Aiuto, siamo circondati. Ogni tanto ce ne accorgiamo, poi subentra l'assuefazione. D'altronde sono dovunque, ci aspettano al varco in ogni occasione, sono al centro delle conversazioni, delle dichiarazioni ufficiali e semi ufficiali, delle conferenze stampa, degli articoli di giornale, dei servizi dei telegiornali. Per non parlare di Internet. Lì ce n'è una vera miniera. Pane quotidiano di siti e blog. E così abbassiamo la guardia. Magari senza volerlo. E alla fine vincono loro. E con quale prezzo.
Cosa sono? «Le minchiate», dice con falso candore Giuseppe Rizzo, siciliano di Santa Elisabetta, provincia di Agrigento, scrittore quasi trentenne, già autore de L’invenzione di Palermo, giornalista dell'Unità con un passato non lontanissimo di collaboratore del Giornale di Sicilia. È l'autore di un libro edito adesso da Feltrinelli dal titolo che è tutto un programma: Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia. Una Sicilia sgangherata ma vitale, che i lettori scoprono tra discoteche scalcagnate, musica elettronica, campagne riarse e compagnie improbabili. "La Sicilia non esiste, io lo so perchè ci sono nato", dice uno dei personaggi e non c'è da aggiungere altro per capire l'antifona di questa stravagante compagnia.
La trama: Andrea detto Osso, Martina detta Pupetta, Marco detto Gaga, tre trentenni hanno un difetto, visto come funziona il mondo: non sopportano le minchiate. E Lortica, il piccolo paese siciliano dove sono cresciuti e da cui sono andati via per inseguire studi lavori e amori, a Roma Berlino e Praga, ne è infestata. Il sindaco racconta minchiate, ma anche il comandante dei carabinieri, persino un ministro della Repubblica. Alla minchiata più grossa, una menzogna sui fratelli Bonanno, che a Lortica volevano aprire un negozio di fiori e per questo sono stati ammazzati dai pidocchi, i tre amici decidono di tornare in paese con un piano: istituire una squadra di sabotatori delle minchiate.
Sullo spassoso finale è doveroso tacere, basterà dire che la lotta contro questo nemico invisibile e poderoso non è semplice e quando la inizi non puoi più tornare indietro.
E se la facessimo anche tutti noi, dove ci porterebbe, cosa otterremmo? «Non sono un economista, ma mi sento di dire che oggi le minchiate ci costano qualche punto di Pil. Anche il prodotto interno lordo salirebbe, senza questa abitudine a parlare per bugie, frasi fatte, luoghi comuni, stereotipi – afferma Rizzo, che domenica pomeriggio ha presentato il libro alla Feltrinelli di Palermo -. Su questo in fondo si regge un sistema fatto di approssimazione e superficialità, nocivo per tutto. Anche per l'economia. A guadagnarci invece è sempre il potere, in tutte le sue manifestazioni. Il potere si nutre di minchiate, le produce per conservare uno status quo che fa comodo a chi comanda».
Discutendo con Giuseppe Rizzo di questo particolare-universale tema, non si può non parlare degli stereotipi che riguardano la Sicilia ed i tempi che viviamo. «Ancora vasta parte degli italiani, e non solo loro, ha una opinione della nostra terra, tratta integralmente dalle fiction televisive e dai film come il Padrino – afferma Rizzo -. E per me è altrettanto assurdo che certe analisi sulla Sicilia, partano ancora dal Gattopardo, o dai libri di Camilleri. Il Gattopardo è un romanzo complesso, come tutta la grande letteratura. Ma ci parla di un'epoca lontana, l'Ottocento, che per forza di cose era regolata da ben altre dinamiche rispetto a quelle di adesso. Ci sono autori più o meno giovani, penso a Roberto Alajmo, oppure Nino Vetri, che forniscono strumenti molto più freschi per capire la nostra contemporaneità».
Il solito giovane scrittore iconoclasta? Basta leggere lo spassoso libro di Feltrinelli per capire che almeno in parte siamo fuori strada. Si trovano tracce precise di due mostri sacri, che non a caso l'autore indica come antidoti intellettuali al problema di cui sopra. «Come alfieri contro le minchiate e la pigrizia intellettuale che le partorisce, cito Sciascia e Brancati. Il primo partendo dalla Sicilia ha raccontato il mondo, il secondo ci insegna che senza ironia non c'e vita. E per combattere le minchiate bisogna vivere. E fare bene il proprio lavoro. qui da noi sarebbe una vera rivoluzione».