Doveva essere “una fluida transizione”, ma in Libia, il processo di pacificazione rimane un percorso disseminato di ostacoli. I déjà-vu erano attesi e le potenze occidentali restano scettiche. Un’illusione aspettarsi che nel tormentato Paese tutto sarebbe filato liscio fino al 24 dicembre, giorno in cui si dovrebbero tenere le libere elezioni. Il traguardo raggiunto con fatica dalle Nazioni Unite ora rischia di sfumare. E migliaia di truppe straniere, finanziate principalmente da Turchia e Russia, si trovano ancora nel territorio.
Ottimista, l’Onu aveva parlato di “svolta storica” quando nel marzo scorso, a Tripoli, era stato formato il nuovo governo libico ad interim con a capo il primo ministro Abdul Hamid Dbeibah. Una settimana fa, però, Dbeibah è stato sfiduciato e accusato dai parlamentari della fazione opposta, pro Haftar, di sfruttare la sua attuale posizione per costruire un consenso popolare tale da permettergli di rimanere alla guida del Paese in caso di rinvio delle elezioni. Non un voto determinante, dato che è stato considerato nullo dall’Alto consiglio di Stato libico, ma certamente l’azione politica segna uno strappo e un rallentamento verso il difficile processo di pacificazione.
Mancano poche settimane al 24 dicembre e le elezioni rischiano di trasformarsi in un fiasco. Agila Salah, presidente del Parlamento, ha presentato una bozza di legge elettorale che favorirebbe Khalifa Haftar, generale dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico. Secondo questa, i dirigenti militari possono candidarsi alla presidenza a patto che si ritirino dai loro incarichi in uniforme tre mesi prima. E Haftar così ha fatto.

Le cancellerie occidentali sono preoccupate. Il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha avvertito che la stabilità in tutta la regione sarà compromessa se le elezioni non andranno avanti come previsto. Al Palazzo di Vetro, a margine dei lavori di UNGA76, si è tenuta a porte chiuse una riunione Ministeriale sulla Libia, guidata da Di Maio e co-presieduta dal francese Jean-Yves Le Drian, alla quale ha preso parte anche il tedesco Heiko Maas. La lettura dell’incontro indica auspici condivisi per arrivare alle elezioni nei tempi stabiliti e ad estendere il mandato della Missione UNSMIL. Dopo contrasti iniziali, i Quindici del Consiglio di Sicurezza sono riusciti a superare le divergenze russe che sembravano essere le più robuste e il mandato delle Nazioni Unite è stato esteso al 31 gennaio 2022. “È stata una trattativa difficile” ha ammesso Barbara Woodward, ambasciatrice inglese all’Onu.
Nel frattempo, Francia e Italia, dopo le diversità del passato, sembrano aver trovato una sintonia sulla strada verso la stabilità libica. Per dimostrare il sincero sostegno al processo politico, la Francia ha organizzato a Parigi una conferenza internazionale il prossimo 12 novembre. L’obiettivo è arrivare alle elezioni del 24 dicembre speditamente e senza sgambetti. I politici libici dovranno trovare un consenso sulla forma delle elezioni altrimenti la comunità internazionale sarà costretta a valutare altre soluzioni compatibili con gli scenari che si presenteranno.

In questo clima incerto e teso, Ján Kubiš, attualmente inviato speciale in Libia, rischia di veder annullato il suo lavoro. Mercoledì scorso, durante il quotidiano press-briefing, Stephan Dujiarric, portavoce del Segretario generale Onu, di fronte alle domande sulle possibili dimissioni, ha risposto che “c’è differenza tra sussurri e dichiarazioni”. La storia però ricorda che a marzo 2020, Ghassan Salamé, precedente inviato speciale Onu per la Libia, accusando “troppo stress“ fu costretto a lasciare l’incarico perché vedeva fallire il tentativo di salvare il processo di pace.
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