L’ho sempre detto: ci vuole uno straniero per capire davvero gli italiani. Meglio se americano e, meglio ancora, se newyorkese, cioè fornito di un Dna dove il caotico cosmopolitismo si mescola a una lungimirante anche se un po’ cinica tolleranza. La conferma, se ne avessi bisogno, mi viene da “L’Italia e gli Italiani”, una bella mostra fotografica visitabile al Palazzo Reale di Torino fino al 26 febbraio. Al termine di una “battuta di caccia” nel nostro Paese durata sei mesi, nove grandi fotoreporter della celebre Agenzia Magnum (Christopher Anderson, Harry Gruyaert, Mark Power, Mikhael Subotzky, Donovan Wylie, Richard Kalvar, Bruce Gilden, Alex Majoli, Paolo Pellegrin) hanno selezionato 400 scatti del tutto inediti. Immagini davvero azzeccate, tutte. A me, in particolare, piacciono molto le immagini di Richard Kalvar (a lato ne presentiamo una), nato a New York nel 1944 e uno degli occhi storici della Magnum per cui lavora da oltre 40 anni (nella foto, il suo “Partita di calcio a Monza”).
La sua sezione si intitola “Insieme”. E dimostra che, nonostante ciò che gli italiani pensano (o dicono di pensare) di loro stessi – cioè tutto il male possibile, a cominciare dalla mancanza di uno spirito nazionale collettivo – in realtà è vero il contrario.
«Voi italiani avete delle virtù che non sapete di avere» ha infatti detto Kalvar al Corriere della Sera. Ovvero? «Siete complici e solidali». Il che è indubbio. Anche se qualcuno potrebbe dire che è proprio da queste due caratteristiche che, poi, si sviluppa anche il cosiddetto familismo amorale, culla e incubatore di quel diffuso e pervasivo fenomeno che va genericamente sotto il nome di mafia.
Ma qui è il caso di guardare alle cose con ottimismo e positività; come hanno fatto i nove. E come fa Kalvar. Che, nelle poche righe di presentazione della sua sezione, si domanda: «Da che cosa è unita l’Italia?». E trova la risposta: «Dalla famiglia, dal sistema scolastico nazionale, dal caffè al bar, dal calcio, dalla televisione, dall’importanza del cibo, dal piacere di vestirsi, dai nonni, dal Ferragosto al mare, dal Natale in casa, dallo sposarsi in bianco, dalla piazza, dal mercato, e da quei gesti comuni e speciali in cui tutti ci riconosciamo. Dalla cultura soprattutto. Da quella memoria di noi stessi che ci fa antichi e nuovi. Dove ogni innovazione è il prossimo classicismo». Insomma, può sembrare banale ma l’Italia è unita dagli Italiani.
Poi certo ci sono gli italiani che ti fanno cascare le braccia, che di cosmopolitismo e globalizzazione si riempiono la bocca nei salotti ma, all’atto pratico, fanno di tutto per umiliare e rimpicciolire l’immagine di un Paese, il nostro, che da sempre – adatto una nota frase – è fucina di navigatori e viaggiatori internazionali.
La RAI, per esempio. Capisco la crisi e le esigenze di bilancio. Ma il programma di chiusure e ridimensionamenti delle le sedi estere di corrispondenza dell’emittente pubblica a cui pare stia lavorando la presidentessa Lorenza Lei sembra fatto apposta per eliminare dalla scena mondiale la cultura italiana (che è fatta non solo di arte, musica, letteratura, ma anche di imprese). Non parlo di RAI International che ho sempre giudicato pessima. Qui a rischio sono tutti gli uffici, anche quelli di New York e Washington che non chiuderebbero ma si ridurrebbero. Come quello di Pechino e Nuova Delhi. Qualcuno ha spiegato ai dirigenti di viale Mazzini che la Cina e l’India sono sempre più importanti? E che dire della ventilata chiusura della sede di Buenos Aires, unico ufficio in quel vasto ed emergente continente latinoamericano pieno di figli di emigrati italiani? Battenti serrati in vista anche per Mosca e Beirut, piazze strategiche sia sul piano economico sia su quello politico.
Ovviamente dovrebbe sparire anche l’ufficio di Nairobi, unico in Africa e che venne aperto proprio perché, si disse, l’Africa con tutti i suoi problemi che premono sull’Occidente intero non poteva essere ignorato.
Il governo Monti, con la nomina di Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant’Egidio a ministro per la cooperazione e l’integrazione internazionale ha lanciato un segnale preciso: qualcuno ha finalmente capito che i rapporti con i paesi in via di sviluppo è fondamentale. Si vede, però, che nel traffico di Roma il messaggio da Palazzo Chigi si è perso lungo la strada verso viale Mazzini.