L’Imprenditorialità – cioè la disposizione d’animo e la facoltà creativa dell’azione imprenditoriale, e la sottostante Imprenditoria, overossia il processo di progettare e avviare un’impresa – ha la finalità di cambiare il rendimento delle risorse, conferendo loro la capacità di creare nuova ricchezza. Ciò non vuol dire che l’Imprenditorialità sia sinonimo di Business. A differenza di quest’ultimo, l’Imprenditorialità non riguarda unicamente la prosperità materiale. Imprenditorialità e Imprenditoria sono modi di percepire il mondo che contribuiscono al più vasto disegno della società, alimentando un movimento sociale che affronta, per smantellarlo, il modello del Business che, a guisa del sistema geocentrico, vede al centro e immobile la creazione di valore per gli azionisti, con l’impresa che vi ruota intorno.
L’Imprenditorialità è una forma d’arte che, afferrata una o più idee, cioè una o più chiavi che aprono le porte del futuro, ne immagina la trasformazione in quell’opera che prende il nome di Impresa. È un’arte che fiorisce allorquando gli sperimentatori s’incontrano e interagiscono, in gruppi informali: tra questi, dilettanti talentuosi e tipi pratici, non solo accademici o con formazione universitaria. Navigando nelle correnti della storia, si viene a contatto con un’innovazione sociale, la Società Lunare di Birmingham, così chiamata perché gli incontri, che si svolsero tra il 1765 e il 1813, avvenivano di lunedì, all’approssimarsi della luna piena. Provando curiosità per la comprensione del mondo naturale, i membri di quella società alzarono un’onda d’Innovazione e Imprenditorialità a seguito, da parte di alcuni di loro, della scoperta dell’ossigeno (Joseph Priestley) della messa a punto della macchina a vapore (James Watt) e della commercializzazione moderna della ceramica (Josiah Wedgwood). I loro successi si sono estesi alla classificazione fossile, alla fabbricazione di telescopi, e alla sperimentazione della corrente elettrica. Gli ‘uomini lunari’ hanno vissuto l’arte nel suo significato più ampio, comprensivo del mondo naturale. Come racconta brillantemente Jenny Uglow nel suo saggio The Lunar Men: Five Friends Whose Curiosity Changed the World (Faber and Faber, London, 2012), “Al tempo degli ‘uomini lunari’ scienza e arte non erano separate: uno poteva essere, tutto in una volta, inventore e ideatore, sperimentatore e poeta, sognatore e imprenditore, senza che nessuno sgranasse gli occhi…….quando si parlava di ‘arti’ non si intendevano solo le belle arti ma anche le ‘arti meccaniche’, le competenze e le tecniche in agricoltura, ad esempio, o nella stampa”.
Chi coltiva la passione per l’Imprenditorialità agisce mosso da princìpi che sono allo stesso tempo utilitaristici e di piacere – quel godimento che è dato dal perseguimento dei propri sogni sviluppando pienamente il proprio potenziale. C’è di più. Secondo questa visione, l’Imprenditorialità abbraccia l’utilitarismo predicato dal filosofo ed economista britannico John Stuart Mill. Vale a dire che il perseguimento della felicità personale non va a discapito della felicità sociale. Insomma, l’Imprenditorialità è meno individualista di quanto comunemente si è propensi a credere. Dipendendo dalla cultura e dal modo di condurre la vita sociale ed economica, un paese, una regione, una comunità può agire imprenditorialmente. Così si esprimeva l’economista austriaco Joseph Schumpeter. Ciascun filo imprenditoriale aumenta la densità della sua rete che, però, non si estende simmetricamente. Alcuni luoghi sono favoriti più di altri perché non alzano barriere culturali né impongono regole per isolarsi.
La funzione imprenditoriale si rigenera realizzando sempre nuove combinazioni. Ci sono persone con una lunga vita imprenditoriale e altre che transitano velocemente dall’essere imprenditori al ricoprire ruoli manageriali. Ci sono dipendenti che avviano un’attività imprenditoriale. Altri, ancora, inaugurano la loro attività lavorativa fondando un’impresa. Sono questi moti circolari a scandire il ritmo della creazione di imprese imprenditoriali, generatrici di produttività sostenibile nel tempo e promotrici di ricchezza diffusa a vantaggio del bene comune. Quando prende il sopravvento sull’Imprenditorialità, la cultura manageriale – come si rammaricava Peter Drucker, uno dei suoi padri fondatori – tanto contribuisce a rendere difficile il lavoro delle persone.
L’arte di rendere felice e prospera una nazione, consiste nel dare a tutti la possibilità di essere imprenditori, soprattutto quando, come ai tempi nostri, le restrizioni imposte dal Business all’Imprenditorialità accrescono la concentrazione di potere e ricchezza nelle mani del top management e della finanza. È così che il Business rispecchiandosi nella classe facoltosa che ostenta consumi vistosi e fissa gli standard dell’agire umano riproduce l’età dell’oro, un’epoca di gravi problemi sociali mascherata da una sottile doratura aurea. La memoria va alla Gilded Age americana tra gli anni settanta dell’Ottocento e il 1900 circa, e alla satira cui il sociologo americano Thorstein Veblen espose quel ceto nel suo saggio The Theory of the Leisure Class (1899).
Ponendo la persona al centro dell’azione e affermando la sua dignità e autonomia, l’Imprenditorialità è protagonista di un nuovo umanesimo rinascimentale nella società ancor prima che nell’economia. Affrancatasi dall’autorità del management, l’Imprenditorialità acquista quell’autonomia critica necessaria per tradurre intuizioni e scoperte scientifiche in esperienze imprenditoriali innovative nel senso che coniugano la crescita economica con il benessere e la felicità. Vista sotto questa luce, l’Imprenditorialità è un movimento culturale non individualista. Ad essere imprenditoriale è la comunità, e il fine ultimo dell’Imprenditorialità è la soddisfazione dei bisogni comunitari. L’appagamento delle esigenze del singolo individuo è solo un traguardo intermedio.