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Open Roads al Lincoln Center parte fortissimo con “La paranza dei bambini”

Dal 6 giugno la tradizionale rassegna a New York del migliore cinema italiano, che apre con il film di Claudio Giovannesi, sceneggiatura di Roberto Saviano

Chiara BarbobyChiara Barbo
Open Roads al Lincoln Center parte fortissimo con “La paranza dei bambini”

Image from the film, "Piranhas"

Time: 5 mins read

Open Roads torna al Lincoln Center di New York dal 6 al 12 giugno 2019, presentando una selezione di film e documentari italiani della stagione cinematografica appena trascorsa, oltre a un classico restaurato, La commare secca di Bernardo Bertolucci, un omaggio al grande maestro scomparso lo scorso novembre.

Tra le numerose opere presentate spicca quello che è non a caso il film di apertura della rassegna, La paranza dei bambini (Piranhas) di Claudio Giovannesi. Presentato alla scorsa edizione del Festival di Berlino e basato sull’omonimo libro di Roberto Saviano (che qui è anche co-autore della sceneggiatura), non è solo un film importante perché parla, ahimè, ancora una volta, della camorra di casa nostra, ma perché dietro a questa camorra c’è molto di più, c’è la vita quotidiana dei nostri figli, dei nostri nipoti, a cui cattivi maestri o anche solo semplicemente la vita insegnano che per i soldi si vive e si muore.

Questa camorra è quella da pochi spiccioli, del pizzo da venti euro per un banco al mercato, quella dei pescetti piccoli, la paranza appunto, le piccole estorsioni quotidiane, lo spaccio di fumo davanti all’università, i piccoli colpi portati a segno nei negozi del quartiere. Ma prima di tutto questa paranza sono i ragazzini coinvolti, pescetti piccoli, da poco conto, usati dai boss e dai loro scagnozzi per gli affarucci quotidiani che pure costituiscono il loro impero tra i vicoli di Napoli. Ragazzetti che giocano alla camorra, adorando foto di boss morti ammazzati e sognando di comprarsi t-shirt da duecento euro, e in quei quartieri non c’è molta scelta, come non ce n’è in certi quartieri di qualunque grande città. Sono i Quartieri Spagnoli, è il rione Sanità, ma potrebbero essere il South Bronx o East New York, perché la storia è sempre quella, anche se qui in America non si chiama camorra, ragazzini tagliati fuori dal nostro mondo digitale e globalizzato che sono disposti a tutto per indossare un brand e poter spendere migliaia di euro per un tavolo dove invitare le ragazze nella discoteca più di tendenza. Diventano grandi in fretta questi ragazzini, con il primo colpo di pistola, una rapina finita male, semplicemente nati nel posto sbagliato, e da questi posti sbagliati, a Napoli come a New York, è assai difficile uscire. Da noi questi ragazzini qui, con questi sogni comprati a suon di estorsioni e truffe, questi ragazzini se li è mangiati la camorra, sono i suoi manovali, camerieri in abito da sera che servono i boss ai lussuosi matrimoni di cattivo gusto, ragazzini che da paranza possono diventare piranha in un momento, e lì allora non ci sono regole per nessuno.

Per questo La paranza dei bambini è un film importante, e non solo perché ancora una volta parla di camorra – questo anzi rischia di diventare un limite, dal momento in cui il nostro cinema e la nostra serialità televisiva che più si vendono e si guardano all’estero sono quelli di tematica camorristica nello specifico e mafiosa in senso generale. E’ un film importante perché il suo racconto è tragicamente universale. Ma oltre ad essere un film importante ha il pregio di essere un film ben fatto, magnificamente girato da Claudio Giovannesi che già con Fiore aveva dimostrato di saper ben dirigere i ragazzi, cosa per niente facile. Inoltre il regista sceglie di tenere la vicenda quasi tutta nei vicoli, quei vicoli così scenografici ma che, a guardar bene, sono una prigione: è il mondo di questi ragazzini che sfrecciano in scooter per le stradine, le salite, si arrampicano sui tetti e oltre i muri, ma da quei vicoli non si scappa. Come in Fiore, e in tanto altro cinema, ancora una volta è il mare a rappresentare il sogno e una possibilità di salvezza, ma sappiamo, da tanti film, che il finale è noto. E’ un film difficile questo, dalla scelta del cast alle riprese a un montaggio che qui ha trovato il suo passo e il suo senso, e guardando il film si immagina una scrittura un po’ estenuata e sofferta, che è forse l’unica piccola debolezza di un film altrimenti perfetto.

