Come di consuetudine, il titolare della missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite ha convocato una conferenza stampa al Palazzo di Vetro di New York per presentare la settimana di alto livello della 179esima Assemblea Generale dell’ONU. “Prevediamo di accogliere circa 133 capi di Stato e di governo, tre vicepresidenti, 80 vice primi ministri e 45 ministri. E, naturalmente, abbiamo ONG e società civile, giovani leader, che sono qui per farci sentire la loro voce vitale su tutto che facciamo”, ha esordito l’ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield, aggiungendo che questa UNGA79 “non potrebbe arrivare in un momento più critico e più impegnativo”.
Prima di lasciare campo alle domande (solo 5), la diplomatica americana ha indicato delle priorità, come “gli effetti devastanti della crisi climatica, l’impennata dell’insicurezza alimentare globale e gli attacchi ai diritti umani nei paesi autoritari di tutto il mondo” per poi subito aggiungere anche la “guerra di aggressione illegale e brutale della Russia contro l’Ucraina, che viene condotta in aperta sfida alla Carta delle Nazioni Unite”.
Poi Thomas Greenfield ha continuato con “l’insensata guerra civile in Sudan, che ha creato la più grande crisi umanitaria del mondo e ha spinto le persone verso una grave insicurezza alimentare e persino verso la carestia”. Dopodiché è passata all’instabilità continua “ad Haiti, dove la Missione multinazionale di sostegno alla sicurezza guidata dal Kenya continua a combattere la violenza delle bande e a contribuire a mettere la nazione sulla strada della democrazia”. Un elenco di un bel po’ di crisi prima che la rappresentante permanente degli USA all’ONU aggiungesse anche “il conflitto tra Israele e Hamas, che Hamas ha avviato il 7 ottobre. Come sapete, mancano solo poche settimane all’anniversario. Il 7 ottobre (Hamas) ha compiuto l’attacco più mortale contro il popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto. Il conflitto ha causato così tanto dolore e sofferenza da tutte le parti e ha creato una terribile crisi umanitaria a Gaza”. Ora di fronte a tutte queste sfide, “è facile cadere nel cinismo, rinunciare alla speranza e alla democrazia. Ma non possiamo permettercelo” ha detto Thomas-Greenfield, perché “i più vulnerabili nel mondo contano su di noi per fare progressi, per apportare cambiamenti suscitare in loro un senso di speranza”.
Dopo aver menzionato anche l’instabilità e la violenza nella Repubblica Democratica del Congo e in Birmania, Thomas-Greenfield ha indicato una cifra: “Nel complesso, circa 2 miliardi di persone vivono in aree colpite da conflitti. E quindi questa Assemblea Generale delle Nazioni Unite si concentrerà sulla nostra responsabilità collettiva nel porre fine al flagello della guerra”.

La diplomatica americana ha quindi indicato il supporto alle operazioni umanitarie guidate dalle Nazioni Unite come una altra priorità. “Gli operatori umanitari mettono a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. Ma quello che sentiamo più e più volte è che gli operatori umanitari non hanno le risorse, non hanno la protezione, non hanno l’accesso di cui hanno bisogno al loro lavoro”. Dopo aver ricordato che gli USA restano il principale donatore del sistema umanitario delle Nazioni Unite, “abbiamo bisogno che ogni altro Stato membro – ogni singolo Stato membro, soprattutto quelli con maggiori mezzi – faccia di più e dia di più” ha avvertito Thomas Greenfield.
Come terza priorità di quest’anno, gli USA indicano la creazione di “un sistema internazionale più inclusivo ed efficace. Il Summit del Futuro ci offre la possibilità di portare avanti questo cambiamento… gli Stati Uniti entreranno in questa Assemblea Generale con nuovi impegni per creare Nazioni Unite più efficaci, e in particolare un Consiglio di Sicurezza dell’ONU più inclusivo, rappresentativo e legittimo”. Quindi Thomas-Greenfield ha ribadito che la nuova proposta degli USA oltre a includere gli impegni precedenti, aggiunge “il nostro sostegno a due seggi permanenti per i paesi africani, un seggio a rotazione riservato ai piccoli Stati insulari in via di sviluppo e la nostra disponibilità a mettere nero su bianco attraverso negoziati basati sul testo”.
