“Baisha”, ovvero: “Sabbia Bianca”: un villaggio tutto mucche e cani e facce di etnia naxi, appena sopra la città di Lijiang, lungo le pendici della Montagna di Neve del Drago di Giada – un nome che più cinese di così non si può.
Siamo arrivati fin qui da Lijiang a bordo di uno dei tanti scassatissimi furgoncini-taxi che qui chiamano mianbaoche, “macchine a panino”.
Il nostro autista: una faccia da Marcovaldo sopra a dei pantaloni corti e laceri, una vecchia giacca blu e dei capelli in stile sei e mezza di mattina appena caduto dal letto. Non è una grande mente, questo è evidente e si può anche perdonare, però comincia a rompere un po' le scatole quando ci vuole portare assolutamente in tutti i posti più turistici e invece storce il naso quando gli diciamo che vogliamo andare a Baisha. Non c'è nulla, dice, nulla da vedere.
La pensi come vuole, noi ci intestardiamo e ci facciamo portare lì lo stesso. E infatti vale la pena. La terra non è bianca, ma comunque chiara, come annunciato nel nome. In tutto sono due strade che si incrociano perpendicolarmente, nessuna asfaltata. Avrò contato una o due macchine in tutto, non di più. Il resto sono carretti di legno, mucche, cani, maiali che scorrazzano all'aria aperta, galline e un trattore.

Una donna nel villaggio di Baisha (Foto di Chiara Molinari)
Credo siano quasi tutti naxi, una delle tante minoranze etniche della Repubblica Popolare. Pelle scura e facce da montagna senza tanti complimenti. Abiti blu per le donne: una gonna a casaccona, una maglia di un blu un po' più scuro e sulla testa un copricapo che più che un cappello sembra un fazzoletto appuntato, blu anche quello. Due lacci di stoffa sono legati attorno al torace e reggono un pezzo di resistente tessuto grezzo appoggiato sulla schiena. Serve per arrotolarvi le ceste o qualsiasi altra cosa da trasportare: dal figlio piccolo al fascio di erbe. Ceste e secchi d'acqua queste donne li portano anche appesi ai due estremi di un lungo bastone che appoggiano sulle spalle.
A Baisha vive inoltre un famoso medico o guaritore taoista – comunque lo si voglia chiamare – che è addirittura citato nella guida Lonely Planet. Si tratta del “Dottor He”. Chiediamo dove vive ad una negoziante ancora speranzosa di poterci vendere le sue pezze ricamate a prezzi da capogiro, speranza vana. Ci indica comunque una casa giù in fondo alla strada: ecco, dice, vedete è proprio quello che è appena uscito dalla porta.
Appena ci vede, il dottore ci viene incontro, ci saluta, si presenta, ci stringe la mano. Sa che veniamo per lui. Sarà pure un paesino sperso tra i monti, ma di stranieri ce ne vengono. Magari non molti, di certo non i turisti da viaggio organizzato, ma alcuni arrivano ed evidentemente il dottore lo sa e li aspetta sull'uscio.
Ci invita ad entrare: una casa piccola e sporca, ma incorniciata da un albero fiorito all'ingresso. Nel piccolo giardino sul retro c'è un lungo tavolo con tante sedie dove fa sedere tutti i viaggiatori che lo vengono a trovare e dove sediamo ora anche noi. Il copione è fisso, lo si percepisce chiaramente.
Passa di sfuggita la moglie, tipica naxi rivestita di rughe e abito blu. Esce e poi rientra con in mano un vassoio di uno squisito thè alle erbe. Intanto lui ci chiede da dove veniamo: tutti italiani, tranne la nostra amica indonesiana. Seleziona quindi tra i suoi articoli quelli in inglese e in italiano e li posa sul tavolo davanti a noi. Sono articoli che parlano di lui, interviste, lettere di pazienti pieni di gratitudine e anche la locandina di un film documentario che è stato girato sul dottore da una certa tizia francese o americana, non ricordo.

Una strada del villaggio di Baisha (Foto Chiara Molinari)
Il dottor He ha ottant'anni suonati, per la precisione è del '23. Faccia magra e scura, piena di rughe e macchie. Barbetta e lungo pizzo totalmente bianchi, le fessure scure degli occhi sopra a due profonde occhiaie. Un viso che ispira tenerezza e serenità al contempo. Porta il camice bianco come un vero dottore, ma in realtà non so neanche se lo si potrebbe definire taoista, come fanno alcuni degli articoli che ci ha dato da leggere. Si è laureato in francese in una università del sud della Cina, Nanchino mi pare. Poi si è ammalato di una grave malattia e ha deciso di curarsi da solo con le erbe raccolte sulle pendici della montagna. Pare che la cosa abbia funzionato talmente bene che da quel momento in poi il dottor He, prima dottore in Letteratura Francese, si è convertito in una sorta di guaritore taoista.
Da anni oramai passeggia per la montagna raccogliendo erbe, poi le porta a casa e ne fa polveri medicinali. Provo a chiedergli qualcosa sui suoi metodi curativi, ma lui non risponde. “Leggi, leggi”, mi dice, indicando gli articoli sul tavolo. Questo è il suo copione fisso. D’altronde lo si può perdonare: dietro non penso ci sia altro che sincerità, di certo nessuna voglia d’imbrogliare i suoi ospiti. Anche perchè le sue cure non costano nulla, non c'è dunque nulla per cui imbrogliare. Chi vuole gli dà in cambio qualcosa – ed è ovvio che poi tutti fanno un’offerta – però non è obbligatorio. Il copione fisso è forse solo un’esigenza dell’età avanzata, che preferisce fare le cose che si fanno da una vita come le si è sempre fatte.
Secondo copione dunque leggiamo gli articoli e beviamo il thè. Poi ci porta nella sua stanza delle medicine. Tre metri per tre, stracolmi di composti medicinali, polvere e sporco, sugli scaffali e a terra. Ci chiede se abbiamo qualche domanda da porgli o qualche disturbo da curare – ecco, ora è il momento delle domande, non prima.
A un nostro amico, che si lamenta della sua facile tendenza ad avere il singhiozzo, il dottor He dà un fagottino di una polvere marrone chiaro, da prendere tutti i giorni, sciolta in acqua, prima di andare a dormire.
Scriviamo due righe sul quadernino di saluti dei viaggiatori che il dottore tiene sulla sua scrivania, poi salutiamo e usciamo. Mentre riprendiamo la strada di terra chiara di Baisha, il dottor He ci saluta, dall'uscio della porta, nel suo grande sorriso incorniciato di rughe. Un volto splendido.
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