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Immigrati di ghiaccio: “The Barese Icemen of New York”

Una "glaciale" storia di immigrazione italiana raccontata dai suoi testimoni

Alessandra QuintavallabyAlessandra Quintavalla
Immigrati di ghiaccio: “The Barese Icemen of New York”
Time: 3 mins read

Mercoledì 22 Febbraio, all’interno della sezione “documentari italiani”, il Calandra Institute ha presentato The Barese Icemen of New York, un’opera di Carlo Magaletti del 2015 che per essere realizzata a richiesto 10.000 dollari e dieci anni, ci confessa il produttore del film John Mustaro. Il documentario racconta la storia degli immigrati italiani proveniente dalla regione Puglia che, costretti dalla Prima Guerra Mondiale a lasciare il proprio paese, sono riusciti a dominare l’industria del ghiaccio newyorchese. Il regista, di origine barese, dedica il suo progetto “a tutti quei lavoratori che hanno creato il mondo come noi lo conosciamo”.

Come contribuirono dunque questi “eroi” italiani a costruire la città di New York e la società in cui viviamo oggi? Perché il commercio del ghiaccio rimase lucrativo anche durante la Grande Depressione? Cosa significava trasportare quarantacinque chili di ghiaccio sulle spalle per quattro rampe di scale? A guidare la scoperta dello spettatore sono le parole di impavidi immigrati che vennero in America senza nulla in tasca.

Il lungometraggio documentario abbraccia la storia dagli anni Venti del secolo scorso, quando il ghiaccio era un business importante, fino agli anni Sessanta, quando l’industria del ghiaccio scomparì per lasciare il posto ai frigoriferi e al mercato del carbone e del petrolio.

Il quadro che esce fuori è fatto da pezzi di Italia sparsi per il mondo che hanno contribuito a realizzare grandi imprese. Tanti sono stati gli italiani coraggiosi che senza avere un presente, né tantomeno un futuro, dopo la guerra sbarcarono a Ellis Island, New York, per scrivere la propria storia. Erano magri e con pochi vestiti; non potevano neanche andare in chiesa, dovevano rimanere in fondo alla sala.

“Dopo la guerra non avevamo niente…”, raccontano testimoni della Prima Guerra Mondiale che insieme ad altri protagonisti della Grande Depressione appaiono nel documentario. “La terra. La terra sei tu, andiamo ribelli, andiamo senza parole… che sono scoppiate già”, canta una canzone italiana che accompagna una serie di belle foto in bianco e nero e filmati fatti di ricordi commoventi.

Questi icemen dovevano essere forti: uscivano alle quattro di mattina e caricavano pesanti blocchi di ghiaccio sulla schiena. Era difficile raggiungere gli appartamenti con quel peso sulle spalle. Portavano il ghiaccio nei mercati locali, sui banchi di pesce, o alle famiglie che avevano le celle dove riporlo. Si usava lavorare per un’azienda ma si poteva anche essere indipendenti, “dovevamo però avere ed esporre la licenza”, raccontano alcuni ex icemen intervistati dal regista Magaletti. Bisognava stare attenti perché alcuni lavoratori non venivano pagati: lo sforzo era quello di denunciarne il fatto e chiedere indietro i soldi così da proteggere i colleghi. Nel documentario vengono anche mostrati vecchi ice coupon con cui, ad un certo punto, si facevano pagare gli icemen.

Tanti simpatici aneddoti e frammenti di storia raccontati dalle famiglie immigrate, dai figli, nipoti, ma soprattutto dagli ex icemen, alcuni dei quali deceduti prima dell’uscita del documentario. Il ghiaccio gocciolava a terra e “le donne avevano già pronto uno straccio per pulire il pavimento”. Le donne… che “si prendevano cura degli icemen…”. Pare infatti che alcuni di loro fossero dei veri e propri Don Giovanni: “gli venivano attribuiti figli in giro per i quartieri”, racconta divertita la moglie di un ex icemen. Una signora italiana ricorda invece che sua madre non passava mai i soldi direttamente all’uomo che portava il ghiaccio in casa, lasciandoli piuttosto sopra la cella frigorifera dove andava il blocco, “mi sembrava una cosa tanto elegante”, commenta.

Un mestiere antico e scomparso nato “raccogliendo le pezze”, spiega un professore barese intervistato nel documentario. Quando non c’è il lavoro bisogna inventarlo, crearlo dal nulla, un po’ come si dovrebbe fare oggi, poiché la storia si ripete. E proprio come hanno fatto i coraggiosi immigrati pugliesi, le cui storie non verranno dimenticate facilmente.

Il John D. Calandra Italian American Institute si dedica principalmente a tre attività: conversazioni di narrativa e poesia, presentazioni di testi o progetti scientifici e di proiezioni che riguardano la cultura italiana in America, in particolare quella che Anthony Julian Tamburri, presidente dell’Istituto, definisce la “diaspora italiana”. Anthony Julian Tamburri ha peraltro scritto di recente per La Voce di New York un bell’articolo in reazione ai nuovi provvedimenti emanati da Trump per bloccare gli ingressi dai paesi a prevalenza musulmana).

Guarda il trailer di The Barese Icemen of New York (in inglese):

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Alessandra Quintavalla

Alessandra Quintavalla

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