L’ambasciatrice USA ha concluso la sua introduzione dicendo che “il momento richiede ambizione. Richiede urgenza. Richiede l’opportunità di guardare all’impossibile e vedere come possiamo renderlo possibile. Pertanto, mentre ci prepariamo a dare il via all’UNGA 79, invito tutti i leader a venire a New York con rinnovato ottimismo e determinazione per fare la differenza”.
La prima domanda, di Valeria Robecco giornalista dell’ANSA e presidente dell’UNCA (L’associazione dei corrispondenti dall’ONU) riguardava il presidente ucraino Zelenskyy che proprio a New York presenterà il suo piano di pace al presidente Biden. Sarà presente a UNGA79 anche il primo ministro israeliano Netanyahu, ma entrambe le crisi peggiorano con il passare dei mesi. Si vede qualche spiraglio di speranza? Qualche progresso verso la pace, sarà possibile la prossima settimana con tutti i leader qui a New York?
“Non abbiamo mai rinunciato alla speranza di trovare una strada verso la pace” ha replicato Thomas-Greenfield, che poi ha aggiunto di aver visto il piano di pace del presidente Zelenskyj. “Pensiamo che definisca una strategia e un piano che possano funzionare. E dobbiamo vedere come possiamo promuovere tutto ciò mentre ci impegniamo con tutti i capi di stato dei paesi che saranno qui a New York. Quindi, ancora una volta, abbiamo speranza per fare qualche progresso. Questo è ciò che siamo qui per fare”.
La giornalista italiana aveva anche chiesto se è previsto un incontro tra Biden e la premier italiana Giorgia Meloni, ma l’ambasciatrice degli USA ha risposto che non poteva fornire alcun dettaglio sul programma del Presidente o con chi incontrerà.

Poi è arrivata una domanda sul Summit del Futuro e sul raggiungimento di qualcosa di significativo dal vertice. Infatti commentatori nell’ esaminare il patto in fase di negoziazione hanno affermato che non ci sia nulla di nuovo o significativo e al vertice non andrà il presidente Biden, ma sarà il segretario di Stato Blinken. Quindi cosa si ci può ancora aspettare che venga fuori da questo vertice che si terrà tra domenica e lunedì al Palazzo di Vetro? “Penso che il Summit del futuro farà la differenza” ha replicato invece Thomas-Greenfield, aggiungendo che negli ultimi mesi l’intero sistema degli Stati membri delle Nazioni Unite si è impegnato nella realizzazione di un “Patto per il futuro” su cui tutti dovrebbero essere d’accordo. “So che non siamo ancora del tutto arrivati all’accordo, i negoziati sono ancora in corso mentre parliamo. Penso che abbiamo ottenuto molto e messo sul tavolo molte priorità comuni. Ci sono ancora alcuni importanti differenze, e affinché un simile patto possa essere concordato consensualmente, nessuno sarà felice al 100%… Ma sono comunque fiduciosa che ci arriveremo”.
Come per smorzare il pessimismo che invece ormai accerchia il vertice del futuro, Thomas-Greenfield ha insistito: “Non abbiamo rinunciato ai negoziati. Ci stiamo impegnando in modo molto intenso e aggressivo nelle discussioni in corso. Siamo rimasti delusi dal fatto che alcuni paesi ieri abbiano rotto il silenzio su una serie di questioni… Il G77 e l’UE avevano accettato di non rompere il silenzio, ma sfortunatamente, altri stanno ancora cercando di inserire nel patto cose che sanno saranno difficili da realizzare”.
Quando è stato chiesto all’Ambasciatrice se potesse indicare gli ostacoli più grandi in questo momento alla firma del patto, Thomas-Greenfield ha replicato: “Penso che siate consapevoli che i russi hanno rotto il silenzio su 15 questioni diverse. A loro, ovviamente, non piace alcun riferimento alle sanzioni. Mi risulta che anche l’Arabia Saudita abbia rotto il silenzio sulle questioni relative al clima, che altri hanno rotto il silenzio sulle questioni relative alla riforma dell’IFI. Anche noi abbiamo avuto problemi con parte del linguaggio, ma siamo riusciti ad arrivare a un punto in cui potevamo accettarlo, anche se non pensavamo che fosse perfetto. Quindi tutte queste negoziazioni stanno continuando proprio adesso…”.
