Il rapporto Messico-Stati Uniti è di nuovo al centro delle polemiche della politica internazionale. Il conflitto che caratterizza da sempre i due Paesi e che trae origine dalle passate battaglie per l’indipendenza ancora oggi, trascorsi i secoli, ci porta di fronte ad un conflitto psicologico ed ideologico tra le due federazioni del continente americano.
Anche se con l’entrata dell’amministrazione di Barack Obama si pensava si potesse aprire una nuova collaborazione tra Stati Uniti e America Latina, facendo tesoro degli errori passati (il mancato dialogo e le poche intenzioni di riappacificazione per ristabilire una solida cooperazione finanziaria) i rapporti tra i due Paesi rimangono critici, soprattutto per quanto riguarda il traffico di droga verso il quale il Presidente degli Stati Uniti ha inasprito i controlli sul cosiddetto ’Border Patrol’. Il suo intento, tramite l’incentivazione dei controlli alla frontiera è, ed è sempre stato, quello di combattere il narcotraffico che è l’elemento di maggiore preoccupazione per gli Stati Uniti, aldilà dell’immigrazione clandestina.
Il Messico è difatti, una delle nazioni da cui vengono esportati negli USA più droghe e armi di qualsiasi tipo e calibro ed è da sempre anche quella da cui proviene la maggioranza dell’immigrazione clandestina (circa il 90%). Come enunciato in un articolo uscito oggi sul ’Washington Post’ di Nick Miroff e William Booth però, il numero degli arresti di immigrati clandestini provenenti dal Messico alla frontiera Sud degli Stati Uniti è sorprendentemente sceso a quello degli anni 70, costituendo un cambiamento storico per le sorti delle relazioni tra i due Paesi, che potrebbe realmente rimodellare il dibattito sull’immigrazione oggi al centro delle campagne elettorali dei candidati repubblicani.
Soltanto per quanto riguarda il 2011, gli arresti di clandestini registrati al cosiddetto ’Border Patrol’ sarebbero stati circa 327.577, numeri che, come confermato sempre nell’articolo del WP non si avevano dai tempi del Presidente Richard Nixon e che sono probabilmente destinati a scendere negli anni a venire.
Gli arresti effettuati alla frontiera sono utili strumenti per il governo statunitense, che è così in grado di stabilire ed estimare il flusso di immigrati illegali, anche se le cifre sono falsate, in quanto non tengono conto di tutti quei clandestini che, invece, non venendo arrestati riescono ad oltrepassare i controlli. Gli ultimi dati mostrano comunque due andamenti diversi rispetto al passato, da un lato c’è una minore affluenza negli Stati Uniti di immigrati di nazionalità messicana e singolarmente dall’altro molti di quelli che vivono negli States, sembrano fare ritorno nel Paese d’origine. Jeffrey Passel, un demografico del Pew Hispanic Center ha confermato questo fenomeno affermando che “il rapporto tra i messicani che si trasferiscono negli USA e quelli che tornano a casa è ormai praticamente paritario” e le sue conclusioni sono quelle maggiormente condivise dagli esperti di immigrazione di tutto il mondo.
Questo improvviso calo dell’immigrazione clandestina dai Paesi del Sud America fornisce quindi, un ulteriore supporto ad una possibile legge sulla immigrazione che regolamenti i flussi, ma che soprattutto si focalizzi sulla messa in regola degli oltre 11 milioni di immigrati irregolari che vivono sul territorio statunitense.
Rendere sicuri i confini con il Messico è sempre stata una delle priorità di Obama. In questi termini lui stesso, con una dichiarazione diffusa dalla Casa Bianca commentava nel Maggio 2011 – a seguito del passaggio a una nuova legge, approvata dal Congresso che ha stanziato 600 milioni di dollari per un rafforzamento della frontiera – “La mia amministrazione ha dedicato risorse che non hanno precedenti per combattere le organizzazioni criminali transnazionali che trafficano droga, armi, denaro e persone lungo il confine col Messico” e ha sottolineato anche che “la decisione del Congresso risponde alla mia richiesta di sostenere il lavoro essenziale della polizia di frontiera”.
Questa nuova legge ha costituito un punto di svolta per le relazioni Messico-Stati Uniti poichè oltre a rafforzare la protezione per quelle comunita’ che vivono lungo il confine, ha fortificato la partnership tra i due Paesi facendo della lotta alle bande criminali un obiettivo comune.
L’amministrazione Obama, anche all’indomani della legge per il rafforzamento delle frontiere, ha continuato a lavorare per arrivare ad una riforma organica dell’immigrazione che potesse essere approvata sia dai democratici che dai repubblicani. Un’attività questa che è stata portata avanti principalmente per tutelare il diritto all’istruzione e al servizio militare dei figli dei clandestini che vivono in America e che il Presidente ha concretizzato nel DREAM Act, non ancora in vigore ma di punta nel programma democratico.
La proposta parte dalla considerazione che in virtú del 14esimo emendamento della costituzione americana chi nasce sul suolo degli USA ha diritto alla cittadinanza, e questo vale ovviamente anche per i figli degli immigrati clandestini. Nel 2008, 4 milioni di bambini americani avevano almeno un genitore entrato nel paese irregolarmente. Secondo il censimento del marzo 2009, i figli di genitori clandestini costituivano il 7% della popolazione americana con meno di 18 anni. Di questi ragazzi, circa il 79% erano cittadini americani.
