Continua seconda e ultima parte. (La prima parte qui)
A parte la migrazione estiva delle donne nordiche poi esauritasi, una presenza caratteristica e duratura nel tempo sulla riviera riminese erano (ci sono tuttora sebbene in numero minore) le famiglie tedesche o come venivano chiamati a Rimini, i “tedàsch” o “i tedeschi di Germania” (onestamente, non ho mai scoperto chi fossero gli altri).
Inizialmente, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, molti tedeschi scelsero di venire una prima volta a Rimini perché era poco cara. Ad affascinarli è stato la qualità dell’accoglienza e il trattamento familiare che gli veniva riservato in albergo e, quindi la combinazione mare, la buona cucina (perché anche nel piccolo albergo si mangiava bene e speso venivano preparati piatti graditi agli ospiti tedeschi) e il divertimento.

Oltre ai locali da ballo, i tedeschi apprezzavano particolarmente le tipiche birrerie che ricreavano un angolo di Germania sulla riviera. Birrerie dove venivano serviti wurstel e krauti, birra di Monaco alla spina, il tutto allietato dall’immancabile banda in stile bavarese che suonava le canzoni tipiche dell’Oktoberfest. “Trink, trink, Bruederlein trink, lass doch die Sorge zu Haus”, “Bevi, bevi, fratellino bevi, lascia le preoccupazioni a casa”.
Sin dall’inizio, tra la clientela tedesca si è sviluppato uno zoccolo duro di affezionati della Riviera Romagnola che hanno continuato a venire a Rimini per decenni, chiedendo sempre la stessa stanza nello stesso albergo e il lettino sempre sotto lo stesso ombrellone dallo stesso bagnino conosciuto inizialmente. Tra i clienti tedeschi, i proprietari degli alberghi e i bagnini è nata un’amicizia che si è rinnovata e rinforzata stagione dopo stagione e nel tempo è stato tramandato ai figli e ai nipoti di quei turisti venuti per la prima volta a Rimini tanti anni fa, e ai figli e ai nipoti degli albergatori e dei bagnini che li hanno accolti.
A quei tempi c’era un detto popolare che diceva “Agosto, moglie mia non ti conosco”, e alludeva al fatto che i mariti da soli in città potessero avere delle tresche con giovani amanti ma, in realtà, erano le mogli al mare da sole che tessevano delle storie con intraprendenti cavalieri pronti ad approfittare della situazione. Nei mesi estivi, il venerdì chiudevano gli uffici nelle grandi città e un piccolo esercito di papà partivano e venivano a passare il fine settimana al mare con le mogli e le famiglie.

Nelle estati della fine degli anni Sessanta le città si svuotano e nei media per la prima volta si parla di “esodo”. La grande fuga inizia il 1 agosto, quando chiudono per un mese tutte le fabbriche. Dalle stazioni ferroviarie di Milano e Torino partono decine di convogli straordinari verso Sud, presi letteralmente d’assalto, e una schiera infinita d’auto s’incolonna a passo d’uomo sull’Autostrada del Sole, in fila sotto il sole cocente già dal casello di Milano. Nelle auto, principalmente utilitarie, si stipano intere famiglie e sul tetto si piazza una pila di valigie.
Le città si spopolavano e come si vede ne Il Sorpasso di Dino Risi, persino a Roma chiudevano tutti i bar e i negozi, e diventava impossibile persino comprare un pacchetto di sigarette.
La meta preferita dai villeggianti era il mare, e la maggioranza delle famiglie si sistemava in una pensione rigorosamente “tutto compreso”, alcuni in un appartamento. Certe famiglie come quelle dei membri della mia comitiva, affittavano lo stesso appartamento tutti gli anni per tutto il mese d’agosto.
La vacanza a Rimini voleva dire spiaggia al mattino, dal bagnino più vicino alla pensione o all’appartamento, tutti sistemati sotto l’ombrellone affittato con i lettini, per tutto il mese. I bambini più piccoli, tenuti d’occhio dai genitori, erano liberi di giocare sul bagnasciuga in attesa di un bagno gestito dalle mamme italiane, per cui “mai con la pancia piena”, i più grandi riuniti in comitive scorrazzavano liberamente sulla spiaggia. Per i più fortunati, c’era la merenda – ciambelle, cannoli con la crema o fette di noce di cocco – acquistati dai venditori ambulanti.