Ad un certo punto il giornalista della tv sudafricana Sherwin Bryce-Pease ha chiesto del sostegno degli Stati Uniti ai nuovi seggi permanenti – due per l’Africa– nel Consiglio di Sicurezza, ma, come ha ribadito Thomas-Greenfield al Council on Foreign Relations, nessuno dei membri permanenti vuole rinunciare al proprio potere di veto, Usa compresi (“Pensiamo che se espandiamo il potere di veto a tutti i livelli, il Consiglio diventerà più disfunzionale” aveva detto Thomas-Greenfield). Il giornalista quindi le ha chiesto perché voleva conservare qualcosa che lei stessa ha descritto come causa di disfunzione? Come accaduto nel caso del Medio Oriente, della Repubblica democratica del Congo e dell’Ucraina… A cosa serve quindi questo veto?

“Il potere di veto è stato creato quando è stato creato il Consiglio” ha replicato la diplomatica americana, che ha dovuto ripetere quello che aveva già sostenuto recentemente, ma faticando a risultare più convincente sul tema più spigoloso dell’ONU: “E sì, abbiamo avuto seri problemi con l’uso del veto, perché usiamo il veto su questioni, tutti noi, che sono importanti per noi. E così mentre capisco perché altri paesi pensano che il veto sia disfunzionale – quindi riconosco che capiscono che il veto è disfunzionale e riconosco che noi non siamo preparati a rinunciare al veto – ma i paesi non possono far sì che ciò accada finché non si siedono in un seggio permanente”.
Cioè la capo missione degli USA all’ONU sembra segnalare che, pur avendo gli altri paesi delle buone ragioni per criticare il potere di veto, devono prima elevarsi per poterne discutere con i “P5” (i cinque attuali permanenti). “Quindi la mia tesi nei confronti dei paesi è: non pretendete ciò che pensate sia disfunzionale, chiedete di lavorare all’interno del sistema per capire come cambiarlo. Io non so come realizzare questo cambiamento, ma penso che aumentando il numero di seggi permanenti nel Consiglio si renderà il Consiglio più inclusivo. Porterà voci aggiuntive sul funzionamento del Consiglio e porterà sul tavolo ulteriori interessi regionali”.
Su questo spinoso problema, Thomas-Greenfield ha concluso: “Quindi sì, abbiamo preso la decisione come gli altri di non essere pronti a rinunciare al nostro potere di veto, ma siamo disposti ad ascoltare ciò che gli altri hanno da dire al riguardo, e vedremo dove ci porterà”.
Sembrava quasi una apertura a discutere dell’abolizione del potere di veto, ma solo dopo che la prima fase della riforma di allargamento di membri permanenti verrà attuata. Quando le è stato replicato quale fosse la sua opinione sul veto quando si è trattato del caso Ucraina, Thomas-Greenfield ha ammesso: “È stato un problema. C’è un paese, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, che ha infranto ogni singolo punto della Carta invadendo un vicino, compromettendo di fatto la sovranità di quel paese e i confini di quel paese. E quel paese siede nel Consiglio di Sicurezza con diritto di veto, quindi è problematico”.
A questo punto la giornalista palestinese, Ibtisam Azem, del quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, ha fatto un follow-up dicendo che gli USA possono vedere che il veto russo nel Consiglio di Sicurezza è un problema quando si tratta dell’Ucraina, ma allora il veto su Gaza perché non lo sarebbe? Alla diplomatica americana non è rimasto che rispondere ammettendo: “Come ho detto, usiamo il nostro veto per promuovere gli interessi del governo degli Stati Uniti, ed è così che abbiamo usato quel veto in modo coerente per molti, molti anni nel Consiglio. E sì, la gente pensa che porti a disfunzioni. Ma per noi è il potere che abbiamo e usiamo quel potere. Non cercherò alcuna scusa per questo. È qualcosa che è nella cassetta degli attrezzi delle cose che possiamo portare sul tavolo nel Consiglio di Sicurezza”.
