Antonio Monda è l’anfitrione dell'intellighenzia del vecchio continente nel nuovo mondo. Il New York Times lo ha definito “un istituto di cultura raccolto in una sola persona” e “custode della gloria di New York”. E proprio come la Grande Mela, Antonio Monda non dorme mai. È costantemente impegnato su molteplici fronti: è professore alla NYU Tisch School of the Arts, dirige il festival letterario Le Conversazioni e il festival cinematografico Open Roads e collabora con varie testate giornalistiche, tra cui La Repubblica, Vogue e RAI News 24 dove tiene la rubrica Central Park West; trova inoltre il modo di proseguire la sua attività di romanziere. Dopo L’America Non Esiste e Nella città nuda. Le mille anime di New York, Antonio Monda presenta la sua ultima opera letteraria, La casa sulla roccia (Mondadori), con cui torna a rendere tributo alla sua città d’adozione.
Siamo a New York negli anni ‘60, Beth Barron sta organizzando una grande festa in casa per il compleanno del marito, Warren. Tutto deve essere perfetto, per riflettere l’immagine di una famiglia felice. In effetti la vita dei Barron sembra vertere su un’esistenza appagata, ma quando Beth riceve una telefonata da Luis, il suo primo grande amore, riemergono i ricordi. Inizia così un flusso di coscienza della protagonista, non tanto volto alla ricerca del tempo perduto, quanto alla riflessione su come equilibrare la propria esistenza in base ai cambiamenti che questa costantemente offre.
L’autore rivela a La VOCE di New York dove ha trovato ispirazione:
Warren Barren è un uomo di successo a New York, che vive Uptown, ha un solido matrimonio e tre figli… due femmine ed un maschio…. avete diverse cose in comune…
È vero, è inutile negarlo, anche se io m’identifico molto anche negli altri due personaggi. Ci sono elementi del sottoscritto in Luis – l’amore giovanile – ci sono elementi anche nel personaggio femminile – nei pensieri naturalmente. Sono tutti e tre degli specchi di chi sono, di chi sarei potuto diventare, di chi temo di diventare. Sono tre personaggi molto diversi, uno è tutto fuoco e fiamme, passione, e forse anche un po’ inconcludente; un altro forse è troppo concreto e poca passione, e una terza che non sa bene che scelta fare, o meglio la scelta l’ha fatta e si trova a ripensare.
Il tuo matrimonio in qualche modo ha ispirato questa storia: “In amore non esistono debiti e crediti, ma generosità e rispetto” è questo il segreto della tua casa sulla roccia?
Spero di sì. Non vorrei buttarla troppo sul personale però credo molto in quella frase. Nel momento in cui si incominciano a fare i conti siamo messi male, invece quando si ama si dà senza mai chiedere il conto e ci si rispetta ovviamente.
Per la prima volta adotti una voce femminile, con grande sensibilità ed efficacia, come hai fatto a calarti nei panni di una donna? Ti ha ispirato La Signora Dalloway per il dialogo interiore, conosciuto come moments of being?
In tanti hanno trovato delle similitudini, ma ad essere sincero non è quel romanzo ad avermi ispirato. È un grandissimo libro, sono lusingato ed è un onore che si pensi una cosa del genere. L’ispirazione è venuta da I Morti di James Joyce, un bellissimo racconto da cui hanno anche fatto un bellissimo film, Gente di Dublino, solo che in quel caso il narratore è un uomo, anche se la protagonista è la donna, ma c’è uno schema narrativo simile: c’è un matrimonio apparentemente sereno, dove però ad un certo punto s’instaura qualcosa che fa ripensare ad una strada che poteva essere completamente diversa.
Il lettore percorre la trasformazione della protagonista Elizabeth, la sua educazione sentimentale, rappresentata anche dal cambio di nomignolo da Liz a Beth… alla fine è una donna affrancata dai sogni di gioventù o schiacciata dal senso del dovere?
