Ci risiamo: Libia spaccata in due. Due leader rivali e lo scettro del potere conteso tra Est e Ovest. Il Paese da dieci anni nel caos politico, dopo la guerra combattuta dalla NATO e autorizzata dall’ONU contro il regime di Gheddafi, è di nuovo sull’orlo di quello militare. Fathi Bashagha è stato nominato nuovo premier dal parlamento di Tobruk, ma Abdul Hamid Dbeibah, forte ancora del sostegno dei cittadini della Tripolitania e delle Nazioni Unite – che lo ha riconosciuto alla guida del Governo di Unità Nazionale, – non ha intenzione di farsi da parte. In seguito al fallimento delle elezioni previste per il 24 dicembre, l’istituzione legislativa dell’Est lo aveva invitato a dimettersi dall’incarico di leader ad interim, ma Dbeibah ha detto che cederà il ruolo solo quando ci saranno libere elezioni. Risultato? Due governi paralleli e una situazione che mette a rischio la tenuta del Paese. Uno scenario che riavvolge il nastro della Libia di un anno e che potrebbe riportare il Paese a un’escalation di violenze davanti agli occhi della comunità internazionale, troppo distratta dalla crisi ucraina. Lo dimostra anche l’agguato a Dbeibah nello stesso giorno in cui Bashagha veniva nominato nuovo primo ministro. Secondo i media libici, un commando di sconosciuti avrebbe sparato al veicolo del premier “indesiderato” dalla Cirenaica, che è però riuscito a sfuggire illeso ai sicari salendo a bordo di un’altra auto.

Ma la polarizzazione del Paese è lo specchio del destino della Libia delle tribù che solo Gheddafi era riuscito a tenere insieme? Sicuramente, per scampare alla sua sorte, non aiuta un Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sempre più disunito. È la seconda volta che la Missione dell’Onu in Libia (UNSMIL) non viene rinnovata per 12 mesi – come di consuetudine – ma alla scadenza, il mandato viene prorogato a gocce di tre mesi, lasciando così la missione sotto la spada di Damocle di non ricevere più finanziamenti e chiudere. Le divisioni tra i membri dell’UNSC, soprattutto tra quelli permanenti, sta impedendo anche la scelta dell’inviato speciale Onu per la Libia. Dopo le improvvise dimissioni a dicembre di Jan Kubis, Antonio Guterres ha nominato Stephanie Williams sua consigliera speciale: uno stratagemma linguistico (adviser invece di envoy) per aggirare il consenso dei Quindici. È la diplomatica americana – già ex inviato speciale ad interim dopo l’abbandono di Ghassan Salamé – ora a rappresentare la massima autorità dell’Onu a Tripoli. Peccato che non goda del sostegno di tutti i membri del Consiglio, in primis della Russia che esige un nuovo nome da parte del Segretario Generale entro il 30 aprile, quando, insieme al mandato, scadrà anche il contratto di Williams che di UNSMIL è anche la vice capo. I rappresentanti del Cremlino all’Onu lo hanno specificato più volte e a ribadirlo ancor più chiaramente è stato l’ambasciatore Vassily Nebenzia durante la conferenza stampa in occasione della presidenza del Consiglio di Sicurezza per il mese di febbraio della Russia.

Nonostante tutti i membri, almeno nei discorsi pubblici, sostengono elezioni libere, eque e inclusive, le posizioni rimangono contrastanti circa la nomina di colui o colei che dovrà guidare UNSMIL, una figura essenziale per infondere fiducia nel processo politico e per aiutare le parti libiche a stringere un accordo sulla via da seguire. Senza il “visto” del Consiglio di Sicurezza, il delicato ruolo dell’inviato speciale dell’ONU perde autorevolezza ed efficacia nei colloqui di mediazione.

