Il tema dell’italicità ha avuto in questi ultimi giorni un sussulto straordinario. Per me e per i tanti che cominciano a crederci, credo sia stata raggiunta una tappa importante. Il riferimento è ai discorsi del Pres. della Repubblica Sergio Mattarella, durante il suo viaggio in Argentina e Uruguay, a temi a noi cari, e di cui qui si è parlato su La Voce.
Probabilmente, questi temi, a qualcuno, potrebbero essere sfuggiti e ci preme ricordare qualche punto, a partire dal fatto che già il titolo di questa rubrica parla chiaro. In ogni modo abbiamo raccontato chi sono gli italici , li abbiamo associati ad una sorta di determinismo culturale, al mangiare glocal , al made in Italy e all’Italian sounding, e poi ancora alla musica, al cinema, per non parlare delle interviste al padre dell’Italicità Piero Bassetti e a chi la studia e interpreta da molto tempo come il giornalista, che scrive anche su queste pagine, Niccolò d’Aquino , fino al primo festival italico e, addirittura, osando che l’italo-americanità è finita. Molto c’è però ancora da fare e da dire, perché se l’idea di una community glocal di natura culturale, di business in rete, che si riconosce in un’appartenenza culturale, italica appunto, perché ritiene che certi valori culturali che hanno avuto un passato in Italia si sono poi diffusi e ibridati nel mondo, è un qualcosa che si può riconoscere e captare, non è altrettanto “facile” diffondere una coscienza italica e soprattutto creare un luogo dove gli italici nel mondo possano sentirsi partecipi, dotati di un’appartenenza che li ricomprenda e accolga. Altrettanto difficile è interloquire con i rappresentanti dell’italianità più stretta, intesa come quell’identità che si crea e plasma in un territorio ben definito, l’Italia, e che trova come strenui difensori le stesse istituzioni italiane.
Detto questo torniamo all’inizio. Perché il Pres. Mattarella ci ha fatto sussultare? Perché per il suo ruolo, come rappresentate massimo dell’italianità, ha comunicato una svolta paradigmatica che non può essere tralasciata. Mi riferisco al suo discorso pronunciato a Buenos Aires al Teatro Coliseo dove, innanzitutto, parla esplicitamente di “italici”. A dire la verità lo aveva già fatto in un’altra occasione, durante la cerimonia per la Giornata “Qualità Italia” nel 2016, definendo, quella di Piero Bassetti, un’ espressione efficace e intendendo così coloro che sono in qualche modo “contaminati”. Adesso nei sui ultimi discorso è stato fatto un passo avanti: “E’ davvero difficile poter separare in questa terra le identità. Davvero, anche per coloro che non sono diretti discendenti di famiglie italiane è possibile parlare, qui, di ‘italici’”. Un’idea che si aggiorna di tutto quel mondo caratterizzato dall’affiliazione, dalla contaminazione senza sangue originario, ma che nasce dal desiderio di comportarsi in un certo modo, di comprare certi prodotti piuttosto che altri, di un comune sentire che è dato da una particolare disposizione e apertura culturale. Perché ricordiamolo, italici si può diventare. Il contesto socioculturale è cambiato, ci dice lo stesso Mattarella: “L’era della globalizzazione ha reso percepibile il comune destino dei popoli e per la prima volta ha consentito di poter parlare di “patria terrestre”. Una patria, il nostro pianeta, nel quale sentiamo di condividere una identica sorte, che sta al di là di ciò che determina il divenire dei nostri singoli Paesi”.

Non si limita a questo la novità del discorso. Mattarella getta altri semi importanti, come quando sostiene che in Argentina: “Qui, possiamo ben dirlo, è nata l’italianità”. Il Pres. della Repubblica fa esplicito riferimento a Ludovico Incisa di Camerana, diplomatico e grande conoscitore del Sud America: “Ricordava, in modo puntuale, Ludovico Incisa di Camerana, in un suo scritto, che prima ancora dell’Unità d’Italia, è all’estero che meridionali e settentrionali, sudditi di regimi diversi, si appropriarono, insieme, di una comune identità, quella italiana”. Immagino, che lo scritto si tratti de Il grande esodo, storia delle migrazioni italiane nel mondo , un libro che non può mancare a chi vuol conoscere meglio le comunità italiane all’estero. Questa idea di costruire un’appartenenza, un’identità fuori dai confini nazionali è qualcosa di molto particolare, di unico, che ci contraddistingue e ci caratterizza. Tuttavia, spesso ce ne siamo dimenticati, nei media, nei discorsi politici ma soprattutto nelle scuole, dove i temi dell’emigrazione occupano poche righe oppure vengo saltati a piè pari. Quanto sostiene Mattarella ci catapulta in un’epoca postvestfaliana, dove le identità si possono costruire tra i confini o in territori diversi. E questo non è così semplice da dire e sostenere.
Un concetto che viene ripreso anche attraverso il pensiero di Luigi Einaudi: “Alla fine del XIX secolo Luigi Einaudi, primo presidente della Repubblica italiana, a conclusione di un viaggio in Sud America, notava come ogni aspetto della vita sociale e civile in Argentina fosse caratterizzato da chiari elementi di italianità”.
E per questo che, in grande sintesi, trovo le parole che abbiamo ripreso veramente innovative, capaci di cogliere lo spirito del tempo, malgrado il fermento di tutti i populismi e di tutti coloro che non desiderano altro che chiudersi, illudendosi, in confini dalla finta parvenza di una torre d’avorio. Siamo in un’epoca di cambiamenti, entriamoci dentro, raccogliamo la sfida. Su questo il nostro Pres. della Repubblica ha parlato chiaro.