Accanto al film di apertura di Oper Roads che merita assolutamente di essere visto, la selezione curata da FilmItalia propone un pacchetto di film molto diversi tra loro per genere, stile e anche in alcuni casi qualità, abbastanza rappresentativo della produzione cinematografica italiana che è in sé piuttosto varia e discontinua (anche per note ragioni legate all’accesso ai finanziamenti e al credito). La continuità è data da alcuni autori eccellenti, che ritroviamo anche nel programma di Open Roads, tra cui Paolo Sorrentino con Loro, satira surrealista di un Berlusconi in caduta libera, Gianni Zanasi con Troppa grazia (Lucia’s Grace), commedia fuori forma, soprannaturale, etica, femminile, diretta da uno dei registi italiani più talentuosi, e Mario Martone con Capri – Revolution, ambientato a Capri nel 1914, film che presenta i tratti fondamentali del cinema squisitamente autoriale del regista napoletano, tre autori, diversissimi tra loro, che da anni interpretano artisticamente storie, drammi e virtù, di questo nostro bel paese.

Tra i film presentati quest’anno, un’attenzione particolare meritano Fiore gemello (Twin Flower) di Laura Luchetti, racconto intimo e potente di due adolescenti uniti dal dolore, ciascuno il proprio, a cui cercano di sopravvivere e a cui la regista ha la grazia e il cuore di non negare la speranza; e Il vizio della speranza (The Vice of Hope) di Edoardo De Angelis, che dopo Indivisibili torna a raccontare una storia forte con una voce personalissima, questa volta affidata alla brava Marina Confalone (vincitrice del David di Donatello 2019 come miglior attrice protagonista), al centro di un traffico di madri surrogato nella desolazione periferica del casertano.

Tra i documentari invece, da vedere in particolare La scomparsa di mia madre (The Disapperance of My Mother) di Beniamino Barrese, confronto tra il regista e sua madre, Benedetta Barzini, famosa modella negli anni Sessanta e musa di artisti come Warhol e Dalì, femminista, attivista, ora anziana e decisa a scomparire mentre il figlio con la sua telecamera vuole raccontare lei e quel che ha rappresentato. Accanto a Barrese, Adele Tulli presenta il suo Normal, documentario importante sulla ridefinizione del genere (e sul concetto di ‘normalità’ ad esso legato), argomento che in questi ultimi anni è molto indagato e raccontato dal cinema internazionale, molto meno purtroppo da quello italiano, mentre il critico Fabrizio Corallo con il suo Sono Gassman! Vittorio re della commedia racconta il grande Vittorio Gassman, tra risate, qualche lacrima di commozione e tanta nostalgia.

I film e documentari presentati a Open Roads sono comunque tanti, e per tutti i gusti, e rappresentano uno spaccato interessante del cinema italiano di questo momento, e una bella occasione per vederlo qui a New York, dove il nostro cinema nazionale (come anche altri a dire il vero) solitamente non trova molto spazio nelle sale cinematografiche.

Per il programma completo potete consultare cliccando qui il sito di Open Roads al Lincoln Center.

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Chiara Barbo

Chiara Barbo

Scrivere di cinema o scrivere il cinema? Possibilmente tutti e due. Dalla critica cinematografica alla sceneggiatura passando per la produzione, al di qua e al di là dell'oceano, collaboro con La VOCE di New York e con Vivilcinema, con la Pilgrim Film e con Plan 9 Projects. E anche con altri. Ma per lo più penso, immagino, ricerco, scrivo, organizzo in modalità freelance. Insieme a tanti altri, faccio parte della giuria del David di Donatello. New York è stata una scelta. New York è intensa, vitale, profonda e leggera, pacchiana e intellettuale, libera, creativa, è difficile, è bellissima, ed è la città più cinematografica del mondo.

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