Abbiamo discusso con Piero Bassetti, colui che ha inventato, pensato e interpretato il concettodi italicità. Piero Bassetti è Presidente di Globus et Locus, Associazione nata nel 1997 con l’obiettivo di promuovere l'analisi delle problematiche legate alla dialettica tra globale e locale. E’ inoltre Presidente della Fondazione Giannino Bassetti il cui scopo è lo studio della “responsabilità nell’innovazione”. E’ stato Consigliere e Assessore del Comune di Milano dal 1956 al 1967. Primo Presidente della Regione Lombardia dal 1970 al 1974, deputato al Parlamento Italiano dal 1976 al 1982 e Presidente dell’Ipalmo dal 1976 al 1988. Presidente della Camera di Commercio Industria e Agricoltura di Milano dal 1982 al 1997; Presidente dell’Unione delle Camere di Commercio Italiane (Unioncamere) dal 1983 al 1992 e Presidente dell’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’estero (CCIE) dal 1993 al 1999.
Dr. Bassetti, ci può spiegare quali sono le ragioni che l’hanno portata a pensare il concetto d’italicità. E questo quando accadde?
La mia esperienza personale nell’ambito del mondo camerale – sono stato a lungo presidente delle Camere di Commercio italiane all’estero – mi ha permesso di notare come attorno al sistema camerale all’estero stessero nascendo della comunità, che chiamerei “di sentimento”, che avevano a che fare col business, ma non solo. Questa vasta rete di comunità la chiamai negli anni ’90 “Il mondo in italiano”. Poi, però, mi accorsi che questo “mondo” non dipendeva ormai, se non come origine, dall’Italia. Verso l’anno 2000, allora, all’interno dell’associazione Globus et Locus coniammo il termine “italicità” per queste realtà. Insomma, ci sembrò il termine più appropriato per descriverle. Vorrei però spiegare, in sintesi, che cosa intendiamo per italico e italicità. L’italicità è una dimensione culturale, valoriale e antropologica intrinsecamente glocal, e per certi versi può essere accostata all’Hispanidad o all’anglosassonità. L’italicità si configura infatti come una comunità transnazionale – presente, anche se in diversa misura, in ogni continente – caratterizzata da valori e da interessi condivisi, la cui radice storica sta certamente anche nell’emigrazione italiana nel mondo, ma che scaturisce soprattutto dal processo di ibridazione fra le diverse culture con le quali gli italiani si sono incontrati nel mondo. Gli italici non sono tanto i cittadini italiani in Italia e fuori d’Italia, ma anche e soprattutto i ticinesi, i titani, i dalmati, i discendenti degli italiani, gli italoamericani o italo argentini, gli italofoni e tutti coloro che, magari senza avere una goccia di sangue italiano, hanno però abbracciato valori, stili di vita e modelli di condivisi. Volendo fare una stima, parliamo di oltre 250 milioni di persone. Io sono convinto che in un mondo glocal a scrivere la storia non saranno più i popoli “nazionali”, nati e cresciuti nell’assunto del vestfaliano, cuius regio eius religio, ma “nuovi demoi” che si stanno aggregando secondo una logica che definirei di “civilizzazione”; fra questi, gli anglosassoni, gli ispanici, gli islamici, i cinesi e, io credo, gli italici. Sono aggregazioni trasversali rispetto agli stati e ai territori, e i loro membri, senza volersi definire apolidi, sono sempre più consapevoli di vivere in un mondo nel quale globale e locale si intersecano in modi diversi da quelli definiti da confini territoriali degli Stati-Nazione. L’italicità, come altre forme di aggregazione, ibride – come l’Hispanidad – o più chiaramente politiche – come il Commonwealth -, è oltre la cittadinanza nazionale ma non in contraddizione o contro di essa, mentre è contro ogni concetto di identità totalizzante ed egemonico. Essa offre l’opportunità, per chi vi si riconosce membro, di aggiungere al senso di appartenenza nazionale una specie di seconda appartenenza, più ampia e dalle più grandi potenzialità.
A distanza di più di un decennio che cosa è cambiato da quel significato originario?
La consapevolezza della complessità ma anche dell’originalità del fenomeno italici è senz’altro cambiata, con tutti i dati che abbiamo raccolto in questi anni nell’ambito del Progetto italici di Globus et Locus. Ma direi che è innanzitutto cambiata la percezione di cosa gli italici fanno e potranno fare in un futuro prossimo: se si uniranno fortemente in una rete globale di interessi, valori e informazioni condivise, potranno senz’altro rappresentare una delle civilizzazioni – oggi descriviamo l’italicità come una civilizzazione – all’avanguardia nel mondo globale/locale.
Guardiamo al futuro e proviamo a fare delle previsioni. Qual è, a suo avviso, il destino dell’italicità?
Il destino dell’italicità sarà indubbiamente un destino politico, nel senso che questa comunità transnazionale prima o poi potrà e dovrà essere rappresentata da emanazioni politiche. Certo, quest’ultime non saranno emanazioni territoriali tradizionali. La dimensione politica, in ogni caso, seguirà il rafforzamento dei legami all’interno della rete italica.
Lei ha sempre promosso l’idea del glocalismo. Concretamente, in che cosa si manifesta oggigiorno il glocalismo?
Il glocalismo è la “forma” che il mondo ha assunto con la rottura dello schema nazionale westfaliano e la sua sostituzione con il nuovo schema glocal. Il mondo, interconnesso globalmente da informazioni, tecnologia, scambi reali e virtuali, viene oggi declinato in base a una logica glocale, che consiste in un fitto intreccio di reti globali che, però, innervano concretamente punti d’arrivo locali. In questi punti d’arrivo, locali, spesso è rappresentata tutta la potenzialità della globalità.
L’italicità sfugge da ogni determinazione di tipo stato-nazionale, manca cioè di quelle istituzioni tipiche dello Stato moderno. A partire da questo, secondo lei, il futuro dell’italicità può essere principalmente on line?
Diciamo che il vettore principale dell’italicità è e sarà il web. È anche probabile e prevedibile che il nuovo mondo globale e locale trovi, come ho già detto prima, una sua rappresentanza politica nuova e originale, in modo da far partecipare al potere decisionale le nuove comunità globali-locali – per così dire, i nuovi Commonwealth – fra cui spicca l’italicità, quella che noi chiamiamo una civilizzazione e che è senz’altro una comunità di valori ma anche di interessi fortemente coesa ed estesa ai quattro angoli del mondo. Estesa perché gli italici, ormai, si trovano ai quattro angoli del mondo. Alcuni dei valori principali dell’italicità, non dimentichiamolo, sono infatti proprio la curiosità, il viaggio, la scoperta, la ricerca.