In questa imprevedibile e allarmante stagione di grandi confusioni e di fine delle certezze che ci avevano accompagnato finora, può persino succedere l’inimmaginabile: per una volta mi sono trovata d’accordo con Giuliano Ferrara (nella foto).
Ha ragione lui: la liberalizzazione degli orari dei negozi e degli esercizi commerciali è necessaria, se non altro per adeguarci a quanto da tempo avviene in tutte le economie avanzate e moderne. L’Elefantino – così si firma nella rubrica che tiene sul Foglio, il quotidiano da lui diretto – non è mai entrato nella top list delle mie simpatie personali. A darmi fastidio non è tanto il salto della quaglia che ha fatto in politica, dalla sinistra ortodossa del vecchio Pci al partito di Berlusconi (ognuno è libero di avere ripensamenti e sviluppi delle proprie idee, ci mancherebbe) quanto il fanatismo aggressivo con cui difende queste sue nuove posizioni, atteggiamento tipico dei “convertiti” quasi avessero a farsi perdonare qualcosa per i passati schieramenti.
In questo periodo Ferrara conduce un programma televisivo in RAI, breve ma fisso e nella seguitissima fascia oraria della prima serata: un “one man show” di alcuni minuti che gli servono per divulgare il suo credo. Qualcuno, maligno, sussurra che fosse stato lo stesso Berlusconi, presentendo il declino, ad averlo spinto verso viale Mazzini, nella speranza che i fini ragionamenti dell’Elefantino potessero in un qualche modo aiutarlo. Il governo Berlusconi non c’è più (a proposito: qualcuno farebbe bene a ricordarglielo) ma il contratto con Ferrara va onorato fino alla scadenza è giusto così.
La trasmissione è intitolata Radio Londra, a ricordo di quella celebre che gli Alleati angloamericani indirizzavano in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, con tanto di messaggi in codice per i partigiani. Ed è l’occasione per Ferrara di confermare quanto si è sempre saputo: che lui è tra i non moltissimi intellettuali o comunque persone dotate di cervello che l’attuale Destra italiana sia riuscita a sfornare o, meglio, a prendere dalla sinistra. Gli argomenti che sceglie sono sempre validi e, pur non condividendo praticamente mai né i suoi ragionamenti né soprattutto come li affronta, è indubbio che quando mi forzo a non cambiare canale ne ricavo comunque quello che in inglese si chiama “food for thoughts”. E sugli orari dei negozi è impossibile dargli torto.
A dire il vero, però, ci stanno provando in tanti. A cominciare dai sindacati, sempre più “vecchi” e fuori dalla realtà del mondo globalizzato, e da varie associazioni di categoria. Francamente non capisco come della gente che pure dovrebbe conoscere il mondo del lavoro ed essere a conoscenza di ciò che succede altrove non riesca a capire che sono cambiati tutti i nostri ritmi di vita. Per dire: un tempo mio padre tornava a casa dal lavoro alle due del pomeriggio, pranzava, faceva la pennichella e poi alle cinque del pomeriggio tornava in ufficio fino alle otto di sera. Un tempo, appunto. Oggi gli orari sono del tutto diversi, anzi: non ci sono proprio più.
Vogliamo restare il Belpaese che i turisti adorano ma poi lasciano con un sospiro di sollievo, esasperati dall’avere trovato quasi sempre tutto chiuso? Possiamo ancora permettercelo, signori sindacalisti?