Oltre alle grida dei bambini, la colonna sonora della vacanza era costituita dalle trasmissioni della Publifono. Sistemati su pali situati vicino al lungomare, centocinquanta altoparlanti distribuiti su tutto il litorale diffondevano 2 trasmissioni al giorno, alle 11.00 e alle 17.00, da giugno a settembre. Le trasmissioni consistevano in una serie di canzonette e annunci pubblicitari, e servivano a mantenere informati gli ascoltatori sulla spiaggia, sugli eventi e sulle manifestazioni in svolgimento sulla riviera, tra cui il cantante o gruppo musicale importante e il nome del locale in cui si sarebbe esibito alla sera, e l’elenco dei film in programmazione nelle varie arene. La Publifono si vantava di svolgere una funzione di pubblica utilità perché ogni estate, grazie ai suoi annunci, venivano ritrovati 1000 bambini che si erano persi sulla spiaggia.
La trasmissioni venivano introdotte ogni giorno dalla colonna sonora del film Scandalo al Sole di Percy Faith che, dopo averlo sentito ogni giorno di ogni estate per vent’anni, inevitabilmente associo alla vacanza estiva. Le trasmissioni erano diffuse ad un volume altissimo che sovrastava il chiacchiericcio di milioni di persone sulla spiaggia diventando una presenza alla quale era impossibile sfuggire. Per tutti quelli che hanno passato le vacanze a Rimini, la Publifono è stata una specie di invisibile radiolina, che costituiva un rumore di fondo anche fastidioso, ma inevitabilmente associato al ricordo della vacanza al mare.

L’atmosfera della spiaggia riminese è resa magnificamente nel film “L’Ombrellone”, di Dino Risi. Le immagini d’apertura mostrano una moltitudine di auto che tentano invano di districarsi in un traffico infernale sul lungomare di Riccione, tra la spiaggia e gli alberghi, seguite da un montaggio di altre immagini con migliaia di bagnanti accalcati sulla spiaggia, bambini che urlano e giocano, un’infinità di persone sedute o sdraiate sui lettini, disposti in cerchio e a caso, sotto e accanto agli ombrelloni, altri a passeggio sul bagnasciuga e altri nell’acqua e, in questa confusione quasi infernale, le note di un paio di canzoni diventati tormentoni estivi si mischiano ad annunci pubblicitari e sono diffusi a volume altissimo, sovrastando ogni altro suono, evocando quel bailamme caratteristico e ineludibile creato dalle trombe del Publifono.
A mezzogiorno e mezzo in punto milioni di villeggianti si alzavano insieme come un esercito di zombie per tornare in pensione per il pranzo seguito da un riposino.
Quello era il momento in cui ci divertivamo ad avere la spiaggia tutta per noi. I miei genitori uscivano in mare col moscone e mio patrigno gettava l’ancora a un chilometro dalla riva. Poi facevano un bagno nell’acqua molto più pulita rispetto al tratto vicino la spiaggia in cui si erano immersi milioni di bagnanti. Dopo una ventina di minuti, mio patrigno tirava su l’ancora e iniziava a remare lentamente verso la spiaggia, affiancando mia mamma e Pelé che tornavano insieme a nuoto. Questo rito si ripeteva tale e quale ogni giorno.
Al pomeriggio alcuni villeggianti tornavano in spiaggia – chi arrivava per un solo giorno non aveva abbandonato la postazione sotto all’ombrellone, rifocillandosi con panini portati da casa – oppure si andava a passeggio, su Via Vespucci, in città o nei borghi dell’entroterra. Per i bimbi era l’occasione farsi offrire un gelato, particolarmente apprezzato visto che all’epoca si poteva mangiare solo d’estate, mentre i ragazzi più grandi seduti ai tavolini ascoltavano la musica del juke box.

La sera poi, dopo la cena in pensione o nella casa in affitto, si usciva ancora per una passeggiata al fresco, per visitare qualche sagra o anche per vedere un film in un cinema all’aperto.
Per tutti, la giornata tipo si ripeteva senza troppe variazioni per due o tre settimane.
Esattamente a metà mese, il 15 agosto, si celebrava Ferragosto, termine che deriva dal latino Feriae Augusti (riposo di Augusto) indicante una festività istituita dall’imperatore Augusto nel 18 a.C., che originariamente si celebrava il 1º agosto. La ricorrenza fu assimilata dalla Chiesa Cattolica attorno al VII secolo, quando si iniziò a celebrare l’Assunzione di Maria, festività che fu poi fissata il 15 agosto.
A Ferragosto, c’era sempre il tutto esaurito sulla Riviera Romagnola. I telegiornali vantano il pienone e comunicano con orgoglio l’incremento di stranieri che hanno scelto di passare in Italia le vacanze.
Nei due o tre giorni a cavallo della festa, le località della costiera erano prese letteralmente d’assalto. Negli alberghi e nelle pensioni non restava una sola camera libera. Nelle seconde, molto spesso i proprietari affittavano anche la propria stanza e andavano a dormire in cantina o nel garage.