Quando un giornalista, questa volta il libanese Nabil Abi-Saab, della stazione televisiva Al Araby, ha chiesto cosa l’ambasciatrice ne pensasse della decisione della Corte Internazionale di Giustizia su Israele e Gaza e quali dovrebbero essere le conseguenze di questa decisione sul lavoro del Consiglio di Sicurezza riguardo a Gaza e ai territori occupati della Palestina, aggiungendo anche che c’è anche un progetto di risoluzione (presentato dall’Autorità palestinese, ndr) che dovrebbe essere votato domani in Assemblea Generale, chiedendo la posizione USA su questa bozza, la diplomatica americana, ha replicato così: “In primo luogo, noi rispettiamo l’ICJ. Abbiamo lavorato per sostenere l’ICJ e, pur non essendo d’accordo con alcune delle decisioni che sono state prese, continuiamo a lavorare con l’ICJ. Per quanto riguarda la risoluzione proposta dai palestinesi, penso che abbia un numero significativo di difetti, in particolare per quanto riguarda l’interpretazione di ciò che ha detto la Corte internazionale di giustizia. Va molto oltre la decisione effettiva della Corte internazionale di giustizia. Questo è anche il nostro punto di vista, che la risoluzione, tra i tanti difetti che ha, non riconosce che Hamas è un’organizzazione terroristica, che Hamas effettivamente controlla Gaza – non è l’Autorità Palestinese – e che sta esercitando una notevole quantità di potere e influenza a Gaza, e non riconosce che Israele ha il diritto di difendersi da ciò che sta facendo Hamas. A nostro avviso, quindi, la risoluzione non apporta benefici tangibili a tutti i livelli per il popolo palestinese. Penso che potrebbe complicare la situazione sul terreno, complica ciò che stiamo cercando di fare per porre fine al conflitto e penso che ciò impedisca passi rinvigorenti verso una soluzione a due Stati”.
Margaret Besheer, (Voice of America), ha chiesto sulla situazione in Sudan, quali sono gli obiettivi degli Stati Uniti a riguardo di un evento che si terrà la prossima settimana al Palazzo di Vetro. Inoltre, passando ad un altro tema, la giornalista ha chiesto se gli USA potessero rassicurare i 133 capi di Stato e di governo che si recheranno a New York la prossima settimana sul fatto che il Dipartimento di Stato e il Paese ospitante sono pronti a proteggerli alla luce dei due tentativi tentativi di omicidio a cui abbiamo assistito contro l’ex presidente Trump negli ultimi due mesi?

“Per quanto riguarda il Sudan, ci aspettiamo che si svolgano una serie di eventi per cercare di riunire le varie parti al tavolo. Burhan, il capo della SAF, sarà qui in rappresentanza del governo del Sudan…. Verranno organizzati eventi sulla sicurezza alimentare, eventi sulle donne e diverse riunioni ministeriali per esaminare come muovere l’ago della pace. Quindi il nostro inviato speciale Perriello sarà qui per partecipare a una serie di questi incontri, lo farà il segretario Blinken e lo farò anch’io. E si spera non solo di poter evidenziare ciò che sta accadendo in Sudan, ma anche di trovare un modo per avvicinarsi al raggiungimento della pace”.
Poi sulla sicurezza assicurata agli oltre cento capi di stato e di governo che verrano a New York, Thomas-Greenfield ha ricordato che, “toccando ferro, qui non si è mai verificato un incidente di sicurezza legato a capi di stato. New York City ha polizia ovunque. La sicurezza diplomatica è di supporto ai Servizi Segreti per garantire la sicurezza anche a tutti i capi di Stato che saranno qui in città”.
Agli incontri della stampa internazionale con i rappresentati della Russia e persino della Cina, ci siamo abituati alla concessione di decine di domande fino a quando non ci sono più mani alzate, ma durante le conferenze stampa con i diplomatici USA al Palazzo di Vetro si continua ad andare di gran fretta. C’erano infatti tanti altri giornalisti pronti con altre domande (da parte nostra avremmo chiesto sulle ultime minacce russe di ritenere – se l’Ucraina userà i missili forniti dagli USA – la NATO in guerra con la Russia e quindi scatenare la terza guerra mondiale lanciate dall’ambasciatore Vassily Nebenzia al Consiglio di Sicurezza e se l’amministrazione Biden le prendessero sul serio o, invece, le ritenessero come nella favola di ‘al lupo al lupo’…), ma la missione degli Stati Uniti all’ONU, anche questa volta, ha fatto finire “in tempo” la conferenza stampa.