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March 15, 2014
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Lettera ad un cantante che deve ancora nascere

Lara LagobyLara Lago
Time: 6 mins read

Si mette in piedi sopra alla cattedra, spinge gli alunni a strappare le pagine dell’introduzione del libro di letteratura, cresce i suoi studenti a pane e lettura. Nella finzione cinematografica è il professore John Keating interpretato da Robin Williams, indimenticabile protagonista de L’attimo fuggente. Nella realtà della musica italiana è Andrea Rodini, ex vocal coach di X-Factor al fianco di Morgan, insegnante di song writing alla scuola Cpm di Milano fondata da Franco Mussida della Premiata Forneria Marconi, e produttore e manager di Renzo Rubino che quest’anno a Sanremo è arrivato terzo portando a casa anche il premio per il miglior arrangiamento con Per sempre e poi basta. Un curriculum che parla ma che non illustra il genio e le convinzioni tanto illuminanti quanto innovative del maestro Rodini. Strappa le pagine del tradizionale insegnamento del canto pur rimanendo un docente, mostra la prospettiva musicale da un’altra angolatura e condisce il tutto con l’intelligenza che si può assorbire solo dalle pagine dei libri. 

E così, mescolando assieme musica e letteratura, traccia dei confini di comprensione di un’Italia dove tutti cantano. Ne sono la prova i talent show che riempiono i canali della televisione italiana. La seconda edizione di The Voice è appena ripartita su Rai 2, Amici rimane su Mediaset, le sirene di X-Factor stanno già richiamando i provinanti all’appello per i casting che inizieranno a maggio.

Saremo anche il Paese del bel canto, ma perché tutti si tuffano di testa nella grande piscina dei reality?
Perché è l’unica vetrina disponibile. Credo i talent siano una grandissima occasione, e dunque è giusto frequentarli, ma si tratta di un’occasione come un’altra. Il problema è appunto che è l’unica. Se ci fossero delle alternative, degli altri spazi pronti ad accogliere diverse forme musicali allora sarebbe perfetto, anche perché i talent veicolano un unico genere di musica che è il pop.

Tu hai vissuto da vicino X-Factor, uno dei talent che ha avuto più successo in tv. Secondo te come mai?
La fortuna di X-Factor è stata avere azzeccato il primo anno la presenza di Morgan, grandissimo personaggio televisivo e allo stesso tempo molto competente nella materia musicale. Il livello si è così elevato immediatamente e per stare al passo tutti all’interno del programma hanno iniziato a parlare di musica, evitando le cialtronate.

Cosa trasforma uno che canta in un vero cantante?
I miei colleghi insegnanti di canto, arroccati in una ferma posizione, raccontano una loro verità, ovvero quale sia il corretto uso dello strumento. Ma il cantante è una persona che mette a disposizione il proprio strumento? Anche, ma in una piccola parte. La verità è che la musica è la rappresentazione della vita: se tu vedi la vita sei un cantante, se non vedi la vita sei semplicemente un artigiano, magari anche un bravo artigiano. Il cantante in sostanza è uno che decide di raccontarti l’unicità della sua vita. Il problema è che lo fanno in pochissimi. La musica, del resto, è una lingua. Ha una sua grammatica: ne fanno parte i silenzi anche se nessuno lo dice, ne fanno parte l’armonia e la melodia. Il musicista puro è colui che comunica senza l’uso delle parole, Mozart ad esempio parlava con i suoni.

Rodini e Morgan

Rodini e Morgan

Ma a chi tocca questo compito di insegnare la musica? 
L’unico ente che si dovrebbe occupare di insegnare la grammatica musicale dovrebbe essere la scuola privata o pubblica. E invece alla scuola media insegnano il piffero. Radio, televisioni e case discografiche fanno un altro mestiere: vendono, le prime due spazi pubblicitari, le case discografiche dischi. La musica non interessa. Del resto credo che le case discografiche sappiano di non avere ancora più di 5 anni di vita quindi stanno, anche se con grave ritardo, diversificando il loro main business. Si sta virando dal vendere dischi all’occuparsi dell’artista a 360 gradi con il merchindising e le sponsorizzazioni. Tutto questo perché il disco è un supporto che non ha più senso, nel futuro della musica vedo  sempre più gli abbonamenti di Spotify. E se un tempo le case discografiche agivano da filtro, ora tutti scrivono canzoni.

