L’egregio documentario di John Maggio sugli italo americani presentato la scorsa settimana alla New York University (evento organizzato dalla Casa Italiana Zerilli-Marimò diretta da Stefano Albertini) e l’appendice cartacea elaborata da Maria Laurino rappresentano senza dubbio un importante momento storico e sociale nella scrittura e scoperta della grande epopea italiana negli Stati Uniti d’America.
Non entro nel merito narrativo di The Italian Americans ma cercherò di evidenziare alcuni momenti attuali della identità italo americana. È proprio Maria Laurino a fornirci uno spunto con il suo volume Were you always Italian?. Sei sempre stato italiano? La frase – come la stessa autrice afferma – le fu suggerita dal governatore Mario Cuomo. Dunque una identità monca, sentita ma elaborata in America. Spesso tra travisamenti culturali, stereotipi, pregiudizi culturali e non priva di un sentimento altalenante, se non ambiguo verso le istituzioni italiane. Percepite lontane.
D’altronde la grande emigrazione italiana di fine Ottocento (come provato da autorevoli studiosi) fu anche una risposta di massa allo Stato Unitario incapace di offrire una soluzione alla Questione Sociale. A questo problema si aggiunse la difficile, se non spesso ostile, accoglienza in terra d’America. Una accoglienza segnata da pregiudizi, discrimazioni e non ultime violenze. Eppure la tenacia degli emigrant prevalse sulle difficoltà sociali ed ambientali. Gli Italiani d’America si sono fatti largo in ogni ambito della vita sociale Americana. Molti sono confluiti nel grande main stream culturale angloamericano conservando labili ricordi della loro storia familiare o dell’old world. Altri hanno mantenuto vivo il retaggio culturale italiano e regionale. L’esplosione dei new media ha reso il contatto con l’Italia più fruibile anche in aree lontane dai maggiori centri culturali italiani degli Stati Uniti. I progressi civili, sociali ed economici dell’Italia hanno reso il Paese più attraente verso quanti avevano un trascorso culturale o identitario con l’Italia.
Personalmente nel corso delle mie ricerche e studi, molti italo americani mi hanno confessato di essere diventati italiani qui in America. Sia attraverso la richiesta della cittadinanza italiana, e dunque europea, sia attraverso una riscoperta della cultura italiana: la storia, l’arte, la musica, la gastronomia, etc..
Il fatto non è di poco conto perché sposta l’asse culturale e della ricerca sulla sponda italiana. E dunque diventa, se vogliamo, anche di storia e di identità politica. E le richieste di cittadinanza italiana ed europea continuano a crescere (al Consolato di New York i tempi di attesa per un appuntamento per il rilascio del passaporto vanno dai dieci mesi in su. Tempi ancora più lunghi ai consolati italiani dell’Argentina).
Ora questo numero crescente di italiani fuori d’Italia non rappresenta solo un grande asset per l’Italia; economico in primis, ma soprattutto culturale, in termini di fruitori di cultura italiana e di ambasciatori o diffusori della stessa. Se l’Italia vuole conservare questo grande asset sociale, culturale ed economico, come intuì lo stesso Luigi Einaudi, agli inizi del secolo scorso, deve investire sulla cultura italiana all’estero. Ricostruire un discorso culturale che l’emigrazione ha interrotto. Si tratta di iniziare a guardare l’emigrazione da un doppio versante. Da quello italiano e da quello statunitense.