Una nuova era dell’istruzione
Dagli eventi tramandataci dalla storia apprendiamo che cresce la tensione per l’istruzione all’apparire di fenomeni che sconvolgono la routine. Nei tempi molto segnati da una o più innovazioni che trasformano il panorama economico e sociale si aprono, allora, nuove scuole. Lo notava il boemo John Amos Comenius, visionario riformatore dell’istruzione, negli anni 30 del Seicento. Comenius – argomenta il professor David Smith, ricercatore e formatore degli insegnanti – riteneva che l’apprendimento dovesse assomigliare al giardinaggio e proponeva che la gioia, la pietà e l’armonia fossero centrali per l’educazione dei bambini.
A inaugurare una nuova era dell’istruzione che si allontana dal sistema educativo to-down con la cattedra d’insegnamento al vertice, molto contribuisce l’imprenditorialismo. È questo un movimento culturale poliedrico e stella polare per navigare nel mare della creazione di nuove forme di impresa all’incrocio tra scienze naturali, fisiche e umane. Rifiorisce l’apprendimento rinascimentale, tracciando sentieri rivoluzionari per il capitale umano e relazionale che cambiano l’assetto mentale dello studente. La scuola abbandona la sponda dell’insegnamento con i suoi confini delimitati dalla conoscenza accumulata nel tempo per approdare alla riva dell’apprendimento sperimentale dove passioni sostenute da una forte motivazione possono produrre risultati straordinari. Le sue caratteristiche risalgono al Rinascimento che inaugurò una nuova narrazione del mondo, preparando l’era della sperimentazione sulle orme di Francis Bacon.
L’uomo del Rinascimento è emerso dal pozzo medievale del desiderio della conoscenza esistente. Le scuole medievali guidate dagli studiosi (in effetti, filosofi e teologi nel ruolo di insegnanti) furono coinvolte nella sistematizzazione del sapere ricevuto, piuttosto che svilupparne uno nuovo. Uscito dal pozzo, l’uomo del Rinascimento mise in moto l’immaginazione per andare ovunque, respingendo le idee puramente pratiche (cioè, provate e vere) a favore di quelle creative – novità che danno una sensazione d’incertezza. Successivamente, nell’età delle invenzioni e scoperte a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, Marie Curie riprese il filo dell’uomo rinascimentale con queste parole, così come riportate da sua figlia Ève Curie (Madame Curie: A Biography, Doubleday, Doran and Co., Garden City, N.Y., 1938):
L’umanità ha certamente bisogno di uomini pratici, che traggono il massimo dal proprio lavoro e, senza dimenticare il bene comune, tutelano i propri interessi. Ma l’umanità ha bisogno anche di sognatori, per i quali lo sviluppo disinteressato di un’impresa è così accattivante che diventa loro impossibile dedicarsi al proprio profitto materiale. Senza alcun dubbio, questi sognatori non meritano la ricchezza, perché non la desiderano. Tuttavia, una società ben organizzata dovrebbe assicurare a questi lavoratori i mezzi efficaci per svolgere il loro compito, in una vita libera da cure materiali e liberamente consacrata alla ricerca.
I timori di Einstein e Skinner
Intorno al 1946, pare che Albert Einstein avesse manifestato la sua preoccupazione per l’umanità che non teneva il ritmo del progresso tecnologico. La domanda cui oggi dobbiamo rispondere è se noi siamo ancora più indietro rispetto alla tecnologia. Insomma, stiamo regredendo verso la mediocrità mentre è in corso la rivoluzione dei social media, del cloud computing, della scienza dei dati e, ancora, si fa strada l’era delle tecnologie mobili, dell’Internet delle cose, della blockchain e dell’intelligenza artificiale? Una rivoluzione può presentarsi nel contempo come stagione di luce e di tenebre, età della saggezza e della follia, momento migliore e peggiore per vivere. Così si esprimeva Charles Dickens andando con la mente al tempo della Rivoluzione francese. Per volgere le cose al meglio, è bene prendersi per mano con l’obiettivo di risolvere il vero problema che, secondo lo psicologo del comportamento Burrhus Frederic Skinner, <<non è se le macchine sappiano pensare, ma se gli uomini lo facciano>>.
La scuola positiva
Il Global Happiness Council, un gruppo internazionale di esperti indipendenti che annualmente pubblica il rapporto sulla felicità nel mondo (Global Happiness Policy Report), sostiene che per espandere lo spazio della libertà c’è bisogno di scuole che attivino interventi di educazione positiva. Con ciò intendendo una gamma di programmi educativi che addestrano i bambini delle scuole primarie e gli studenti delle secondarie <<ad impegnarsi in una serie di attività. Gli interventi riguardano il ricordare ciò che è andato bene oggi, lo scrivere lettere di ringraziamento, l’imparare a rispondere in modo costruttivo, l’identificare e lo sviluppare i punti di forza del proprio carattere. Queste attività s’inquadrano nella formazione indirizzata alla meditazione, alla consapevolezza, all’empatia, all’affrontare le emozioni, al processo decisionale, alla risoluzione dei problemi, e al pensiero critico>>.
Investendo oggi in scuole e in docenti positivi, domani si potrà fare affidamento su cittadini impegnati nello sviluppo delle relazioni familiari, di prossimità e con le istituzioni pubbliche. Diceva Lucio Anneo Seneca che “gli uomini confondono la felicità con i mezzi per raggiungerla”. La crescita economica è solo uno strumento il cui buon uso dipende dall’innovazione sociale il cui nome è “scuola positiva”, quella che trasmette ottimismo, fiducia e un senso di speranza per il futuro.
piero.formica@gmail.com
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