Sulla spiaggia (come si vede nella foto di Davide Minghini del Ferragosto del 1967) non restava un solo centimetro non occupato dai villeggianti. Persino il bagnasciuga, dove normalmente passeggiavano avanti e indietro milioni di persone, veniva occupato da gente distesa sui lettini e sugli asciugamenti, e per entrare in mare occorreva fare una specie di slalom tra i corpi distesi, seduti o in piedi.
Un Ferragosto alla fine degli anni Sessanta, io e tre amici che volevamo a tutti i costi fuggire da questo bailamme abbiamo deciso di rifugiarci sul trampolino. Il mare era molto mosso, c’erano cavalloni, la bandiera rossa che proibisce di bagnarsi era issata e non c’era nessuno in acqua, nemmeno a pochi metri dalla riva. Ci siamo diretti al largo e in poco tempo abbiamo raggiunto il trampolino e ci siamo sdraiati sulla piattaforma. Le condizioni del mare peggioravano e, dopo poco, le onde arrivavano a lambire il trampolino. Ci siamo guardati e abbiamo deciso che era il caso di ritornare a riva. Molto probabilmente, in quel momento, eravamo le uniche persone in mare lungo tutta la Costiera Romagnola. Appena siamo arrivati dove si poteva toccare e abbiamo iniziato lentamente ad avvicinarci alla riva, abbiamo visto che c’era un gruppo di qualche centinaia di persone direttamente di fronte a noi sulla spiaggia. Quando siamo usciti dall’acqua, una vecchietta vestita di nero si è avvicinata e, riferendosi a qualche vecchia superstizione mi ha detto in dialetto riminese: “Sgrezied, ta ne sè c’oz l’è la festa dla Madonna e un almen u se porta via”?, o “Disgraziato, non lo sai che oggi è la festa della Madonna e uno almeno se lo porta via”?

A Ferragosto, alcuni bagnini facevano trovare ai bagnanti una bottiglia di vino bianco fresco sotto all’ombrellone e, al pomeriggio, offrivano fette di coccomero a tutti.
A Ferragosto non mancavano mai i fuochi d’artificio sulla spiaggia e le feste nei dancing rivieraschi. A mezzanotte il cantante dell’orchestra interrompeva le danze per incitare tutti a un brindisi ferragostano. Cin cin e via con il trenino al ritmo della samba Pepepepepe.
Ferragosto rappresenta un giro di boa. Nell’immaginario comune, il tempo era bello fino al 15 di Agosto, il 16 arrivava il primo temporale e la sera ci voleva il maglioncino perché era scesa la temperatura.
Il rientro in città iniziava e continuava progressivamente dopo ferragosto, ma sono in tanti, a permettersi di restare al mare un mese intero.
Per me, eccettuata una breve parentesi romana per sostenere gli esami di riparazione all’inizio di settembre – solitamente, venivo rimandato in tre materie: latino, matematica e fisica – restava ancora un mese e mezzo di vacanza. Invece, per quasi tutti i miei compagni di scuola e per le loro famiglie, a settembre arrivava la fine di quell’intermezzo, di sole, bagni, viaggi e spensieratezza. Le città tornavano a riempirsi.

Ufficialmente la scuola iniziava il 1 ottobre ma già il 4 ottobre si celebrava San Francesco, patrono d’Italia – a quel tempo era festa nazionale – per cui noi prendevamo sempre il treno del pomeriggio per ritornare a Roma. Si ritornava a scuola, la vita normale riprendeva. Finivano inevitabilmente gli amori estivi.
I miei ricordi di Rimini coincidono con la mia giovinezza, con quel che è stato il periodo più bello e spensierato della mia vita. Da decenni non vado più in vacanza sulla Costiera, ma Rimini è sempre li e ogni anno milioni di turisti seguitano ad affollare la sua spiaggia, e continuano ad echeggiare le grida dei bambini sommersi come sempre dalla colonna sonora del Publifono.
Fine
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