È difficile essere profeti in patria, ottenere riconoscimenti nel posto dove sei nato e cresciuto. Nessuno lo sa meglio di Emma Dante, grande donna del teatro e della cultura italiana. Famosa all'estero, di casa a Parigi, regista lo scorso anno della prima alla Scala di Milano, per tanti lunghissimi anni non ha trovato spazio a Palermo, dove è nata 46 anni fa e ha fondato la sua prima compagnia teatrale, Sud Costa Occidentale. Adesso, finalmente per lei, è giunto il momento di tornare a casa. Il prossimo anno, il suo spettacolo – ancora top secret – aprirà la stagione del teatro Massimo di Palermo ed è in uscita il suo primo film, Via Castellana Bandiera, tratto dal suo omonimo libro.
Il grande freddo si è dunque sciolto, con il cambio della stagione politica (Palermo è stata amministrata per 10 anni dal centro destra e dallo scorso anno invece, è tornato a far il sindaco Leoluca Orlando) è finito il periodo dell'indifferenza nei confronti di uno dei nomi più importanti dell'arte italiana. Lei però, ha una spiegazione diversa. Il suo rapporto con la terra d'origine, la necessità e la voglia di fare esperienze diverse, il teatro, la scelta di non piangersi addosso e di non rassegnarsi, Emma Dante ci parla di tutto questo. E anche di mafia, argomento cui nessun siciliano può sottrarsi. Un destino ineludibile per chi vive sotto la linea della palma, come diceva Leonardo Sciascia.
“La mafia c'è, ha i suoi alti e bassi, è un fenomeno che non si riesce ad estirpare e che è soprattutto mancanza di civiltà – afferma – ma non bisogna dimenticare mai che a Palermo e nel resto del paese ci sono persone che restano qui a lavorare e a lottare. Un impegno che è anche testimonianza, un esempio concreto contro l'assuefazione e la rassegnazione, aldilà di tante parole”.
Negli anni prima della guerra di mafia e poi dell'edonismo di plastica, lei faceva teatro in un edificio pericolante. Poi i premi Ubu, nel 2002 e 2003 con Palermo e Carnezzeria (nella foto a destra), le tournée all'estero, ma mai uno spazio nella sua città. Perché ?
“È una domanda che non dovrebbe fare a me, ma ai direttori artistici, agli assessori di turno che facevano le loro scelte – risponde – Io non mi sono mai sentita contro le istituzioni, più che altro pensavo che le istituzioni fossero indifferenti nei miei confronti. Non ero collocabile da nessuna parte e soprattutto ho sempre detto quello che pensavo. Sì, c'è stata una grande indifferenza e adesso è il tempo di voltare pagina”.
Dunque un messaggio di ottimismo?
“Non lo so, direi piuttosto che ho sempre una grande speranza che le cose possano cambiare, altrimenti andrei via. Io ho scelto di restare, e ho anche fatto un mutuo trentennale,vivo alle pendici di monte Pellegrino, tra le capre e i grattacieli”.
Quanto è importante Palermo nel suo teatro?
“Io dico sempre che Palermo scrive il mio teatro e dunque è molto importante, perché parla la mia lingua, mi sembrerebbe strano fare teatro a Bergamo. Noi del Sud siamo un po' come dei figli d'arte, molto riconoscibili. Appena faccio una cosa, dicono subito che vengo da Palermo, come se fosse un marchio. Io nelle storie che racconto uso il dialetto, ma parlo del mondo. Però c'è sempre questo genitore-genitrice che è Palermo, mi sento sempre come 'la figlia di'. A chi nasce invece in un altro posto, questo non succede. Non dicono mai il famoso regista di…Bergamo, tanto per fare un esempio”.
Le viene mai voglia di affrancarsi da questa condizione, da questo destino?
“Non mi importa nulla e in ogni caso sono debitrice nei confronti di questa città e di questa meravigliosa contraddizione, che ha fatto nascere il mio teatro. Senza questa condizione le mie storie sarebbero banali, mi va bene essere figlia di”.
A proposito di contraddizioni, come si spiega che proprio negli anni più opachi del paese e di Palermo, sono nati qui tanti autori e registi importanti come lei, Davide Enia, Giorgio Vasta?
“Sono diventati importanti fuori, non qui. Qui non sono stati accolti. E non dimentichiamo che chi nasce qui, in un certo senso è più a rischio, perché parlare di Palermo è parlare anche di un dolore. Nel mio teatro non si parla di Palermo per intrattenere, non facciamo cabaret, quindi con questo dolore dobbiamo fare i conti. Io non penso che qui ci siano stati più talenti che da un'altra parte, semmai qui sono stati evidenziati di più, perché hanno dovuto gridare più forte, farsi sentire con maggiore precisione”.
Il prossimo anno il suo spettacolo aprirà la stagione del teatro Massimo, questo le da una speranza in più per questa città?
“Io ho 46 anni, non sono più una giovane regista emergente, quando io 15 anni fa ho iniziato a lavorare qui, l'ho fatto sempre con gente di Palermo, non ho cercato altri attori, ho dato la possibilità di fare teatro a chi non l'avrebbe mai avuta, a chi non aveva speranza. Adesso per forza dopo 15 anni, qualcuno ha dovuto prendere posizione sul mio lavoro, sulla scelta di essere rimasta qui. Lo considero un fatto normale, lo scandalo sarebbe stato il contrario, che qualcuno continuasse ad ignorarmi. Non devo ringraziare nessuno, io non lavoro qui perché è arrivato un sindaco più buono degli altri”.
Un motivo per restare qui e un motivo per andare via…
“Per restare, il mio mutuo trentennale. Per andare via, la possibilità di uscire e avere teatri aperti dove fanno spettacoli, cinema che non fanno solo film di intrattenimento. Avere luoghi di confronto con altri. E poi io approfitto sempre del mio lavoro per viaggiare, ma se dovessi restare sempre qui a Palermo morirei. Questo andirivieni salva la mia residenza”.