Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si è riunito tra giovedì e venerdì per discutere la situazione libica e decidere se rinnovare o meno la Missione di Supporto dell’ONU (UNSMIL).
L’attuale presidentessa del Consiglio, Barbara Woodward del Regno Unito, ha portato la bozza della risoluzione di fronte ai rappresentanti degli altri 14 paesi. Per la quarta volta di fila, il risultato unanime della votazione ha permesso una proroga di solo tre mesi e non di un anno come sarebbe di norma.
Il Consiglio rimane infatti diviso, proprio come il governo della Libia. Già il 20 aprile un meeting a porte chiuse dei 15 membri aveva mostrato grandi spaccature, specialmente per quanto riguarda l’elezione di un nuovo inviato speciale all’UNSMIL.
Nel dicembre scorso, Il Segretario Generale ha scelto Stephanie WIlliams, diplomatica americana, come consulente speciale sulla Libia, bypassando il voto necessario alla selezione di un inviato speciale.
Durante il briefing di giovedì con il vice portavoce del Segretario Generale, “la Voce” ha chiesto se ci fossero ambasciatori contrari al rinnovo della missione, proprio per via della presenza di Williams, e se avessero chiesto a Guterres di ritirare il suo nome. Farhan Haq ha risposto “non mi risulta”.
Eppure l’ambasciatore russo, il giorno dopo, è stato chiaro durante l’incontro: “Abbiamo voluto rinnovarlo solo per tre mesi, in quanto non scegliere subito il nuovo inviato speciale è una scelta opportunistica da parte dell’ONU,” ha commentato il rappresentante russo Vassily Nebenzia.
“Dovrebbe essere selezionato qualcuno che proviene dal continente africano”. Parlando con i giornalisti, i diplomatici di Gabon, Kenya e Ghana, tra i membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, si sono espressi su questo punto. Pur evidenziando l’importanza di un rinnovo più definitivo dell’UNSMIL, i tre ambasciatori si sono detti delusi dalla mancata elezione di un nuovo inviato speciale, che anche per loro dovrebbe essere africano.
“Il conflitto libico tocca principalmente il continente africano. I più colpiti dovrebbero anche essere i più coinvolti,” ha aggiunto il ghanese Michel Xavier Biang. “Le vere vittime delle divisioni politiche sono le persone libiche, e le separazioni sono dovute ad interessi personali.”
Nel pomeriggio di giovedì, invece, l’incontro al UNSC aveva ospitato il procuratore del Tribunale Penale Internazionale Karim Khan, che si è occupato di delineare una nuova strategia per portare giustizia ai cittadini della Libia.
Prosecutor #KarimAAKhanQC outlines his renewed strategy in the #Libya situation: “Our new approach prioritises the voices of survivors. To do so we must move closer to them. We cannot conduct investigations, we cannot build trust, while working at arms length from those affected” pic.twitter.com/CLxgHMs4zh
— Int’l Criminal Court (@IntlCrimCourt) April 28, 2022
“Si dice ‘giustizia ritardata, giustizia negata’. Può darsi che non sia vero, ma sicuramente le vittime si meritano di essere protette subito,” ha spiegato Khan. “Il nostro nuovo approccio vuole privilegiare le voci dei sopravvissuti, per farlo dobbiamo avvicinarci a loro. Non possiamo condurre le nostre investigazioni o creare un clima di fiducia lavorando a distanza dai diretti interessati”.
Sottolineando l’importanza di una presenza sul campo da parte delle corti internazionali, Khan ha ribadito la sua intenzione di visitare il paese prima della pubblicazione di un nuovo rapporto. Il procuratore, che aveva deciso di farlo diversi mesi fa, non aveva potuto per via dei rischi venuti a galla dopo il rinvio delle elezioni di fine dicembre.
Khan ha anche spiegato che, tanto in Libia quanto nel resto del mondo, l’intervento del Tribunale Penale Internazionale dovrebbe essere l’ultima risorsa.
“A me non importa se la bandiera dietro al giudice è del TPI o dello stato. Dovrebbe essere una strada a doppio senso,” ha spiegato il procuratore, chiedendo la cooperazione continua delle autorità nazionali.