Non è facile notare le differenze nelle posizioni dei Quindici, basandosi sulle note pubblicate dei loro interventi nelle riunioni dell’UNSC dedicate alla Libia. Raggiunti dalle nostre domande, Albania, Irlanda e Francia confermano che pur riconoscendo l’importanza della Missione UNSMIL e pur sostenendo il lavoro della consigliera speciale Williams, è essenziale la nomina di un inviato speciale che abbia il consenso di tutti. “Come riconosciuto nella risoluzione 2619” – ci scrive l’Irlanda – la “nomina di un inviato speciale” è “molto importante per il futuro della missione”. Esaurientemente, la Missione dell’Albania spiega come sia “fondamentale che i membri del Consiglio di Sicurezza concordino su una candidatura dotata di una leadership ferma e impegnata nel processo democratico della Libia e nella riconciliazione nazionale… innanzitutto” scegliendo un “candidato in grado di far leva sui buoni uffici dell’UNSMIL”. Anche la Francia, dal suo seggio di membro permanente con diritto di veto, crede che per fornire alla Missione “tutti gli strumenti necessari per svolgere la sua mediazione, è essenziale che il Segretario Generale nomini senza indugio un inviato speciale”. La Norvegia, invece, conferma il pieno sostegno a “UNSMIL e alla consigliera speciale Williams”.
Da altri membri del Consiglio di Sicurezza ancora attendiamo risposta al momento di scrivere la prima stesura di questa indagine. In base alle loro posizioni espresse durante le riunioni tenute lo scorso gennaio al Palazzo di Vetro, Stati Uniti e Regno Unito sostengono gli sforzi di Williams e, in particolare, gli USA, durante l’ultimo incontro dell’UNSC, hanno definito la proroga di soli tre mesi di UNSMIL “un risultato non ottimale per il popolo libico e uno scarso risultato da parte del Consiglio”. “Deplorevole” è invece il commento del Brasile sulla mancata unità dei Quindici. Potrebbe apparire sorprendente la posizione degli Emirati Arabi Uniti, accusati più volte di essere coinvolti direttamente nel conflitto appoggiando con la loro aviazione le forze del generale Haftar: nell’ultimo incontro dell’UNSC hanno spiegato che avrebbero preferito un sostanziale rinnovo del mandato. Stesso desiderio accomuna Kenya e Gabon, ma “soluzioni africane ai problemi africani” è la forte e chiara posizione di quest’ultimo che preoccupato per le profonde divisioni all’interno dell’organo delle Nazioni Unite, ha espresso il desiderio di voler un diplomatico africano a capo della Missione ONU. Una proposta sostenuta anche dal Messico, che durante la riunione del 31 gennaio, ha invitato il Segretario Generale a nominare un candidato africano. Una posizione defilata riguardo UNSMIL si legge tra le righe dei giganti Cina e India, che hanno approvato un generale rinnovo del mandato senza né bocciare né promuovere Stephanie Williams, anche se la delegazione cinese considera importante ascoltare le opinioni delle richieste degli Stati africani in merito alla leadership della Missione. Della posizione del Ghana non ci sono interventi pubblicati delle ultime riunioni, né ha risposto alle nostre domande.

Un congelamento quello del Consiglio di Sicurezza che si riflette anche negli statement del Segretario generale Antonio Guterres. L’ultima dichiarazione su quanto accaduto in Libia nelle ultime ore è stata bollata dai giornalisti del Quartier Generale delle Nazioni Unite a dir poco “confusa”. Guterres ha affermato di prendere atto delle ultime novità, ma di fatto, non ha ancora preso nessuna posizione sulla nomina di Bashagha come primo ministro. Solo si è limitato a ribadire che la stabilità del Paese “è priorità assoluta”, così come lo sono “gli interessi del popolo libico” dal momento che 2,8 milioni di persone si erano registrate per votare.
Ma c’è qualche altro nome, oltre alla Williams, che tra i Quindici circola come possibile inviato speciale per la Libia e che magari in queste ore viene “suggerito” a Guterres che, almeno finora, appare soddisfatto dal lavoro svolto dalla diplomatica americana? Da fonti autorevoli provenienti dal Consiglio, apprendiamo che, al momento, tutto tace.

E l’Italia? Il Bel Paese che aveva giocato tutto sul governo di Tripoli appoggiato dall’Onu, da quando la Turchia ha preso la posizione di maggiore interlocutore di quest’ultimo, ha cominciato ad avere una posizione più equidistante tra le parti e si è avvicinata alla Francia grazie all’intervento del presidente Mattarella che ha costruito col collega francese Macron un tentativo di politica comune per la Libia. Funzionerà? Lasciare la Libia nel caos, paese chiave per l’Italia sia per gli approvvigionamenti di energia, sia nel controllo del flusso dei migranti sarebbe un rischio non più calcolabile. Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, infatti, ha più volte ripetuto che la Libia resta il problema più importante di politica estera italiana. Non è una coincidenza che pochi giorni fa, mentre Bashagha veniva nominato nuovo PM dal governo di Tobruk, il capo della Farnesina si incontrava con l’advisor di Guterres, Stephanie Williams.