Cosa stavamo facendo, un anno fa, quando il porteño Jorge Mario Bergoglio si trasformava nell’oggi acclamato Papa Francesco? Gli esseri umani conservano ricordi molto vividi dei momenti chiave della loro vita, per l’impatto emotivo che provocano. Ogni argentino ha sicuramente un chiaro ricordo del pomeriggio nel quale abbiamo saputo della decisione della Chiesa di scegliere il suo primo Papa latino-americano.
Ero in macchina in quel momento. Ricevetti da mio padre un messaggio: "Il Papa è argentino". Confusa, accesi la radio e lo sentii parlare per la prima volta. Lui, italiano e argentino, come me italiana e argentina. Ed ebbi subito la profonda impressione di quelle parole in italiano, che però suonavano con accento e cadenza che mi facevano sentire proprio a casa. Quello che mio papà diceva era dunque vero: il nuovo Papa veniva del nostro paese.
Conservo un marcato ricordo di quelle parole e della loro inflessione. Ricordo anche che mi riempì una particolare e inaspettata sensazione di orgoglio. Un po’ più tardi, mentre alla stazione aspettavo il treno, mi sono sorpresa che mi dicevo:
– È proprio argentino!
-Chi?
-il Papa! È argentino!
Non ero là sola. Nell’aria, nella gente intorno, si avvertiva un senso imprevisto di trascendenza, con la certezza di vivere un evento storico. Eravamo tutti sospinti a un vincolo collettivo e spontaneo che ci consentisse di condividere quel risultato che ci faceva felici. Ci fu chi festeggiò la notizia come se avesse vinto la squadra del cuore. Tanti balconi di tanti quartieri si rivestirono con le bandiere gialle e bianche del Vaticano. Forte era la sensazione di comunione e gioia nella gran parte del paese.
Da allora, con un crescendo incredibile, agli argentini piace vedere nella figura di Francesco qualcosa che li rappresenta come nazione davanti al mondo. E’ il “loro” universale personaggio carismatico, che funziona come metonimia (la parte per il tutto) per quelle abitudini argentine delle quali ci sentiamo orgogliosi in certe occasioni, salvo condannarle in altre: il gesto naturalmente accattivante, la spontaneità con gli estranei, la mancanza di rigidità nei comportamenti e nelle regole, etc. Ma al di là di questi aspetti, c’è un fatto: che dopo più di duemila anni di cristianesimo, c’è finalmente un Papa italoargentino, espressione anche di quella comunità con radici italiane che fa quasi più della metà del popolo argentino. E’ uno che beve mate come noi, uno che a Buenos Aires e Córdoba cucinava bife quando invitava qualcuno a cena, uno che tifa per la squadra di San Lorenzo. Un Papa che condivide i nostri costumi più tradizionali.
Sono piccoli luoghi comuni, certo. In realtà, come ogni aspetto simbolico, assumono forte rilevanza. Anche perché sono accompagnati dall’azione “politica” costante, e soprattutto colloquiale, del Papa. In questa maniera, Francesco si incorpora alla piccola ma preziosa lista dei personaggi carismatici argentini conosciuti nel mondo (Evita, Che, Maradona, ecc.), così vivida nell'immaginario collettivo del paese. Sono le icone sacre e profane che danno al popolo l’illusione di riuscire a realizzarsi, manifestarsi, decidere, attraverso di loro.
In Argentina, a torto o a ragione, sembra che siano piuttosto le personalità, non le istituzioni, a costruire, a far sì che “le cose siano fatte”. Da noi, di solito c'è la sensazione che gli unici veri cambiamenti della realtà che possono verificarsi sono quelli realizzati dai singoli leader. E forse c'è un certo rapporto tra questo fatto e la fiducia e ammirazione per quei nostri personaggi carismatici che si affermano, da soli, nel mondo.
L’anno scorso, durante il mio soggiorno a Roma grazie alla borsa di studio Iscop/Cavalieri del lavoro, sono andata in san Pietro, per una messa celebrata da Francesco. L’ho visto trattenere il discorso che aveva preparato per dirigersi direttamente, con lo sguardo e i gesti delle mani oltre che con le parole, ad alcuni giovani che lo reclamavano disperatamente al grido di Francesco! Francesco! Mentre ero là e, fra tanta, tantissima gente, lo sentivo parlare, non potevo smettere di dire ai miei amici italiani: è proprio un argentino! In quella piazza, quel giorno, sentivo che stava succedendo qualcosa che mi riportava, direttamente e allegramente, nel mio paese.
*Mora Matassi, 21 anni, abita nel quartiere Palermo, al centro di Bueonos Aires. Studentessa dell'ultimo anno della laurea in Scienze della Comunicazione all'Universidad de San Adrés, ha anche la cittadinanza italiana perché la famiglia, come quella di Papa Francesco, emigrò in Argentina dal Piemonte. All'università Mora è "caporedattore" nella rivista degli studenti http://issuu.com/revistamouton.
Discussion about this post