“Arrivi qui per ri-originarti. Anzi dico ancor di più: a New York puoi cancellarle le parole amore e amicizia e sostituirle con un’unica parola: condivisione. Qui si condivide”. Sono queste le parole del trentenne Piero Armenti quando inizia a raccontarsi. Pietro nasce ad Avellino, cresce a Salerno, dove si laurea in Giurisprudenza, ma la toga e i tribunali non sono nel suo dna. Prepara le valige e parte. Destinazione New York? No! Prima Spagna poi Venezuela ed infine Stati Uniti.
A fargli cambiare idea e preferire la penna, o meglio la tastiera del pc, ai tribunali è stato, durante gli anni universitari, l’Erasmus. Viaggiare in Spagna gli ha aperto la mente e fatto trovare la sua strada. In quel periodo, infatti, gli capita l’occasione di partecipare ad un corso di giornalismo del quotidiano El Pais. E’ l’inizio del cambiamento. Dopo la laurea in Giurisprudenza parte per il Sudamerica per un tirocinio Crui-Mei (“Programma di tirocini del Ministero degli Affari Esteri” organizzato dalla Fondazione CRUI per le Università Italiane).
Una volta a Caracas inizia la sua collaborazione con La Voce d’Italia, il quotidiano degli italiani in Venezuela, che gli permette di diventare giornalista professionista. In quel periodo scrive anche un libro: L’Altra America. Nel 2008 torna in Italia, a Napoli, per frequentare un dottorato all’Orientale sulla Cultura dei paesi iberoamericani, con una tesi sul Venezuela di Chávez.
Terminato il dottorato la successiva destinazione non poteva non essere che New York. “Ho scelto questa città perché è il grande palcoscenico su cui ognuno vorrebbe misurarsi. Chi viene a New York sfida se stesso e i suoi limiti in un ambiente che invita a superare ogni ostacolo. New York raccoglie molte eccellenze creative provenienti da tutto il mondo. Ritengo che sia per tanti più una meta di passaggio più che una destinazione definitiva. E’ dura vivere tutta una vita qui se non si ottengono risultati meravigliosi”.
“New York mi affascina. Con me è sempre stata amichevole. Ho dormito nei parchi, nelle strade, e nessuno mi ha fatto del male. Vivere lì è come stare in una grande comunità” Patti Smith.
Piero arriva a New York per scrivere un saggio su Junot Diaz, scrittore domenicano naturalizzato statunitense vincitore del premio Pulitzer per la narrativa nel 2008. Durante la stesura del saggio ha incontrato molte persone facendo diverso networking, finché un giorno, arriva la sua occasione. Un tour operator internazionale gli propone e affida un progetto di comunicazione che include anche il web-magazine www.scoprinewyork.it. Un’opportunità a cui è impossibile rinunciare. Piero ottiene una sponsorizzazione ed ha inizio la sua vita newyorkese.
Restare negli Stati Uniti significava avere maggiori possibilità, migliorare e proseguire la professione iniziata nei suoi quattro anni e mezzo a Caracas. La Big Apple la considera la meta ideale per chi viaggia. “Per ogni ‘viandante’ New York rappresenta la destinazione finale di un viaggio tortuoso, perché nella forma e nella sostanza è un inno all’emigrazione, alla ricerca, alla rinascita. Ci sono tutti gli elementi del ritorno alla vita dopo la sofferenza che si possono leggere sull’iscrizione presente sulla Statua della Libertà”.
“Anche se siete sulla strada giusta, resterete travolti dagli altri se vi siederete ad aspettare” Arthur Godfrey.
I primi tempi, pur non parlando l’inglese, è riuscito ad inserirsi facilmente grazie alla conoscenza dello spagnolo. La lingua non è stato un ostacolo come racconta: “quando hai la prospettiva davanti a te di vivere in un luogo, sai che lo imparerai. Poi ripeto, conosco bene lo spagnolo, potevo vivere qui solo con quello”. La sua vera sfida a stelle e strisce sarebbe, invece, correre la maratona di New York, perché non è uno sportivo. “Mi sto attrezzando per farlo. Ritengo che la caratteristica principale per sopravvivere qui sia la disciplina. Ma anche cose piccole, tipo alimentarsi bene e dormire almeno otto ore al giorno. E’ difficile farlo, ma bisogna lottare per disciplinarsi”.
