In questi giorni si fa un gran parlare della riforma del catasto annunciata dal governo di Mario Monti. Premetto che la ritengo doverosa, almeno così come sembra che verrà realizzata: attualmente, e da oltre un secolo, il catasto italiano era il simbolo del peggiore statalismo “Italian Style” – assieme alle Poste che, però, dopo la cura in spirito privatistico e imprenditoriale impressa anni fa dall’attuale ministro Corrado Passera, sono diventate incredibilmente moderne e funzionali.
Il catasto era e tuttora è un coacervo di cavilli burocratici, di parametri e controparametri, tabelle e tabelle-bis tra cui districarsi grazie all’apporto di avvocati, commercialisti, geometri e consulenti di vario tipo e con un’unica soluzione finale: la bustarella da passare sottobanco a qualche impiegato compiacente. Adesso, tanto per cominciare, si vorrebbe finalmente ricorrere a quella che da sempre mi è apparsa come la cosa più ovvia: il valore di una proprietà immobiliare va calcolato innanzitutto sulla base della sua grandezza, cioè dei metri quadrati.
Sembra ovvio, ma così non era/è in Italia. Nel Belpaese il valore si valuta in vani, il che ha permesso finora ai soliti furbetti – cioè tutti noi – di lanciarci in voli architettonicamente pindarici consentendo alla fantasia italica di esibirsi in astrusi e esilaranti dichiarazioni: salotto, cucina e magari anche bagno calcolati come un unico vano e via dicendo. Ma per spiegarvi quanto il catasto italiano sia roba da azzeccagarbugli mi basta citarvi un dato di fatto e poi farvi una domanda.
Il dato di fatto: in Italia il catasto, a cui pure bisogna rivolgersi, non ha in realtà valore legale. Siccome lo sanno tutti che non funziona e, basato su regole astruse, non dà il quadro esatto di una proprietà, lo Stato ne ha preso atto. Per vendere o comprare un bene immobiliare bisogna sì passare sotto il giogo del catasto, per ottenere dopo lunghe attese e a caro prezzo un pezzo di carta da consegnare al notaio; ma questo documento, poi, non ha alcun significato o obbligo ufficiale.
La domanda invece è: lo sapete qual è l’unica eccezione, l’unico catasto che su tutto il territorio italiano ha valore legale perché è affidabile e incontrovertibile?
È quello di Trieste. E sapete perché? Perché è stato fatto quando Trieste era parte dell’impero austroungarico. Credo di non dover aggiungere altro, se non: Forza Mario!
«MA COS’È QUESTA CRISI?». Ricordate il motivetto/tormentone di una vecchia e celebre canzoncina?
È stata composta agli inizi degli anni Trenta ma poi è sempre tornata in auge a cicli ricorrenti: io l’ho sentita per la prima volta negli anni Sessanta. Mi viene in mente in questi giorni.
Sono andata a Milano per le feste. E ho notato due cose. La maggior parte dei negozi, è vero, è vuota tanto che i negozianti non sanno a che santo votarsi e pensano di anticipare i saldi. Ma, allo stesso tempo, alcuni negozi sono presi d’assalto. Con i miei occhi ho visto code lunghissime di aspiranti clienti in paziente fila (ordinata, per di più, sì: l’Italia sta cambiando) davanti al negozio di Tiffany, a quello di Abercrombie & Fitch e ad altri. E non tutti erano americani o comunque stranieri: il grande magazzino La Rinascente, italianissimo anche se ora con capitali thailandesi (ma è la globalizzazione, bellezza) era iperaffollato. E i commessi con cui ho parlato mi hanno confermato che la stagione sta andando benissimo. Ma allora?