La regolarizzazione degli immigrati, però, non è l’unica preoccupazione attuale per gli USA. Degli ultimi giorni infatti la notizia che le autorità messicane, in collaborazione con gli agenti americani, hanno scovato l’ennesimo tunnel sotterraneo costruito dai trafficanti di droga per trasportare i carichi illegali dal Messico alla California. Nell’operazione sono state sequestrate 32 tonnellate di marijuana. E’ sicuramente uno dei più grandi sequestri di droga per gli Stati Uniti ma nella norma per il Messico dove il record è 132 tonnellate di marijuana sequestrate con una sola operazione.
Questo episodio, è solo uno tra tanti e se da una parte testimonia l’aumento della produzione messicana, specularmente mostra un aumento della domanda da parte degli Stati Uniti.
Forse da qui, deriva la successiva e originale proposta di risoluzione del Presidente messicano, Felipe Calderon il quale, anche lui alle prese con una sanguinosa lotta con i narcotrafficanti, lo scorso settembre chiese implicitamente agli Stati Uniti di legalizzare la marijuana in modo da colpire l’immenso giro d’affari dello spaccio internazionale.
Certo è che il ’Border Patrol’ di Obama è stato realizzato anche con lo scopo di diminuire lo smercio di droga da parte dei paesi sudamericani, con l’utilizzo di un ’recinto’ lungo migliaia di chilometri in cui il controllo effettuato tramite telecamere, luci e sensori dovrebbe aver aiutato a ridurre il flusso di illegalità proveniente da queste nazioni.
Ritornando all’immigrazione, però, al Congresso fino ad oggi è stato difficile riuscire a bilanciare tra coloro i quali si mostrano intransigenti nel voler fare permanere sul territorio i clandestini e altri che invece spingono per la realizzazione di un ’percorso’ che li porti se non alla cittadinanza o per lo meno ad uno status di legalità.
I concorrenti repubblicani alla presidenza americana Newt Gingrich e Mitt Romney stanno puntando molto sul discorso immigrazione nella loro campagna elettorale, facendo riferimento agli immigrati irregolari che vivono sul territorio statunitense. Mentre l’attuale favorito, Gingrich, in uno dei suoi confronti televisivi ha espresso la volontà di venire incontro a tutte le famiglie di clandestini che da anni vivono in America, che lavorano e pagano le tasse, con una legge ’umana’ che li regolarizzi, Romney lo ha accusato di aver semplicemente proposto un’amnistia ai residenti illegali, senza fornire una chiara risoluzione al problema.
Così mentre Michele Bachmann sembra evasiva sul tema e Ron Paul parla più che altro di aumentare ulteriormente i regimi di sicurezza al confine, Rick Perry afferma che riuscirebbe a risolvere la questione immigrati anche in meno di un anno rafforzando i controlli in entrata.
Inasprire ulteriormente i sistemi di sicurezza, però, potrebbe rivelarsi controproducente per i rapporti commerciali col Messico, con l’espressione forse di una eccessiva diffidenza degli USA verso questa nazione.
Tutti i candidati alle primarie mostrano comunque una volontà comune sul discorso immigrati: bisogna prima rafforzare i confini e poi effettuare una riforma sull’immigrazione. Anche Gingrich nella sua campagna in Iowa una settimana fa ha fatto un passo indietro rispetto la sua proposta di legge amnistia per i clandestini, affermando è necessario incentivare i controlli al confine anche utilizzando ulteriori risorse delle National Guard americane.
La questione della sicurezza del confine messicano, per il Grand Old Party sembra essere quindi molto seria. Lo scorso Maggio il Presidente Obama aveva provato a scherzarci su, proponendo ai repubblicani “una fossa piena di alligatori” in risposta alle loro continue richieste di sicurezza. Un giovane repubblicano, Joe Walsh, dal congresso della House Homeland Security Committee gli scrisse una lettera di replica, rispondendo “I’m Game”, che in slang significa “io ci sono, sono pronto”. Walsh lamentava ad Obama di non agire seriamente rispetto alla questione, di consultarsi con interlocutori non adatti: recentemente, la mossa del Presidente democratico è stata quella di avvicinare le celebrità di origine latina, come Eva Longoria e in seguito Antonio Banderas, per pubblicizzare il Dream Act. Il gradimento dei ’latinos’ è fondamentale per la strategia di rielezione di Obama e degli altri candidati.
Certo, la politica già attuata dal governo, che prevede maggior tutela di studenti, veterani di guerra e in generale elementi ’a basso rischio’ nelle pratiche di espulsione, non va giù al GOP. “Quando minaccia di chiamare in giudizio gli Stati di confine perchè fanno quello che il Governo Federale dovrebbe fare, lei, Presidente, non è serio” aveva risposto, secco, Walsh. Il Partito repubblicano tra l’altro è forte di un grosso e compatto sostegno in Senato, che riesce a fare il bello e il cattivo tempo su una proposta così delicata come il Dream Act. Il piano, l’anno scorso, era stato varato e subito bloccato dai senatori. La proposta porta il nome dell’American Dream, ed Obama, lo scorso settembre, sempre davanti ad un’audience di ’latinos’ dichiarò “spezza il cuore veder negare il diritto all’educazione o alla carriera militare a giovani innocenti solo a causa delle azioni dei loro genitori, o per la volontà di pochi politici a Washington”.
Vista la grande varietà di opinioni tra i candidati alla Casa Bianca, sarà difficile sapere come si evolveranno le cose tra Stati Uniti e Messico prima delle prossime elezioni presidenziali, si spera ovviamente in una soluzione che riesca a fornire maggiore sicurezza da un lato e maggiori opportunità agli immigrati che vivono da tempo negli USA dall’altro.
Una precedente versione di questo articolo è stata pubblicata sull’appzine L’INDRO ed è disponibile su www.lindro.it/