Giovane, simpatico e eloquente, Dario Franceschini è stato accolto con grandissimi battimani a New York. Lo accompagnava Danny Berger, da decenni genio silenzioso dei rapporti culturali italo-americani.
Interessante come i notabili di ogni nuovo governo italiano trovino necessario venirsi a confortare nella “Grande Mela” appena esausti, cioè subito, dalla loro esperienza amministrativa italiana. Non molto tempo prima del ministro Franceschini era passato da qui un famoso poliziotto e capodivisione di un altro ministero italiano per avvertire che la ‘ndrangheta sta facendo passi da gigante in ogni città e settore civile del Bel Paese.
Purtroppo anche questa volta, come le precedenti, il ministro italiano si è trovato a guazzare in un oceano di scetticismo. In una conferenza stampa affollatissima al Consolato italiano quasi tutte le domande vertevano su come ci si proponga a Roma di fronteggiare nuovi assalti ai monumenti da parte di olandesi ubriachi.
Un altro argomento che aveva preceduto solo di poche ore l’arrivo del ministro era la sfida scagliata contro la capitale italiana dai tagliatori di teste dello Stato Islamico, abbastanza seria da essere commentata la mattina stessa sul New York Times da uno dei più famosi columnist americani.
Franceschini ha scansato validamente queste ondate minacciose. Vi ha contrapposto cavalloni altrettanto giganteschi di speranza: cinquecento milioni di cinesi, ha detto, si preparano, secondo assicurazioni ufficiose provenienti da Beijing, a venire come turisti in Italia (sperabilmente non sbronzi come gli olandesi). Centinaia di nuove stanze della Domus Aurea di Nerone è possibile vengano dissepolte già negli attuali scavi dagli archeologi italiani. Migliaia di musei italiani e un patrimonio artistico che è più immenso di quello di qualunque altro, secondo le misurazioni ufficiali delle Nazioni Unite sono i potenziali beneficiari della nuova policy del governo Renzi, volta ad associare anche i privati alla difesa e sviluppo dei beni e attività culturali.
Franceschini ha soprattutto puntato sull’ultimissimo piano governativo italiano a cui è stato dato il nome di Art Bonus (ah, Danny Berger! Perché questo linguaggio americano? Nè in italiano, né in latino l’arte è “art”; caso mai, “ars”; quanto al “bonus,” in America significa una cosa, in Italia un’altra). Franceschini ha assicurato che la “trasparenza” sarà il criterio centrale nell’assegnazione dei benefici fiscali ai privati italiani o stranieri che vorranno concorrere alla promozione o tutela dei beni culturali nella penisola. Se ne occuperà, dice un volantino che è stato distribuito durante la conferenza stampa, il MiBACT (crediateci oppure no, questo acronimo è il nuovo nomignolo del Ministero dei Beni e Attività Culturali e Turistiche; anche qui l’influenza di Manhattan, e di Danny, è percepibile; tutto è cominciato con quel benedetto MoMA, un nome che ha sempre fatto più impressione a Milano che a New York). Al MiBACT andranno presentati rapporti mensili da parte dei destinatari dei doni che ne preciseranno l’entità e l’impiego.

La nuova biblioteca al piano terra dell’Istituto Italiano di Cultura a New York
Se altre idee oltre questa assicureranno la trasparenza, in vista anche delle immense opacità di precedenti iniziative come i sussidi alla stampa e quelli alla cinematografia, non è precisato nel volantino. Nella conferenza stampa l’autorevole giornalista italiano Renzo Cianfanelli ha suggerito che il MiBACT ricorra anche alle esperienze tecniche immensamente vaste, sia in materia fiscale che museale, di enti americani (perché ad esempio non l’IRS, acronimo, questo, che è il più temuto in tutti gli Stati Uniti, anche se significa semplicemente “servizio delle entrate”?) o perfino messicani. Franceschini ha risposto dando assicurazioni.
Il programma del ministro ha compreso l’inaugurazione nell’Istituto di cultura italiano di New York della nuova biblioteca intitolata a Lorenzo Da Ponte il cui catalogo è disponibile anche on line. Tutte le opere di Da Ponte stesso, lasciate qui alla sua morte da questo librettista di Mozart che fu il primo grande propugnatore della cultura italiana negli Stati Uniti, si trovano peraltro negli scantinati della New York Society Library, una biblioteca privata newyorchese, duecento metri distante dall’Istituto italiano di cultura. Il MiBACT, se lo sa, potrebbe allacciare perlomeno on line i cataloghi delle rispettive opere, senza particolari spese e con tutta la trasparenza dovuta ai contribuenti italiani.