“L’educazione è il pane dell’anima” Giuseppe Mazzin.
Piero ha capito di aver fatto la scelta giusta quando si è reso conto che entrare in una redazione giornalistica nazionale italiana avrebbe significato stipendi troppo bassi per avere una vita dignitosa. “Ho sentito la forte attrazione verso New York. Sono venuto attratto dall’idea dell’emancipazione, dalla volontà di rischiare qualcosa per ottenere dei risultati. La mia conclusione è che si sta bene in un posto non quando si diventa una star ma quando sei libero di vivere come ti pare”. Nella Big Apple lui può vivere come desidera. Vivendo in America Piero ha cambiato i suoi ritmi, si è aperto ad un mondo linguistico nuovo ed è diventato un po’ più cinico perché come dice: “è pur sempre un tritacarne di gente in cui bisogna sopravvivere”.
Vivere a New York è un privilegio, lo ha strappato alla vita noiosa di provincia, cosa che in parte aveva già fatto Caracas, facendolo immergere in una realtà cosmopolita. Incontra tante persone di culture differenti. Per lui le amicizie non sono un problema. “Si dice sempre che le amicizie a New York sono molto superficiali, ma chi viene qui cerca proprio questa libertà assoluta. Anche libertà dagli amici, e forse anche dai ricordi” e aggiunge: “Credo che New York sia la città perfetta per chi, a volte, ha voglia di starsene per i fatti suoi senza essere disturbato. Nessuno ti dice cosa devi fare, non ci sono grandi obblighi sociali. Per fare un esempio, se uno vuole passare il Natale a casa da solo a leggere un libro, a New York può farlo senza sentirsi un alieno. Quando hai voglia di socializzare hai fuori un mondo che non aspetta altro. Costruire una famiglia non è mai facile, sia per i costi proibitivi degli affitti e delle scuole, sia perché costruire una relazione sentimentale implica attenzione, e qui è facile deconcentrarsi. Nonostante questo la gente si innamora, si sposa, e spesso decide a quel punto di andarsene da New York. La città è bella, ma anche il resto del mondo lo è altrettanto. Non bisogna dimenticarlo mai”.
Quello che ama della metropoli è camminare per Manhattan. Gli fa assaporare la bellezza della vita. “L’energia che ti dà questa città è una ragione sufficiente per essere felici della propria vita, nonostante qualsiasi difficoltà. La bellezza la vivi nei piccoli gesti che finiscono per appartenerti pian piano dal caffè americano fumante al mattino, alla lettura del New York Times, passando per gli infiniti cocktail dove conosci diverse persone e sganci decine di business card”.
“Per tutti i cambiamenti importanti dobbiamo intraprendere un salto nel buio”. William James
Dell’Italia, in particolare gli manca la mozzarella di bufala della sua terra, della provincia di Salerno”. Per il resto si è adattato bene in città. Momenti di difficoltà particolari non ne ha vissuti a parte quando ha perso le chiavi di casa. “Ho dovuto chiamare di notte il ferramenta, che si è preso 270 dollari per aprire la porta. Comunque in una città del genere bisogna appendersi sulla parete la grande iscrizione di Plauto: homo hominis lupus. Perché io so che fuori c’è una guerra. Invisibile ma pur sempre guerra”.
Per quanto riguarda le sue aspirazioni e obiettivi, Piero vorrebbe scrivere un romanzo, vederlo pubblicato e magari vivere di quello. “Per tornare con i piedi per terra, visto che lavoro nell’ambito della comunicazione da dieci anni, e ho lavorato in due continenti diversi in quattro lingue differenti, sarei felicissimo di occuparmi della comunicazione di qualche grande azienda italiana, di quelle di cui uno andrebbe fiero. Ho lavorato sempre per aziende americane. Un’azienda tipo Barilla o Ferrero. Ho completato da poco anche un master in marketing e social media, e spero di poter dare un mio contributo in questa partita globale”.
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