La svolta della Libia potrebbe rappresentare una grande occasione per l’Italia, che dopo anni di politica miope, ha ora la possibilità di riproporsi come interlocutore privilegiato.
Non sembra una coincidenza, infatti, che il Ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, prima di incontrare a Bruxelles il Segretario di Stato USA, Anthony Blinken, sia passato da Tripoli con una visita inaspettata il 21 marzo scorso al nuovo premier Abdulhamid Dbeibah e agli altri esponenti del nuovo Governo di Unità Nazionale, arrivando così prima di tutti gli altri ministri degli esteri dell’Ue.

Il campo nel territorio libico è affollato. Turchia e Russia sono protagoniste, e resta ancora da definire la linea della nuova amministrazione americana, che Roma spera sia in discontinuità rispetto a quella degli anni precedenti. Per tutto il tempo, gli USA di Trump sono stati ‘missing in action’, ma proprio oggi, mentre Tony Blinken continuava la sua visita a Bruxelles, al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’ambasciatrice americana Linda Thomas-Greenfiel, ha mostrato il nuovo interesse USA alla questione libica. Rispettando la promessa “America is back” ha ribadito i tre passi principali per la pace permanente in Libia, nonché capisaldi di ogni governo democratico: unità, trasparenza ed elezioni libere ed eque. “Il governo ad interim di unità nazionale deve resistere e sradicare la corruzione ove possibile – e spetta a noi chiarirlo” ha detto. A questo proposito l’ambasciatrice USA ha affermato senza mezze misure la necessità di “togliere il controllo alle milizie che hanno abusato del loro potere per guadagno personale” e “creare meccanismi per identificare e punire coloro che sono coinvolti nella corruzione”. Infine, ha riaffermato che tutti gli attori esterni coinvolti nel conflitto devono rispettare l’accordo di cessate il fuoco libico e iniziare immediatamente il ritiro delle truppe.
Ján Kubiš, per la prima volta al Consiglio di Sicurezza nella sua nuova veste di Inviato speciale del Segretario Generale per la Libia, ha sottolineato come i recenti sviluppi rappresentino uno slancio e un’opportunità che non devono andare persi.
Il prossimo 24 dicembre, in corrispondenza con i 70 anni dell’indipendenza del Paese, i libici andranno alle urne. E in questi mesi di transizione, il paese si giocherà moltissimo del proprio futuro, ma a differenza del passato potrebbe farlo da una posizione di vantaggio. Infatti, il nuovo governo, insediatosi il 16 marzo scorso, e formatosi grazie al forum di dialogo intralibico guidato dalla road map delle Nazioni Unite, gode di un vantaggio competitivo: quello di aver ottenuto la fiducia del Parlamento.

Per l’Italia, la partita è tutta da giocare e da tempo si sa che il Bel Paese cerca la sponda americana per ritrovare il suo ruolo in Libia. Diversi sono i dossier sul tavolo, ma il primo passo per allacciare buoni rapporti con il nuovo governo libico sono le relazioni economiche ed energetiche. A Tripoli, infatti, insieme a Di Maio, era presente anche l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, che ha confermato l’impegno della società italiana nel Paese nordafricano. “Italia e Libia sono accomunate da importanti interessi geo-strategici – ha sottolineato Di Maio. – Riuniremo dei formati che permetteranno al mondo economico libico di dialogare con il nostro e creare due nuove opportunità su entrambi i fronti”. La visita del Ministro degli Esteri italiano non è stata però il primo contatto con il nuovo governo. Infatti, appena insediatosi, il premier Mario Draghi ha telefonato ad Abdulhamid Dbeibah, per ribadire il sostegno italiano verso un percorso di pace e riunificazione della Libia, e nella prima settimana di aprile anche il Presidente del Consiglio si recherà a Tripoli.

Intanto in Italia, al Talk “Libia, un’occasione mancata o una nuova opportunità”, organizzato da Vento&Associati, alcuni protagonisti della politica italiana nel paese nordafricano sono intervenuti commentando gli ultimi avvenimenti.
Stefania Craxi, già sottosegretario agli Esteri e figlia dell’ex premier Bettino Craxi, sottolineando l’importanza di trasferire la Libia dall’agenda di politica estera a quella di politica interna, ha affermato che ormai da tempo l’Italia ha smarrito la via nel Mediterraneo: “basterebbe guardare le analisi che fa la Farnesina, dove si indica che da vent’anni continuiamo a perdere quote di mercato”. “In questi anni la Libia è diventata una piazza d’affari dove petrolio, oro, pietre preziose e migranti si scambiano su un sistema di mercato di contrabbando che influisce che sia sull’economia libica, sia sull’economia dei vicini, sia anche sul sistema socio-economico occidentale”. Craxi sta dalla parte degli scettici, ma crede comunque che “il processo potrà avere una strada positiva solo se tutti gli attori libici vengono coinvolti e gli attori internazionali faranno un passo indietro”.

Per Marco Minniti, già ministro degli Interni nel governo Gentiloni e personalità di spicco nel paese nordafricano quando otteneva accordi per fermare i flussi di migranti, occuparsi di Libia significa occuparsi dell’interesse nazionale italiano. “Qui, si gioca una partita che riguarda le risorse energetiche, la lotta al terrorismo e i flussi migratori” ha spiegato. “Ma con l’ingresso di Turchia e Russia, è cambiato lo scenario ed è emerso come la Libia sia diventa un grande problema non solo dell’Europa, ma anche dell’alleanza transatlantica”. Dunque, secondo Minniti, perché questa opportunità felice possa diventare una concreta realtà c’è bisogno che gli Stati Uniti decidano di investire direttamente nel Mediterraneo, perché “in quest’area si gioca un peso centrale della sicurezza del pianeta”; ed è necessario che l’Europa si muova con un’unità di azione. Con la Russia e la Turchia in campo, “l’Italia da sola non ce la farà”; la questione libica “è una sfida che ha bisogno di un gigante che competa e cooperi con altri giganti”.