La prima parola che ha imparato da bambino è stata “Chianti”. Quel profumo del vino e del cibo italiano è entrato in maniera profonda e indelebile nella sua mente. Sin da quando, da ragazzino, nella scintillante Los Angeles, andava ad aiutare il padre Emilio nel suo ristorante.
Nato ad Hollywood, da padre emigrato dall’Abruzzo e da mamma inglese, Marcello Baglioni si interessa subito di cultura dei popoli e del loro rapporto con il cibo. Una passione che lo spinge ad intraprendere un percorso di studi interessante, un Master in scrittura geroglifica dei Maya, che continua con un viaggio verso il Sud del Messico e il Guatemala per scoprire la connessione tra cibo e cultura.
Nel 1997, arriva in Sicilia con un treno da Roma, pensando che fosse solo una vacanza. Finisce per rimanerci 17 anni. Si innamora della luce, del sole, della storia e di una donna dalla quale ha avuto due figli.
Sceglie Siracusa, la patria di Archimede, come sua città e come luogo da dove ricominciare. La sua avventura inizia con una scuola nella città aretusea per studenti americani e prosegue con l’agenzia Agave Travel Creative che è nata dalla sua volontà di creare un ponte tra gli Stati Uniti e la Sicilia.Non una semplice agenzia turistica ma un format studiato per clienti di nicchia che vogliono scoprire l’essenza dell’Isola. Nessun tour di massa da turisti mordi e fuggi, nessun cliché da rispettare. Niente autobus affollati che attendono orde di turisti in massa sotto la calura siciliana.
L’isola che Marcello vuole fare scoprire è l’isola dei viaggiatori. Quella che lentamente volge al tramonto, che si scopre operosa e vulcanica, moderna ed arcaica. L’Isola degli artigiani sopravvissuti alla “colonizzazione commerciale dei mall”, dei borghi di montagna, dei villaggi di pescatori.
I suoi viaggi alla scoperta della Sicilia hanno fatto guadagnare a Marcello il titolo, mantenuto per quattro anni consecutivi, di Top World Travel Specialist, che Condè Nast ogni anno rilascia a chi si distingue nel mondo del turismo e dei viaggi. Lui ama definirsi “Cultural concierge”, “Sicilian travel specialist”, grazie alla sua visione unica della Sicilia da americano di origine italiana.
Da qualche anno Marcello è tornato oltreoceano senza mai interrompere il ponte culturale, umano ed affettivo con la Sicilia. Attivo sui due continenti, Marcello lavora per promuovere la cultura siciliana negli Stati Uniti. Lo fa in America organizzando Culinary experience dove chef siciliani narrano con sapori ed odori la storia della Sicilia. E lo fa in Sicilia con i suoi tour fuori dalle rotte turistiche che hanno portato Marcello e il suo team sulle colonne del New York Times.
Marcello ci racconta che la sua nuova vita è iniziata in Sicilia con una granita e una brioche e che l’Isola gli ha insegnato l’umiltà di fronte all’immensità della storia e della natura.
Marcello cosa ti ha portato ad approdare in Sicilia?
Non era nei miei piani ma credo che il destino abbia deciso per me. Nel 1997 ero andato a Roma per studiare italiano per un paio di mesi e da lì ho preso un treno per la Sicilia dove mi sarei dovuto fermare qualche giorno, giusto il tempo di fare visita ad un mio amico. Sono passati 17 anni. Mi sono sposato con una siciliana, ho avuto due figli (oggi di 10 e 13 anni) e anche se da due anni mi sono separato da lei, il mio legame con quest’Isola e la sua cultura è rimasto molto solido.
Ma come è iniziata la tua avventura in Sicilia?
Con una granita e una brioche. Ho iniziato ad avere subito un senso di appartenza alla cultura in maniera profonda. Ho condiviso il mio interesse con altre persone ed ho subito capito che quello che volevo fare era condividere questa mia passione con altri.
Cosa ti ha colpito di più dell’Isola?
La luce. Quella luce meravigliosa che abbaglia la Piazza Duomo di Ortigia, quella del tramonto sul mare, la luce dell’Etna. Dopo 17 anni, sento ancora viva l’emozione all’arrivo all’aeroporto di Catania mentre guardo l’Etna.
Il tuo amore per il cibo è qualcosa di più di una passione. È diventato anche il tuo lavoro.
È iniziato tutto da bambino, quando già all’età di otto anni aiutavo mio padre nel ristorante. Non solo una passione culinaria ma direi antropologica visto che mi affascina molto il modo in cui il cibo fa parte della storia di un popolo, come la cucina di un popolo si evolve. Tutto questo in Sicilia così come in altre civiltà antiche come quelle dei Maya, è molto presente.

Lo chef Lele Torrisi
Condè Nast ti ha premiato come Top Traveler Specialist e di recente anche il New York Times ha parlato dei tuoi tour culinari in Sicilia che organizzi insieme allo chef Lele Torrisi. Qual è la peculiarità dei tuoi viaggi? Il target di riferimento?
Ci rivolgiamo a viaggiatori e non a turisti; a chi desidera avere un’esperienza diretta con la popolazione senza essere filtrata da strumenti intermedi. Ci interessa che ognuno viva la sua dimensione e non una dimensione di massa.
Insieme agli chef percorriamo le vie del cibo, i mercati, le guide locali accompagnano i viaggiatori alla scoperta dell’archeologia e di nuovi itinerari.
La chiave per scoprire la Sicilia senza cadere nelle trappole per turisti?
Lasciarsi guidare dalle esigenze dei singoli viaggiatori, lasciare spazio alla loro voglia di esplorare senza imporsi o sovrapporsi, connettersi con la dimensione umana di un viaggio. Un buon viaggiatore dovrebbe essere in grado di fare tesoro degli imprevisti. Sono quelli, i momenti inaspettati, i più belli.

Una delle lezioni di cucina organizzate da Marcello Baglioni
Dopo 17 anni hai però deciso di ritornare in America mantenendo vivo questo ponte con la Sicilia.
Per me era arrivato il momento di esplorare nuovi percorsi. Il ponte con la cultura siciliana è più vivo che mai perché, mentre con la Agave Creative Travel organizzo tour in Sicilia, in America porto la cultura siciliana attraverso il cibo. Gli eventi non parlano mai in maniera sterile di cibo ma sono sempre accompagnati da percorsi culturali a tema grazie anche alla presenza di chef siciliani.
Come vivono i tuoi figli questa dimensione culturale?
Sono nati e cresciuti in Sicilia ma sono consapevoli delle mie e delle loro origini. Per me, che sono cresciuto nel melting pot di Los Angeles, è stato più naturale immergermi in una dimensione multiculturale.
Cosa amano gli americani della Sicilia?
La storia, la bellezza dell’archeologia, la natura, il cibo. Vogliamo, quando pensiamo ai viaggi che organizziamo, che loro siano consapevoli di questo e che, al ritorno, l’esperienza in Sicilia valga come un cambiamento nella loro percezione e sensibilità.
Cosa hai imparato dai tuoi 17 anni in Sicilia?
L’umiltà. Del resto di fronte a oltre 2.000 secoli di storia e ad una natura maestosa, non si può che inchinarsi con umiltà. Poi, il non avere mai pregiudizi, non fermarsi mai di fronte all’apparenza. Un po' come quando assaggi un piatto che ha diversi e stratificati sapori e non ti fermi al primo boccone. I siciliani sono apparentemente duri come gli scogli del mare ma dolci come il cuore di una cassata.