora ognuno è chiuso in se stesso. Tragico”.

film

Una scena del film Innamorarsi girata all’interno della libreria

Segue il regista Paolo Virzì, a New York per presentare Il capitale umano in occasione del Tribeca Film Fest. “Conoscevo bene la libreria. Woody Allen ci girò una scena di Manhattan, ed è anche la location di De Niro e la Streep in Innamorarsi. È una cosa che sta capitando dappertutto, la crisi del libro di carta. Da noi, in Italia, è un massacro: chiudono cinema, librerie, teatri. Speriamo che queste perdite siano compensate poi da un nuovo mercato. Da quando ho scoperto il gioco del comprare ebook, con l’iPad, non è cambiato nulla. Non finirà mai la lettura. Forse cambierà il supporto. Comunque, a New York, Strand è ancora aperto e tutti sfogliano pagine”.

Lo scrittore Paolo Cognetti (autore di New York è una finestra senza tende e altri libri a tema newyorchese), invece, la libreria Rizzoli l’ha visitata due volte e detesta la parte di New York tra la 14th e 59th Street: “La libreria Rizzoli è (o era) una libreria raffinata, alto-borghese, in cui ho visto molti libri d’arte, libri costosi, romanzi dei più importanti editori italiani, libri che assomigliano all’idea d’Italia che hanno i newyorchesi. A proposito: perché non chiedono a Eataly se c’è uno spazietto da loro per fare una libreria? Alla Rizzoli non ho mai visto i libri italiani belli, quelli degli editori indipendenti, quelli degli scrittori bravi e sconosciuti. In breve: io che sono (penso di essere) un buon lettore di letteratura italiana, ho sempre pensato che quella libreria non valesse un granché, e non mi dispiace molto che chiuda. Pazienza. Ho visto chiudere librerie bellissime in Italia e ci ho sofferto tanto. Perché non riaprono a Brooklyn? Ad Harlem? Nel Queens? Perché non fanno una libreria dove davvero serve una libreria? E perché non portano a New York la letteratura italiana di valore? Io non ho le risposte. Che chiudano per farne un grattacielo, mi pare quasi giusto. Era un grattacielo anche prima”.

Legato ai ricordi di Rizzoli Bookstore, Anthony Julian Tamburri, direttore del John D. Calandra Italian American Institute, ammette di aver sempre subìto la fascinazione del luogo, anche da un punto di visto architettonico: “Sono conscio che perdiamo un punto di riferimento – dice – ma rimango fiducioso sul futuro. Era anche una delle poche librerie dove poter acquistare libri a prezzi vantaggiosi. Oltre al mercato immobiliare, credo la questione oggi sia il digitale imperante. Leggevo di recente una ricerca: ci resta solo il 28 per cento di materiale cartaceo”.

Secondo Doris Romeo (editor/producer di CNN, italoamericana) “è un peccato non poter più camminare in quella dimensione tutta italiana, ricca di letteratura straordinaria. Ricordo di esserci andata per la prima volta per cercare un libro che mia madre leggeva da ragazza, Cuore di Edmondo de Amicis. Quando sono riuscita a trovarlo, ne ho regalato una copia a mia madre e ho visto scorrere delle lacrime dai suoi occhi”.

proteste

Le proteste contro la chiusura della libreria

Cristina Villoresi è stata e rimane una delle militanti più determinate, ha cercato di fermare la chiusura dell’edificio per delle ottime ragioni: “Da adolescente ero solita andare da Rizzoli. Trovavo caloroso quel grandeur con il tetto dalle arcate decorate e di grande ispirazione l’intimità dello spazio. Recuperavo meravigliosi testi di storia dell’arte e amavo perdermi nelle nuove scoperte, tra designers, fotografi, pittori… Il negozio – coi suoi libri, il suo interno architettonico, lo staff, la clientela – ha creato una simbiosi singolare e stimolante tra le arti e la cultura più raffinata. Negli ultimi anni ci ho portato spesso mio figlio. Ci piaceva attraversare Central Park ed arrivare fin là. Nelle settimane recenti, ha cominciato ad arrampicarsi da solo per le bellissime scale della palazzina. Abbiamo trovato alcuni dei suoi libri preferiti in italiano e inglese, al terzo piano, nella sezione dedicata ai bambini. È una vera perdita, soprattutto se penso a mio figlio: non avrà la mia stessa opportunità di perdersi tra gli scaffali della libreria e trovare la sua strada nella cultura. È deludente anche constatare che la città non fa nulla per difendere un simbolo come Rizzoli. È un segnale piuttosto grigio del futuro della città, che con i suoi proprietari come Vornado Realty Trust, e le loro risorse, punta dritta all’innovazione senza neanche pensare al patrimonio storico”.

 

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