Sei il produttore e manager di Renzo Rubino da 4 anni. Come mai hai scelto di investire su di lui?
Quando si presentò a me per la prima volta era il 2009. Arriva nella scuola dove insegno a Milano, si siede al pianoforte e invece di chiedermi di cantare il solito pezzo di Giorgia mi dice che vorrebbe propormi una sua canzone. E mentre io sono là svaccato, Renzo intona L’amore d’autunno, tratto dal suo primo album Farfavole. (Renzo Rubino, appena 21enne, si mette a suonare di fronte a quello che diventerà il lumino che illumina la strada del suo futuro. Ma lui ancora non lo sa. E il ritornello, che dice “Sento la tua mano fredda squillare sotto le coperte d’autunno, tutti dormono rannicchiati ma noi facciam l’amore d’autunno”, funge da campanello per il maestro Rodini; ndr.) 
Sono rimasto a bocca aperta, io che faccio questo mestiere da molto tempo. Gli ho detto: "Scusa, cos’è che hai detto esattamente? La mano fredda che squilla?". Ero esterrefatto. Si può scrivere così solo se alla base c’è la cultura, la lettura, l’abilità di guardare le cose e il bello.

Un’abilità che tu nei tuoi studenti coltivi continuamente.
Io, in quanto produttore, anche a Renzo dò un libro al mese. Non gli insegno a cantare. Lui pur facendo della parola il suo punto fermo osa anche dal punto di vista vocale e musicale, invece chi si appoggia alla parola in genere non butta fuori lo strumento. Insegno a scrivere canzoni perché tutti abbiamo una canzone, il difficile è riuscire a riconoscerla tra tutte le cose che ti succedono tutti i giorni, tutto il giorno: può essere qualsiasi cosa. Ai miei allievi faccio leggere Rainer Maria Rilke, che consiglia di cercare nelle piccole cose. Una delle consegne che dò nei primi esercizi per iniziare è: scrivete un ritornello di una canzone d’amore senza usare le parole cuore, amore, anima, oltre a tutti gli agenti atmosferici e/o naturalistici. Quindi no vento, no luna, no stelle. Perché la rima cuore e amore non si può più scrivere? Non perché sia già stata usata, ma perché l’amore si sente nello stomaco.

Hai provinato più di 3mila giovani ai casting e sai riconoscere ed investire in ciò che vale. Quali sono i tuoi consigli a chi voglia cantare? 
Consiglio di non tradire mai la propria musica. Se una casa discografica vi assegna una canzone in cui voi non vi riconoscete, è facile: non la fate. Diventare famosi e fare musica sono due strade completamente diverse. Nella migliore delle ipotesi, quando succede il miracolo, le due vie si sovrappongono e dovrebbe spettare alle case discografiche riconoscere dove il miracolo sia possibile. Ma io ai miei alunni lo dico sempre: se il tuo obiettivo è diventare famoso sappi che dovrai scendere a compromessi e snaturare quello che sei. Se tu per primo tradisci la tua musica e accetti di modificare il tuo brano per renderlo più fruibile in radio, sei tu che ti stai tradendo, non loro. Loro stanno solamente facendo il loro mestiere, al quale non faccio assolutamente una colpa. E allora tu mi chiederai: "Ma se non le tv, se non le radio e nemmeno più le case discografiche, a questo punto chi dovrà fare la musica?". La risposta è semplice: la musica la devono fare sempre e solo i musicisti.
 

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Lara Lago

Lara Lago

Lara Lago, nata a Bassano del Grappa, giornalista collaboratrice de La Voce di New York fin dal 2013, dopo aver vissuto in Albania e ad Amsterdam, ora si divide tra Milano, dove lavora per Sky, e il Veneto, scrivendo di diritti e Bodypositivity.

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