L’uno e l’altro. Una giornalista dell’Osservatore Romano mi ha fatto notare che Beth significa casa. Io lo sapevo ma non ci avevo pensato. La scissione del nome è data dal fatto che è un nome che funziona sia come Liz sia come Beth. Ma c’è anche il suffisso “casa”, infatti lei sceglie la casa sulla roccia.
Affronti una dialettica interessante nel libro tra la fede e il libero pensiero: tu come credente come ti sei avvicinato al distacco laico di Warren?
Questo è un tema ricorrente nelle cose che scrivo. Warren rigetta la fede, è figlio di un reverendo protestante ed ha un animo anticlericale, io cerco di raccontarlo da credente non con antipatia, vedendone però una certa durezza.
In questo romanzo ci sono diversi riferimenti alla letteratura ispanica: Pablo Neruda, Luis de Góngora y Argote, Miguel de Cervantes Saavedra, Miguel de Unamuno y Jugo, Francisco Gómez de Santibáñez Villegas, Alonso Fernández de Avellaneda, cosa ti affascina di questi autori?
Borges è una mia grande passione e uno degli scrittori al mondo che amo di più, seppur non venga citato. Ci sono anche dei pittori di ceppo spagnolo che vengono nominati, come Zurbarán, con la sua opera L’agnello di Dio, che è un capolavoro. Questa scelta è nata quasi per caso, forse per evocare una rappresentazione classica dell’amante latino, del giovane focoso, non volevo un italiano, ero indeciso tra un greco e uno spagnolo e mi sembrava che scegliendo uno di origine spagnola ci fosse con lui un bagaglio nella modernità più presente che un greco, dove la grandissima cultura è un po’ più antica. Quindi è una scelta derivata dal fatto che volevo un latino, e poi si sposa con tante passioni.
Manca all’appello Gabo…
È vero è un grandissimo. Ma pur essendo un gigante il mio cuore batte più per Borges.
Non poteva mancare l’elemento cinematografico nel film, fai riferimento a diversi attori degli anni ‘60, ma perché hai scelto di introdurre nella storia le riprese di West Side Story?
È un film meraviglioso. È un film che amo. È un film che racconta New York. È un film fatto quell’anno ed era quasi obbligato. Mi diverte raccontare un film dove il mio protagonista partecipa senza capire di che si tratta, che cosa sta facendo.
Definisci la boxe come “lo sport più essenziale che ribadisce in ogni incontro quello che succede nella vita,” è questo ciò che ti affascina di questa disciplina?
Attraverso la boxe cito indirettamente una riflessione nata da una scrittrice americana che stimo molto, Joyce Carol Oates, che ha scritto un libro meraviglioso che si chiama On Boxing.
Anche l’arte ricorre spesso tra MoMA, Guggenheim, Frick Collection, Met e la Tess Morgan Gallery: “non esiste un’unica verità nell’arte, perché neanche l’arte riesce a comprendere l’assoluto: un vero artista è insoddisfatto anche quando riesce a regalare agli altri la luce,” come scrittore ti identifichi in queste parole?
Per quanto può essere grande un artista – e non sto certo parlando di me – non riusciremo mai a intuire l’assoluto. L’arte è l’intuizione dell’universale nel particolare. Anche Michelangelo, Leonardo, Bernini fanno una piccola cosa, e quindi sono insoddisfatti perché sanno che il modello è sempre più grande.
“New York condiziona tutto, anche i sentimenti”, “New York aiuta a dimenticare”, “La grandezza di New York è nel modo in cui sa rinnovarsi”, è inevitabile chiederti quale sia il tuo rapporto con New York?
È una grande storia d’amore e credo non finirà mai.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo prossimo romanzo?
Adotterò nuovamente una voce femminile. Sto cercando di mettere in piedi una grande saga di dieci romanzi, ognuno per decennio diverso. Il primo, L’America Non Esiste, era ambientato negli anni ‘50, La Casa Sulla Roccia, negli anni ‘60. Questo che sto scrivendo è negli anni ‘10 e quindi non lavoro cronologicamente. Quest’ultimo è ambientato nello zoo del Bronx e uno dei personaggi è di origini olandese ed è il nonno di Warren Barren.